L'incidente del drone e il NYT che parla di "spreco di proiettili" da parte di Zelensky

17 Marzo 2023 17:00 Piccole Note

L’incidente del drone americano che si è schiantato al largo della Crimea dopo aver incrociato i velivoli russi tiene banco. Scott Ritter, veterano dell’Us Army, in un’intervista ha spiegato che l’ira americana per l’asserita violazione dello spazio aereo internazionale da parte dei russi sarebbe malriposta.


Sull’incidente grava la controversia sulla Crimea

Anzitutto perché è normale che un Paese in guerra dichiari lo spazio aereo strettamente interessato alle operazioni militari, come quello prospicente la Crimea, zone di esclusione, onde evitare incidenti ed equivoci (si potrebbe ricordare, in proposito, anche l’abbattimento del Malaysia Airlines 17 durante la prima guerra ucraina – luglio 2014 – con le controversie successive sulla responsabilità del caso).

A complicare le cose il fatto che gli Stati Uniti non riconoscono la Crimea come russa, per cui lo spazio prospicente per Washington è internazionale per i russi non lo è. Una questione “semantica”, suggerisce Ritter.

Al di là della controversia sulla Crimea, la prudenza avrebbe dovuto suggerire di evitare il sorvolo di un’area che i russi avevano dichiarato di esclusione se si voleva tener fede agli impegni presi dalle due potenze, in maniera implicita ed esplicita, tesi a evitare uno scontro diretto tra esse.

Inoltre, a stare alla reazione Usa, sembra che il drone stesse compiendo un giro turistico, per cui l’intercettamento sarebbe proditorio e ingiustificabile. In realtà, il drone stava monitorando la Crimea per dare informazioni agli ucraini per poter indirizzare i propri attacchi, come avviene normalmente in questa guerra per procura. Attacchi che producono vittime e danni alle infrastrutture russe.

Sotto questo profilo, l’America partecipa in maniera “attiva” al conflitto, spiega Ritter, e sebbene i russi finora si siano astenuti da contrastare attivamente tale ingerenza, l’intercettamento del drone può essere considerato un’azione a difesa del loro territorio o, anche negando la nazionalità russa della Crimea, del territorio che ospita i propri militari.

Ritter si diverte a ipotizzare uno scenario che veda i russi aiutare un nemico degli Stati Uniti a uccidere i suoi militari e a distruggere le sue infrastrutture, immaginando la furiosa reazione di Washington. Ma l’esercizio lascia il tempo che trova: la polarizzazione attuale, che vede nei russi il male assoluto e negli americani il bene del mondo, non lascia spazio alla ragionevolezza.

Per fortuna l’amministrazione Usa, pur protestando vibratamente, ha evitato di drammatizzare più di tanto la questione. Lo scambio di opinioni avvenuto tra i rispettivi ministri della Difesa e il parallelo scambio di vedute tra i due Capi di Stato maggiore ha fatto il resto.


L’incidente aereo e la sua drammatizzazione

Abbiamo parlato di incidente e non di abbattimento perché di questo si è trattato. Il fatto che l’aereo russo abbia gettato del carburante sul drone, spiega Ritter, è una manovra di disturbo nota, come anche il volo ravvicinato, che avrebbe dovuto convincere chi pilotava da remoto il drone a virare.

Il comunicati ufficiali dei due Paesi divergono proprio sull’ultimo punto, dal momento che i russi dicono che i piloti del drone non sono stati capaci di portarlo in salvo, mentre gli americani parlano di manovre spericolate del jet russo, che avrebbero portato a una collisione che ha messo fuori uso l’elica del velivolo senza pilota (nel video diffuso dalle autorità statunitensi tale collisione non si nota; ed è difficile da credere: a quella velocità avrebbe dovuto riportare danni anche il jet russo).

