Dopo il bombardamento dei gasdotti... per il Washington Post la guerra in Ucraina va chiusa

Quando uno dei media dell’Impero chiede di chiudere la guerra ucraina è un evento, dal momento che dà voce a un ambito di potere dell’Impero stesso, segno quindi dell’apertura di una finestra di possibilità in tal senso. Da qui l’importanza dell’articolo di David Von Drehle pubblicata sul Washington Post, nella quale analizza il nuovo scenario ucraino dopo i referendum tenuti nella regione del Donbass.

Se si volesse, la guerra si potrebbe anche fermare qui

La nota si snoda ovviamente nel solo della narrazione mainstream, con l’invasione russa inserita nel quadro di una follia di Putin e decisamente fallita, un vero e proprio “fiasco”, grazie alla reazione dell’Ucraina e dell’Occidente, oltre che da quella interna (la prima avrebbe distrutto il suo esercito, la seconda la sua economia e la terza la sua presa sulla Russia.

Quadro semplicistico e più che distorto, ma non si può pretendere che un media mainstream deragli anche solo in minima parte dai binari nei quali è costretto. Anche le ragioni per le quali non dovrebbe essere data requie alla Russia – in realtà al popolo ucraino costretto dalla Nato a questa guerra per procura contro Mosca – fanno parte del repertorio mainstream, cioè che una trattative che ponga fine al conflitto consegnerebbe la vittoria morale alla Russia e sarebbe un vulnus alla giustizia e al diritto internazionale.

Ma la conclusione della nota spiega perché in realtà “ci sono buone ragioni” per porre fine alla guerra: “Se Putin accettasse un cessate il fuoco dopo l’annessione, l’Ucraina non perderebbe molto, in termini di territorio, rispetto alle condizioni pre-invasione. E forse alcuni proventi della ripresa delle esportazioni di carburante della Russia possono essere usati per la ricostruzione dell’Ucraina” [si riferisce, sembra, della quota che trattiene l’Ucraina sul flusso di gas che passa per il North Stream 1, ieri bombardato per una infelice coincidenza].

“Inoltre, l’Ucraina ha guadagnato molto in termini di coesione nazionale, patriottismo e identità. Lo stesso Putin che a inizio anno negava l’esistenza stessa di un’Ucraina indipendente, si troverebbe a concludere l’anno nell’ignominia di essere frustato da un’Ucraina indipendente”.

“Né l’Ucraina è l’unico fattore in questa difficile equazione. Una guerra spietata nel mezzo dell’Europa minaccia di generare instabilità, mentre i rifugiati mettono alla prova le riserve delle nazioni ospitanti e antichi rancori riemergono in luoghi come il confine conteso tra Armenia e Azerbaigian”.

“Infine, c’è la minaccia nucleare”, che al momento, secondo Drehle, appare “improbabile”, sia perché Putin non sarebbe conseguente, sta cioè bluffando, sia perché, anche se lo fosse, sarebbe fermato dal suo apparato.

E però, conclude, Drehle, “anche la più piccola possibilità che accada un evento così pericoloso dovrebbe essere evitata. La dura verità è che l’endgame di Putin deve essere accolto, se arriva“.


L’attacco ai gasdotti russo-tedeschi

Da questo punto di vista, gli attentati ai due gasdotti russi di questi giorni, che pongono una pietra tombale sullo scambio di gas tra Russia ed Europa, possono aprire strade in tal senso.

Avendo ottenuto il distacco provvisoriamente definitivo del Vecchio Continente da Mosca, subordinando in maniera definitiva la serva e derelitta Europa agli States, l’élite transatlantica potrebbe reputare di aver raggiunto l’obiettivo definitivo di questa fase della terza guerra mondiale e di poter chiudere così la crisi ucraina prima che diventi del tutto ingestibile.

È un’ipotesi, ovviamente, ma al netto della propaganda, gli atlantisti sanno perfettamente che Putin non sta bluffando nell’affermare il possibile ricorso all’arma atomica, che potrebbe darsi anche, forse, in caso di attacco ai nuovi territori russi del Donbass, una volta ratificato il referendum sull’annessione. Che quello di Putin sia un avvertimento serio lo hanno detto chiaramente il capo della Nato Jens Stoltenberg, e del Dipartimento di Stato Usa Tony Blinken.

Sull’attentato ai gasdotti russi, poco da rilevare oltre a quanto scritto ieri, se non i tweet fantasmagorici dell’eurodeputato Radek Sikorski, presidente delegazione UE-USA e marito di Anne Applebaum, neocon d’antan e fiera sostenitrice dell’invasione dell’Iraq.

Il primo tweet mostra il mare in subbuglio dopo le deflagrazioni sottomarine di uno dei gasdotti con il commento: “Grazie America“. Nel secondo scrive: “L’Ucraina e tutti gli stati del Mar Baltico si sono opposti alla costruzione di Nordstream per 20 anni. Ora 20 miliardi di dollari di rottami metallici giacciono sul fondo del mare, un altro costo pagato dalla la Russia per la sua decisione criminale di invadere l’Ucraina. Qualcuno ha eseguito un’operazione di manutenzione speciale”.

Ovviamente per la propaganda la responsabilità dell’accaduto è ignota o della Russia, nonostante sia ovvio quanto scrive il marito della Appelbaum sul danno subito dalla stessa.

Ciò perché gli Stati Uniti non possono rivendicare il bombardamento di una infrastruttura russa, sia sarebbe una dichiarazione di guerra a Mosca (già, tale è la follia), sia perché si tratta di una impresa internazionale alla quale hanno contribuito a suon di miliardi diverse imprese europee, che peraltro non verranno risarcite.

Il fatto che le bombe contro infrastrutture alle quali hanno lavorato imprese e uomini politici dell’Europa siano salutate con tanta felicità dall’eurodeputato in questione, che peraltro non è affatto isolato, mostra la deriva psichiatrica alla quale sono consegnate le istituzioni di Bruxelles.

Alcuni siti segnalano anche le esercitazioni anti-mine della Us Navy che si sono svolte, come ogni anno, nel Baltico nel giugno scorso, “per testare una nuova tecnologia”. Esercitazioni che hanno avuto luogo “al largo della costa di Bornholm, in Danimarca” (vedi Seapowermagazine). Un coincidenza, e solo una coincidenza, vuole che proprio al largo dell’isola di Bornholm abbiano avuto luogo le esplosioni di cui sopra.

Per quanto riguarda l’accaduto, sono in tanti a ipotizzare che siano state utilizzate delle mine, ma al momento non c’è certezza. La Russia, nonostante l’attacco diretto a un suo impianto, sta tenendo un profilo basso, per evitare di essere costretta a rispondere. Ma si pone la domanda: da quale parte sta la pazzia in tutto questo?

Ps. Inaugurato oggi un nuovo gasdotto che porterà il gas norvegese alla Polonia.


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