"L'Urlo": la solidarietà del Presidente del Senato dopo la censura delle ONG a Napoli

01 Dicembre 2022 09:00 Michelangelo Severgnini

Ieri pomeriggio ho incontrato a Palazzo Madama il Presidente del Senato, Ignazio La Russa.

Sono stato a ricevere la solidarietà della seconda carica dello Stato per i fatti dello scorso 25 novembre.

Solidarietà che a livello personale ha poca importanza, non mi sono certo sentito svilito dagli insulti ricevuti a Napoli. Anzi, dimostrano che la verità fa male.

Ma sul piano simbolico e formale ho pensato giusto celebrare questo passaggio, perché è semplicemente doveroso che la seconda carica dello stato (o affini) debba intervenire di fronte a casi di questa gravità.

Tuttavia, continuo a sentire un silenzio assordante dalla fu sinistra, terrorizzata dalla rappresaglia delle Ong qualora rompessero il patto di omertà che ormai li lega.

Non mi aspetto parole di sostegno al film, ma parole di condanna per quanto successo a Napoli.

A 5 giorni di distanza dai fatti, niente.

Non è un bel segnale.

Devo dedurre che per la fu sinistra da ora in poi lo squadrismo sia parte degli strumenti di lotta, specie quando serve a zittire le fonti.

Perché, per quanto se ne dica, non sono stato io ad essere censurato, non la mia voce.

Ma le fonti primarie di informazione rappresentate dalle centinaia di ragazzi in Libia che parlano nel film.

Censura delle fonti, si diceva.

E’ questo ciò di cui ho parlato al Presidente del Senato quest’oggi, subito dopo aver ricevuto la sua solidarietà.

Subito dopo aver per un attimo pensato che tutto questo dovesse essere uno scherzo.

La Russa che mi riceve e mi offre la sua solidarietà e la fu sinistra che schiuma di rabbia in silenzio fuori dai balconi di Palazzo Madama.

Ma non ho detto solo questo.

Già che c’ero ho chiesto lui alcune cose.

Ho chiesto che garantisca agli Italiani la possibilità di vedere il film “L’Urlo”, dal momento che il produttore ne ostacola la diffusione.

Ho chiesto che fosse ripresentata immediatamente in Senato l’interrogazione rivolta all’allora ministro degli Esteri Di Maio lo scorso 28 giugno 2022, alla quale non è mai stata data risposta (qui l’interrogazione: https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=18&id=1355473).

E ho ricevuto rassicurazioni.

Già che c’ero, ho raccontato che a Bengasi, dove sono stato in visita la scorsa settimana, la benzina costa 3 centesimi di euro al litro e mi sono offerto di spiegare il meccanismo che rende possibile questa meraviglia.

Ho raccontato che a Bengasi, non solo la gente libica, ma le stesse istituzioni, per altro le uniche suffragate dal voto popolare in Libia, ci stanno aspettando a braccia aperte, a noi Italiani.

Ho raccontato che il centro storico di Bengasi, costruito dagli Italiani negli anni ’20-’30, è rimasto pericolante e crivellato di colpi dal 2016, da quando cioè l’Isis è stato cacciato con il sangue dei Libici senza alcun sostegno internazionale, né menzione.

E l’Italia potrebbe prendersi l’impegno di ricostruirlo. Sarebbe un gesto simbolico senza pari, soprattutto se unito al ripristino degli accordi con la Libia, ma quelli veri, quelli firmati tra Gheddafi e Berlusconi, così come i Libici chiedono.

Tuttavia ho ammesso di essere consapevole che il petrolio di Bengasi non si può acquistare senza scatenare una guerra interna alla Nato, che l’Italia ha le mani legate sull’argomento.

Ma almeno lo scambio commerciale e la collaborazione bilaterale vanno incoraggiati.

Ho raccontato infine che le milizie di Tripoli hanno moltiplicato la migrazione, non l’hanno fermata. Al contrario ho raccontato che in Cirenaica non ci sono partenze di migranti né esiste la tratta di esseri umani, ma uno stato di diritto fatto e finito, mentre l’esercito se ne sta chiuso da anni nelle caserme perché la pace è tornata già da un pezzo.

Ho raccontato che a Tripoli ci sono 44mila rifugiati già censiti dall’UNHCR che potrebbero essere ridistribuiti a monte e ricollocati via aereo verso le principali capitali europee, aggirando gli accordi di Dublino.

A quel punto mi ha chiesto il perché del sottotitolo del libro: “schiavi in cambio di petrolio”.

Ho risposto perché c'è un'indagine della procura di Catania di cui dal 2018 non si sa più niente. Un’indagine, chiamata “dirty oil", che prova come il petrolio libico venga trafugato da quelle milizie libiche che l’Italia sostiene e inviato in Italia illegalmente.

E vorremmo sapere noi cittadini, a partire dalla risposta all’interrogazione parlamentare, a chi finiscono i soldi che mandiamo a Tripoli e a quale scopo, visto che il documento ufficiale del governo di Tripoli oggetto dell’interrogazione dichiara che quei soldi non sono spesi a scopo umanitario.

Non so cosa la stampa racconterà di quest’incontro.

Non so quanto e se la compagine di governo che si è prodigata in questi giorni a comunicarmi la propria solidarietà sarà solidale con me anche su questi argomenti.

Ma la consistenza della loro solidarietà si misurerà sulle azioni concrete.

Intanto, fuori dai balconi, la fu sinistra, abbarbicata ai propri interessi, intossicata dalle proprie narrazioni fiabesche, schiuma di rabbia in silenzio.



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L'URLO: SCHIAVI IN CAMBIO DI PETROLIO






















Dopo non potete dire di non averlo saputo...

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