Il Rasoio di Hitchens e la (pericolosa) propaganda ucraina in vista del Vertice Nato

di Marinella Correggia

E' lecito dubitare delle accuse senza prove?

E’ definito Rasoio di Hitchens il principio metodologico per il quale “ciò che viene sostenuto senza prove può venire confutato senza prove”. In realtà lo dicevano già i latini: l’onere della prova spetta a chi afferma qualcosa, non a chi la nega. Afferma lo stesso principio Bertrand Russell con la sua metafora della teiera (Russell’s teapot).

In guerra è certo difficile verificare quello che accade davvero e chi lo fa accadere. Ma i principi di cui sopra dovrebbero essere tenuti presenti. Anche perché le menzogne e le demonizzazioni degli avversari alimentano le guerre anziché aiutare soluzioni negoziali.

Nel crescendo di accuse pesantissime da parte ucraina, in vista del Vertice straordinario della Nato (24 marzo prossimo), ecco che la vicepremier del paese, il sindaco della città di Brovary e alcune parlamentari in visita a Londra accusano: le forze russe stanno aggredendo, stuprando e anche impiccando molte donne che non riescono a fuggire. Molti i media che riprendono la denuncia. Il sindaco spiega: “Ma le vittime non possono testimoniarlo, dopo la violenza le hanno uccise, forse impiccate o tagliate e pezzi per nascondere le prove” e aggiunge che sono gli stessi comandanti ad aizzare i soldati. Questo leggiamo sul Corriere della sera

Lo stesso articolo, tuttavia, ricorda, in riferimento alla Libia del 2011, la propaganda servita a criminalizzare Gheddafi e il suo esercito, per sette mesi presi di mira dalle bombe della Nato. Lo stesso giornale se ne era occupato all’epoca. La denuncia contro i “mercenari neri di Gheddafi” (che aiutò anche una vergognosa caccia all’africano da parte dei “ribelli” libici alleati della Nato sul campo) era stata portata avanti soprattutto da una psichiatra o psicologa libica (Siham Sergiwa): interrogando sfollati nei campi profughi al confine con la Tunisia, aveva registrato 295 casi di stupri per 140 dei quali sosteneva di avere prove, fotografie eccetera. Peccato che la Sergiwa, contattata da Amnesty International (non certo tenera con Gheddafi e i suoi) avesse dichiarato di aver perso i questionari e di non essere più in contatto con le vittime.

Amnesty (fattasi più cauta visto che nel 1991 aveva invece creduto per mesi alla sceneggiata sulle incubatrici in Kuwait salvo poi affermare che non c’erano prove) nella sua inchiesta sulla Libia si era recata nei campi profughi “dove molte donne dicono di essere arrivate per paura degli abusi sessuali ma quando poi chiedevamo se erano state stuprate o se erano state testimoni di una violenza del genere tutte rispondevano di no”.

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