Virata di Boris Johnson sul WSJ: "trattare" con la Russia non è più tabù

Nei circoli atlantisti si sta consolidando l’idea che occorre avviare negoziati con la Russia. Lo schema che ha preso consistenza è quello che vede come mossa previa e forse come esito di tale trattativa il ritiro della Russia sui confini precedenti il 24 febbraio.

Una prospettiva dichiarata dal Segretario di Stato Usa Tony Blinken il 7 dicembre in un intervento pubblico (Piccolenote), affermata dall’ex premier britannico Boris Johnson in un editoriale del Wall Street Journal, immaginata dal Cancelliere tedesco Olaf Sholz (Times) e ribadita da Henry Kissinger su The Spectator (anche la Stampa di Torino).

Modulata in varie forme, tale prospettiva, come accennato, ruota appunto sull’idea che i russi dovrebbero fare un passo indietro, tornando ai confini pre-invasione, con l’Occidente – come sotteso tacitamente dallo schema – pronto a riconoscere la sovranità russa sulla Crimea.

Johnson e Kissinger

Responsibile Statecraft sintetizza la presa di posizione di Johnson in questo modo: “In un editoriale del Wall Street Journal, nel quale chiedeva un maggiore sostegno militare ed economico per l’Ucraina, Johnson ha affermato che l’unico modo per far finire la guerra è ‘con la sconfitta di Vladimir Putin’. Ciò significa, ha scritto, che ‘le forze russe devono essere respinte al confine de facto del 24 febbraio. Non è possibile che Volodymyr Zelensky o il popolo ucraino possano accettare un altro risultato…'”.

“Prima dell’invasione russa del 24 febbraio 2022, il ‘confine de facto’ dell’Ucraina non solo non comprendeva la Crimea, ma nemmeno parti della regione del Donbass […]”.

“Questo è un chiaro cambiamento del pensiero di Johnson. Proprio il mese scorso, sempre in un editoriale del Journal, l’ex primo ministro – che, secondo quanto è stato riferito, si è adoperato per far fallire un accordo ad aprile simile a quello che ha proposto venerdì – ha definito ‘ripugnante’ l’idea che Putin mantenga parti del Donbass”.

Se Johnson è addivenuto a più miti consigli, invece Kissinger ha sempre sostenuto la necessità di aprire negoziati con Mosca, e il suo intervento su The Spectator, in cui ha avanzato un’analoga proposta, non sorprende.

Nel suo intervento, Kissinger ha ricordato la Prima guerra mondiale (un “suicidio culturale che distrusse la grandezza dell’Europa”), in cui i leader “si lasciarono coinvolgere come sonnambuli”, rammentando che nel 1916 “si cominciarono a esplorare prospettive per porre fine alla carneficina”, ma “dal momento che non sembrava concepibile un compromesso che potesse giustificare i sacrifici già fatti e nessuno voleva apparire debole, i leader esitarono ad avviare un formale processo di pace”. Di conseguenza, la guerra proseguì altri due anni, provocando milioni di vittime in più e sconvolgendo irrevocabilmente l’equilibrio dell’Europa.

“La Germania e la Russia furono dilaniate dalla rivoluzione; l’impero austro-ungarico scomparve dalla mappa. La Francia ne uscì dissanguata. La Gran Bretagna si accorse di aver sacrificato gran parte della sua giovane generazione e delle sue opportunità economiche per amore della vittoria. Il trattato punitivo di Versailles , che pose fine alla guerra, si rivelò molto più fragile della struttura [geopolitica] che sostituì” e pose le basi per la Seconda guerra.

Quadro realistico, al quale Kissinger aggiunge l’avvertimento a non sognare la dissoluzione della Russia, un monito rivolto ai circoli ultra-atlantisti, di destra e sinistra, guidati dai neocon, che stanno alimentando questa guerra per procura contro la Russia proprio in tale prospettiva. Il vuoto che genererebbe tale dissoluzione, data l’estensione della Russia, produrrebbe mostri incontrollabili.

“Ho ripetutamente espresso il mio sostegno agli sforzi militari alleati per prevenire l’aggressione russa in Ucraina – sottolinea Kissinger – Ma si avvicina il momento di costruire sui cambiamenti strategici già realizzati e integrarli in una nuova struttura volta a raggiungere la pace attraverso i negoziati”.

Lo status dell’Ucraina

Certo, resta il nodo dello status dell’Ucraina, che Kissinger vede ormai come membro effettivo della Nato, cosa inaccettabile per la Russia (che ha iniziato questa guerra proprio per tale motivo); e il ruolo centrale che, sempre secondo l’ex Segretario di Stato Usa, la guerra avrebbe garantito a Kiev nell’ambito del continente europeo, cosa inaccettabile per l’Europa, dal momento che i mostri che sono germinati in Ucraina prima e durante questa guerra non troverebbero alcun freno (i movimenti neonazisti, anche se censurati nel corso della guerra, durante la quale hanno preso il controllo di tutti i gangli del potere, sarebbero una minaccia per il continente).

Ma lo schema proposto può essere un buon viatico per iniziare un dialogo con Mosca: come in tutte le trattative, all’inizio si chiede il massimo per raggiungere poi un compromesso in base alle richieste della controparte (la pace, in mancanza di un vincitore, che non ci sarà, richiederà qualche concessione in più ai russi).

Ma al di là dei particolari, pure importanti, resta che nei circoli atlantisti si è affermata questa idea. Non solo, il fatto che sia stata esposta anche dal Segretario di Stato Blinken, liberal generato nell’ambito della corrente clintoniana (affine ai neocon), dice che ormai l’amministrazione Usa ha trovato un punto di compromesso interno, tra falchi e colombe, proprio su tale prospettiva.

Anche la presa di posizione di Johnson appare significativa. Così recita, a tale proposito, il sottotitolo dell’articolo di RS citato: “Boris Johnson si è ritirato da una precedente posizione massimalista segnalando che forse ciò che viene detto in privato diventerà più pubblico”. Già, perché al di là della propaganda e delle dichiarazioni più che assertive nei confronti della Russia e della vittoria ucraina, i discorsi privati all’interno delle cancellerie d’Occidente sono di tutt’altro segno.

Il realismo propugnato da questi ambiti atlantisti ed europeisti si scontra, però, con il massimalismo dei circoli ultra-atlantisti e neoconservatori, oltre che con gli interessi dei produttori di armi.

E l’esito dello scontro tra queste due ambiti di potere al momento vede il trionfo di questi ultimi, dal momento che i realisti sono sulla difensiva, avendo paura di esporsi alle critiche violente dei massimalisti, che hanno avuto buon gioco a tacitare la dissidenza accusandola di filo-putinismo.

Un giochino che ha accompagnato tutte le guerre infinite: i critici dell’intervento in Iraq venivano accusati di essere dalla parte del dittatore; i critici dell’anti-terrorismo a suon di bombe venivano accusati di essere filo-terroristi e via dicendo.

Ora, però, non ci sono in gioco solo degli equilibri geopolitici del mondo, ma la sua stessa sussistenza. Tale giochino deve essere superato. Serve, ai realisti, un sussulto di coraggio.

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