Il New York Times ora vede "il modello coreano" come via d'uscita

A un anno dall’inizio della guerra non si intravedono vie di uscita. Il piano di pace della Cina, pubblicizzato ieri, è già stato rifiutato da Mosca. Infatti, la portavoce del Cremlino, Maria Zakharova, aveva detto che durante la visita del ministro degli Esteri cinese a Mosca di questi giorni “non si è parlato di un piano di pace”.

Ciò perché il documento cinese, composto da 12 punti, prevede il reintegro dei territori ucraini sotto la sovranità di Kiev, cosa che Mosca, dopo aver speso tante risorse, non può accettare. Analoga accoglienza ha avuto in Occidente, che non può accettare che la pace sia fatta dalla Cina.

E però, la Cina ha fatto la sua mossa, un’operazione di marketing che, ben sapendo che non ha possibilità nel suo insieme, Pechino ha pubblicizzato per smuovere le acque. Dei punti elencati, quelli cruciali, e fattibili, sono quelli riguardanti il cessate il fuoco e l’avvio di negoziati. Vedremo.

Intanto, arriva la smentita della Casa Bianca sul fatto che Pechino invii aiuti militari a Mosca, cosa accreditata dalla stampa internazionale. Non è la prima volta che tale notizia senza fondamento viene diffusa in Occidente e non sarà l’ultima.

Ma più che una smentita, la presa di posizione della Casa Bianca sembra soprattutto un’apertura di credito alla possibilità di avviare negoziati sull’Ucraina, dal momento che arriva in contemporanea con la pubblicazione del piano di pace. Non ora, non ancora, ma l’apertura c’è perché la notizia dell’aiuto militare a Mosca serviva ad affondare sul nascere le prospettive evocate dal piano cinese.

Peraltro, al netto della retorica bellicista, proseguono i segnali possibilisti in tal senso sui media mainstream. Di oggi un articolo di


Modello coreano

Così nel testo: “Se nessuna delle parti otterrà successi significativi nei prossimi mesi, il conflitto potrebbe dirigersi verso un cessate il fuoco. Gli ucraini, anche se forse non avranno recuperato completamente i loro territori, avranno respinto un nemico aggressivo. I russi, da parte loro, possono mascherare la loro sconfitta strategica spacciandola come una vittoria tattica. Il conflitto sarà congelato, un risultato tutt’altro che ideale. Tuttavia, se abbiamo imparato qualcosa dalla guerra di Corea, è che un conflitto congelato è meglio di una sconfitta totale o di un’estenuante guerra di logoramento”.

Molto interessante anche un altro cenno dell’articolo, quando si spiega che l’invasione della Corea del Sud da parte del Nord – che fu spinto a compiere questo passo da Stalin – che diede avvio a quella guerra, fu favorita dai “segnali fuorvianti provenienti dagli Stati Uniti. Primo tra tutti la famosa dichiarazione del Segretario di Stato Dean Acheson del 12 gennaio 1950, che escludeva la Corea dal ‘perimetro difensivo’ americano. Combinato con intercettazioni di intelligence, ciò fu sufficiente per rassicurare Stalin – a torto – che gli Stati Uniti non sarebbero intervenuti in Corea”.

È quanto successo anche in Ucraina, quando, prima del 24 febbraio, Biden, rispondendo alle domande su una possibile invasione russa, spiegava che l’America avrebbe difeso ogni centimetro dei Paesi Nato, aggiungendo, però, significativamente che l’Ucraina non era parte della Nato. Dinamica identica, dunque, anche se diverse le motivazioni.

Sulla stessa linea del Nyt, Josh Hammer il quale su Newsweek spiega che gli interessi dell’Ucraina e degli Stati Uniti non coincidono e quindi c’è “un interesse estremamente scarso (se non nullo) negli Stati Uniti su dove saranno tracciate esattamente le linee di confine [delle due nazioni] nell’Ucraina orientale, dove la popolazione è estremamente divisa tra etnia ucraina e etnia russa”.

Addolcire la pillola con la ricostruzione

In parallelo a questi articoli, lo scritto di Philip Short sul Time, nel quale si legge: “Sebbene nessuno sia pronto a dirlo apertamente, si può dubitare che la Casa Bianca segua l’Ucraina sul fatto di scacciare le truppe russe da tutti i territori che ha occupato”. Aggiungendo che la riconquista delle Crimea, “nella quale la maggior parte della popolazione si considera russa e che, dal punto di vista di Mosca, è una regione russa come le altre, pone il rischio di innescare quel tipo di escalation ingestibile che l’amministrazione Biden intende prevenire”.

E dal momento che la vittoria non può arridere a nessuno dei due contendenti, prosegue Short, è probabile che l’America alla fine si accordi con Mosca accettando che essa conservi parte del territorio ucraino. Ovviamente, la leadership ucraina percepirà tale intesa come un “tradimento”, ma alla fine si allineerà e “l’Occidente addolcirà la pillola inviando massicci aiuti per la ricostruzione”.

Si può facilmente immaginare che la maggior parte di tali aiuti saranno richiesti alla Ue, cosa che consentirà agli Stati Uniti di depauperare/subordinare ulteriormente l’Europa occidentale e di rafforzare quella orientale, scelta da Washington come gendarme armato sia nei confronti di Mosca che verso il resto del Vecchio Continente.

Non è una buona prospettiva per i cittadini europei e la loro libertà, se si tiene presente, solo a titolo di esempio, che attualmente esiste un sito semiufficiale nel quale sono iscritti i nemici dell’Ucraina da eliminare, elenco nel quale è stato inserito anche l’iconico cantante Rogers Waters.

La macelleria e la follia

Intanto prosegue la macelleria, che i media d’Occidente derubricano a fattore secondario per evitare che si pongano domande scomode sulla necessità di inviare armi a Kiev. Se ogni giorno si leggono notizie, più o meno enfatizzate, sulle enormi perdite russe, poco ci si sofferma sui militari ucraini inviati a morire al fronte, esaltandone invece l’eroismo.

La realtà di quanto sta avvenendo è stata accennata da un mercenario americano alla Abc, il quale ha affermato che la vita media in prima linea è di “quattro ore”. Questa macelleria va fermata. Continuare a inviare armi e a parlare di una vittoria ucraina, che tutti sanno che non arriverà, serve solo a perpetuarla.

Ma come detto, non sembrano prospettarsi svolte a breve. E nel frattempo si addensano nuove criticità sulla Transnistria, regione della Moldavia al confine ucraino rimasta sotto il controllo di Mosca dopo il crollo dell’URSS. La Russia allarma su una possibile invasione da parte delle forze ucraine, la Moldavia smentisce.

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