"Simposio afgano": ora parlano gli afgani. Il libro di Michelangelo Severgnini

01 Ottobre 2021 16:00 Michelangelo Severgnini

Quando il 15 agosto scorso Ashraf Ghani, presidente dell’Afghanistan in carica dal 2014, ha lasciato Kabul ormai circondata dai Talebani, come la maggior parte dei cittadini del mondo (e come non pochi Afgani), lo ammetto, sono rimasto sorpreso da un epilogo tanto precipitoso e disonorevole di 20 anni di occupazione.

Più di 3 anni fa ho trovato un metodo il quale, attraverso una ricerca geo-localizzata su internet, mi consente di entrare in contatto potenzialmente con tutti coloro che sono in rete dal suolo libico. Ne è nato un progetto che si chiama “Exodus - fuga dalla Libia” che pubblica messaggi vocali, scritti o video inviati via internet dai migranti-schiavi in Libia e dai cittadini libici.

E’ stata questa una scoperta sconvolgente per la mia curiosità circa la vera causa delle cose. A cominciare dalla Libia, in questo caso.

Il 15 agosto scorso ho pensato che valesse la pena provare lo stesso metodo anche per l’Afghanistan. Ed ha funzionato! Sono entrato in contatto con centinaia di persone, ho dialogato con decine di loro attraverso chat o chiamate telefoniche. “Simposio afgano” è la raccolta di questi racconti, di questi dialoghi.

COME SI E’ FATTA STRADA L’IDEA DI QUESTO LIBRO

Da alcuni mesi collaboro con L’AntiDiplomatico e questa nostra conoscenza ha fatto sì che il lavoro di “Exodus - fuga dalla Libia” arrivasse alla loro attenzione. Con loro sto condividendo la pena di portare al grande pubblico o, per meglio dire, ai cittadini italiani, informazioni fondamentali per capire gli ultimi 10 anni di immigrazione dall’Africa, dalla caduta di Gheddafi a oggi, possiamo dire. Come prevedibile il partito unico sta sbarrando da 3 anni tutte le porte, con il supporto dei mezzi di comunicazione nazionali, se non in quei rari momenti in cui questi vi attingono in maniera selettiva, tralasciando la portata politica dell’intero messaggio, dando effimera visibilità al progetto.

Oltre a una pubblicazione stampata, con le testimonianze dirette di centinaia di persone dalla Libia, Libici e neri africani, da questo lavoro ne è nato un film: “L’Urlo”. Ebbene, la sorte è al momento la medesima. Nessun festival, nessuna televisione ha aperto le porte a questo film che nei prossimi mesi dovrà essere reso pubblico, possibilmente con il sostegno di tutti i cittadini italiani ancora disposti a mettere in dubbio le certezze rassicuranti di questa gabbia sempre più infernale in cui ci siamo rinchiusi.

Credo che l’AntiDiplomatico abbia compreso non solo la portata delle informazioni acquisite dal suolo libico in questi anni, ma anche le potenzialità del metodo di ricerca impiegato. Come spiegato più sopra, poter accedere a persone che si trovano a vivere in un territorio occupato (come la Tripolitania di fatto è, alle prese con milizie, mercenari e soldati turchi), o a un territorio in guerra o comunque dal quale provengono soltanto rare e vaghe notizie di agenzia (è il caso dell’Afghanistan), è di importanza strategica di fronte ad un’informazione sempre più militarizzata e compiacente.

Non solo, ma quand’anche bene o male venissimo a conoscenza dei fatti (non sempre è così), quasi mai sappiamo qualcosa di ciò che la gente coinvolta pensa, di ciò che vuole. Se il processo democratico è in crisi in Occidente, figuriamoci altrove. Pertanto il divorzio tra governi e volontà popolare è sistematico, in certe aree di mondo a cui noi sempre più rassomigliamo. Di conseguenza, come raccogliere quelle voci che non trovano rappresentanza? Io credo che quella sia una storia che vada raccontata. Per allargare gli orizzonti del nostro essere liberi cittadini. Per smentire il pensiero unico.

COSA RACCONTA QUESTO LIBRO

E così nasce questo libro. Mentre tutto il mondo puntava le sue videocamere sulla pista di decollo dell’aeroporto di Kabul, il resto degli Afghani era perlopiù altrove a fare altro: chi a gioire per la liberazione, chi a nascondersi dai nuovi padroni, chi a barcamenarsi tra vecchi lutti e nuove promesse. Noi abbiamo provato ad ascoltarli.

Le domande che tutto il mondo ora si pone trovano in questo libro la risposta dei diretti protagonisti.

I Talebani sono davvero cambiati, come hanno annunciato al mondo? Come ha potuto l’esercito afgano arrendersi a loro nel giro di poche settimane? Il popolo afgano si sente ora tradito o finalmente libero? Cosa pensano davvero le donne afgane? Cosa rimane di questi 20 anni?

La società afgana coltivata sotto occupazione alla prova della storia si è dimostrata non rappresentativa del sentimento maggioritario nel paese perché segnataria del patto: diritti civili in cambio di cessione di sovranità. E’ su questo punto che i Talebani hanno fatto forza. E hanno vinto.

Protetti dall’anonimato, decine di Afghani sul campo diventano dunque i protagonisti di questo libro, idealmente disposti intorno a un tavolo, voci finalmente libere di un simposio afgano.

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