Ma sono particolari. È ovvio che i rivali geopolitici si addossino l’un l’altro le responsabilità dell’accaduto. Ciò che conta è che gli Stati Uniti hanno convenuto sul fatto che l’incidente non è stato causato da un attacco, cosa che avrebbe complicato tutto.

Così sono rimaste isolate le voci del senatore Lindsey Graham, che ha chiesto di abbattere i velivoli russi, e del senatore Marco Rubio, che in parallelo ha chiesto di inviare altri droni nello spazio aereo conteso, ma scortati dall’aviazione. La richiesta di dare inizio alla Terza guerra mondiale per la caduta di un drone dà la misura della follia che alberga in certe stanze del potere di Washington.

Ma al di là della pazzia dei falchi, tale drammatizzazione, creata anche dalla diffusione del video dell’intercettamento, aveva uno scopo ben preciso. Serviva a creare il terreno per un ulteriore escalation del conflitto. Non è un caso, infatti, che il giorno dopo la Polonia abbia annunciato l’invio di quattro Mig a Kiev.

È la prima volta che Kiev riceve aerei da combattimento, una richiesta avanzata da tempo e perorata ossessivamente dai falchi in stile Rubio e Graham. Poca cosa quattro jet, però sblocca l’invio di aerei da altre nazioni (a ruota si è aggiunta la Slovacchia). La logica è quella dell’escalation graduale che non tiene in nessun conto, però, l’ipotesi che si potrebbe arrivare a un punto di rottura con la Russia. Tant’è.


Il Nyt: Kiev spreca troppe munizioni

Molto interessante, per dar conto anche degli sviluppi sul campo di battaglia, un articolo del New York Times odierno che spiega come gli sponsor dell’Ucraina siano preoccupati per la decisione di Zelensky di difendere allo stremo Bakhmut, perché ciò sta comportando un consumo eccessivo di munizioni da parte delle forze di Kiev, mettendo a repentaglio la possibilità di condurre l’attesa controffensiva.

Il Nyt riferisce che il Pentagono ha messo in guardia anche di recente Kiev su tale “spreco” di proiettili e sui rischi che ciò comporta per il futuro sviluppo della guerra. Gran Bretagna e Usa, riferisce ancora il Nyt, si apprestano a inviare un’altra massiva spedizione di proiettili, “ma un alto funzionario della difesa americana lo ha descritto come un ‘ultimo tentativo’, perché gli alleati dell’Ucraina non hanno abbastanza munizioni per tenere il passo con essa e le loro scorte sono estremamente basse. Le aziende occidentali stanno aumentando la produzione, ma ci vorranno molti mesi prima che le nuove forniture possano iniziare a soddisfare la domanda”.

Così è probabile che l’esercito ucraino sia costretto a condurre l’offensiva primaverile “affrontando una persistente carenza di munizioni […]. Gli Stati Uniti sperano di produrre 90.000 proiettili di artiglieria al mese, ma è probabile che servano due anni. L’Unione europea sta mettendo insieme le risorse per produrre e acquistare circa un milione di munizioni. Ma anche ciò richiederà tempo”.

Non solo lo spreco di proiettIli, infatti, “in aggiunta a questa incertezza, [c’è da considerare che] le perdite ucraine sono state così pesanti che i comandanti dovranno decidere se inviare unità per difendere Bakhmut o usarle in un’offensiva primaverile, hanno affermato diversi funzionari”.

La decisione di difendere Bakhmut a tutti i costi grava tutta su Zelensky. E anche Politico ha rilevato come questa decisione abbia suscitato “diffidenza” nei suoi sponsor d’Occidente. Se la controffensiva non ci sarà o dovesse fallire e il contraccolpo della caduta di Bakhmut fosse più significativo di quel che prefigurano gli analisti d’Occidente, Zelensky si troverà a navigare in cattive acque.

Il secco niet alla sua richiesta di apparire alla cerimonia degli Oscar – che ha reiterato il niet dello scorso anno – indica quanto l’America possa essere brutale quando i suoi sudditi sono di disturbo.

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