Le menzogne di Rampini su Russia e Cina

12 Gennaio 2022 11:00 Carlo Formenti

Sul Corriere di ieri The voice of America, al secolo Federico Rampini, tira le orecchie all’Europa che “dovrebbe aprire gli occhi sulla manovra a tenaglia con cui Putin e Xi Jinping minacciano i suoi interessi vitali”.

Prima si concentra sul pericolo più immediato, cioè l’orso russo (nei cui confronti l’Occidente, dopo che la caduta dell’Unione Sovietica non si è tradotta come auspicato in una agevole colonizzazione economica e politica, riattiva la narrazione che lo dipinge come il male assoluto). Dopo una ricostruzione sui generis dei motivi delle paure del “Gigante Paranoico” nei confronti di possibili aggressioni esterne (paure che lo stesso Rampini ammette fondate su robusti precedenti storici - dai mongoli a Hitler, passando per Napoleone - e sulla conformazione geografica di un Paese-continente che non può contare sulla protezione di barriere naturali), il nostro irride l’argomento russo in merito al “presunto” tradimento delle promesse americane dopo la caduta del Muro, secondo le quali la Nato non avrebbe cercato di allargarsi a Est.

Quelle promesse, che chiunque sa che furono solenni e tutt’altro che presunte, secondo Rampini non hanno valore in quanto non furono formalizzate da un trattato. Così ammette implicitamente che la parola degli Stati Uniti non vale un fico secco (come impararono a loro spese i nativi nordamericani, sterminati in barba a tutte le promesse – anche formali! – di pace di Washington, che le cancellava non appena entravano in conflitto con certi interessi economici).

Ciò detto, Rampini sostiene con inossidabile faccia di bronzo che l’estensione della Nato (e delle sue armi strategiche!) agli Stati dell’ex blocco socialista fino ai confini russi a suon di “rivoluzioni colorate” (parzialmente riuscita quella ucraina , fallite le ultime due, la bielorussa e la kazaka) è una politica “difensiva” (a parti invertite, quando i missili russi stavano per sbarcare a Cuba, i suoi padroni non la pensarono così). Aggressive e immotivate sarebbero invece sia la reazione russa a un eventuale sbarco della Nato in Ucraina che la repressione della rivolta kazaka (la quale come in Siria, Afghanistan, Xinjiang, vede protagonisti estremisti islamici, che sono terroristi quando buttano giù le Torri gemelle, eroici patrioti quando combattono contro gli Stati che non accettano i diktat Usa). Poi torna a bacchettare l’Europa. Non capite, scrive, che non potete più nascondervi dietro gli Stati Uniti, i quali in Ucraina e in Kazakistan “non hanno interessi vitali da difendere”?

Balla colossale: gli interessi vitali Usa protendono i tentacoli sul mondo intero, solo che oggi non riescono più a imporli da soli, per cui in certe aeree hanno bisogno di delegarne la gestione ad alleati. Nei casi in questione all’Europa, la quale va convinta che se cade l’Ucraina le truppe russe si avvicinano ai suoi confini (perché intorbidi la mia acqua chiese il lupo della favola all’agnello, benché costui si abbeverasse a valle del predone).

Per inciso, Rampini si permette di attaccare con accenti volgari (da capobastone che rimprovera i sottomessi per conto del padrone) i “sordidi interessi” (sic) dei tedeschi che non rinunciano ai loro traffici con i russi. Poi passa alla Cina che ci minaccia con i suoi monopoli su materie prime, tecnologie “verdi” ecc. (trattasi degli effetti della superiorità economica e tecnologica di un competitor: la legge della concorrenza vale solo quando i vincitori siamo noi?) e conclude aggiungendo che la crisi del gas ha una concausa cinese: gli Usa potrebbero infatti aiutarci a liberarci dalla dipendenza dal gas russo, peccato che il gas liquefatto americano vada a finire in Cina che lo strapaga.

La Casa Bianca (poverina) non può farci nulla, perché il mercato impone di vendere al cliente più redditizio (gli interessi tedeschi sono sordidi quelli americani lavati con Dixan).

È proprio vero che in regime di Guerra Fredda il giornalismo attinge a incredibili picchi di cialtroneria, non preoccupandosi nemmeno di nascondere la propria malafede.

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