Chi ha ammazzato il Nord Stream. Meglio tapparsi occhi e orecchie?

07 Febbraio 2023 11:03 Edoardo Laudisi

Nel momento del massimo idillio Usa- Germania, quando la cancelliera Angela Merkel incontrava un estasiato Barack Obama al vertice G7 del 2015 a Schloss Elmau, vicino a Garmisch-Partenkirchen in Baviera, l’affare Nord Stream minava già la placida relazione sovrano -vassallo. All’imperatore buono, al Presidente col fascino di un Sidney Poitier giovane, al cavaliere dei civil rights, non andava giù quel gasdotto che collegava direttamente l’ex Unione dei Soviet alla più importante provincia Usa in Europa.

Questo non va bene Angela, pare abbia detto Barak appoggiandosi allo schienale della panchina con vista spettacolare sulle Alpi. Così ti renderai completamente dipendente da Mosca e ci trascinerai dentro tutta l’Europa. Angela replicò con una frase che ebbe poi modo di ripetere ogni volta che un presidente Usa si sarebbe lagnato per il progetto: Nord Stream è vitale per la sopravvivenza del sistema industriale tedesco. Tanto bastò allora per tenere a bada Obama. Temporaneamente almeno. Perché sette anni dopo, nel febbraio del 2022, quando il successore della Merkel Olaf Scholz provò a fare altrettanto con Joe Biden, dovette rendersi conto che l’aria era cambiata di brutto.

L’amico Joe aveva chiamato a rapporto il Cancelliere tedesco prima che questi volasse a Mosca dove avrebbe incontrato Putin in un tentativo tardivo quanto inutile di scongiurare la guerra. Al momento della conferenza stampa congiunta dei due capi di governo, Biden lanciò un’occhiataccia cattiva alle telecamere e dichiarò che se la Russia avesse attaccato l’Ucraina il progetto Nord Stream era morto. Colto di sorpresa, Olaf Scholz non se la sentì di tirare fuori la frase della Merkel e così non gli rimase che ingoiare il rospo con nonchalance proprio come aveva fatto mille volte prima di lui il capo della DDR Erich Honecker ogni volta che Mosca gli ricordava chi era il padrone. Sette mesi dopo tre esplosioni sottomarine fecero saltare in aria Nord Stream decretandone la fine. Dal canto loro media ed establishment tedeschi evitarono accuratamente di parlare del botto, quasi si trattasse di un avvenimento di poco conto che forse non era nemmeno accaduto, e che se anche fosse avvenuto sarebbe stato comunque da mettere sul conto a Putin a prescindere. A parte questo nessuna domanda, nessun dubbio, nessuna inchiesta e business as usual come se niente fosse. Perfino la pagina tedesca di Wikipedia dedicata a Nord Stream non fa nessun accenno alle esplosioni che hanno terminato il gasdotto. Le notizie si fermano ad agosto 2022.

Per capirci qualcosa bisogna tornare alla frase della Merkel: Nord Stream è vitale per la sopravvivenza del sistema industriale tedesco. Un’esagerazione? Una boutade per scrollarsi di dosso la pressione dell’azionista di maggioranza? Un timido tentativo di ristabilire il principio di sovranità? Di tutto un po' forse, ma la frase conteneva senza dubbio un fondo di verità. Nord Stream 1 e il suo raddoppio Nord Stream 2 che nel 2022 non era ancora attivo, erano il frutto del più importante accordo russo tedesco dai tempi del patto di non aggressione del 1939. Il nuovo patto Molotov Ribbentrop, come lo chiamarono a Varsavia masticando amaro per i diritti di transito andati in fumo visto che il gasdotto bypassava la Polonia via Baltico, univa la Germania alla Russia in una perfetta operazione win win. Grazie al tubo di 1,200 km entrambi i paesi ottenevano ciò di cui avevano storicamente avuto sempre bisogno. Berlino avrebbe finalmente potuto contare su forniture praticamente illimitate di energia a basso costo, mettendo fine a un problema che tra le altre cose le era costato due guerre mondiali. Mosca avrebbe ottenuto un gettito costante di valuta estera garantito dalla puntualità dei pagamenti tedeschi. Uno scambio perfetto da manuale di economia che apriva a una collaborazione di lungo termine anche su altri campi.

Ma a Roma non garba che una sua provincia faccia accordi con Cartagine. Soprattutto se questi accordi rinforzano Cartagine e rendono più autonoma (da Roma) la provincia. Da qui la pressione pressoché continua degli Usa per far cessare un progetto costato 15 miliardi di euro e gestito dalla società Nord Stream AG proprietaria del gasdotto. La società è partecipata al 51% dalla russa Gazprom, al 35 da due società di energia tedesche e il rimanente da società francesi e olandesi. Soldi russi e tedeschi più qualche briciola europea. Soldi andati in fumo con tre bei botti di cui nessuno in Europa vuole parlare; un po' come gli omicidi di mafia. Meglio non scoprire chi è il committente che poi magari ci si rimanere male. Meglio tapparsi occhi orecchie e bocca, pagare il gas liquido dell’amico Joe mille volte di più e continuare a dormire come un neonato, nonostante un conflitto devastante alle porte. E allora sogni d’oro.

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