L'Urlo di Severgnini: “Non chiamateli migranti, sono ostaggi”, il libro-appello che non può restare inascoltato

di Giulia Bertotto

Il saggio L'Urlo- schiavi in cambio di petrolio (L.A.D. 2022) di Michelangelo Severgnini è un viaggio da incubo necessario e un saggio imprescindibile, se si vuole comprendere davvero il cosiddetto fenomeno migratorio. L'autore allarga la prospettiva del lettore sconvolgendola, come del resto è successo anche a lui, ammette: dalle coste italiane ci porta verso l'orizzonte sud e da esso ai campi di prigionia della Tripolitania dove le milizie torturano, stuprano e derubano la popolazione sia attraverso reti sistematiche sia in maniera umorale e disorganizzata.


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C'è un faro che guida Severgnini nella sua ricerca, ed è la convinzione che nessuno come le vittime protagoniste di queste imposture e soprusi possa riportarli meglio di loro; ed è per questo che L'Urlo è un testo interattivo, un prezioso archivio che rimanda a codici QR, messaggi vocali e screenshot di chat Whatsapp che gli ostaggi delle prigioni libiche gli hanno mandato (nel libro scoprirete come sia possibile). Il lettore può quindi ascoltare e vedere direttamente gli appelli dei giovani nelle prigioni libiche, seviziati per poi chiedere riscatti alle famiglie. Un solo urlo si leva da questi lager: “evacuazione”, che significa ritorno a casa. Attenzione, il passaggio è fondamentale: queste persone, spesso ragazzini, non fuggono da guerre e povertà, ma sono stati attratti con l'inganno verso una terra promessa europea che però è solo un'esca: vengono rapiti, finiscono a fare da scudo umano nelle basi militari della Tripolitania o ad imbracciare le armi (pena la morte istantanea), mentre per le ragazze c'è la schiavitù sessuale. Così si finanziano le milizie libiche. Il gommone poi è solo l'ultimo ricatto: “o muori o ti imbarchi”. Quel che conta è che il materiale umano tra rapiti e rilasciati (alle onde) sia sempre funzionale ed equilibrato ai bisogni delle milizie libiche. Si stima siano 700 mila le persone in questa condizione. Ed è nelle loro mani che va riportato il discorso, afferma Severgnini: questo è ciò che il suo lavoro si è impegnato a fare con efficacia ma senza perdere tatto.

Ma allora perché l'Europa sta ad aspettare che queste persone vengano buttate in mare invece di liberarle direttamente dalle prigioni libiche? La domanda è proibita perché la risposta è ripugnante, ma non c'è altra soluzione se non dirla, urlarla, se ne nessuno la vuole sentire. L'Europa ha bisogno di raccontare alla pubblica opinione come ci sia un flusso continuo di migranti in fuga, invece la maggior parte di queste persone sono giovani ingannati e mercificati. La questione resta confusa solo finché non si comprende il collegamento tra “migranti” e petrolio: “ Il favore che l'Italia fa alla Libia è quello di chiudere gli occhi, è riconoscere le milizie (bande armate di estremisti mafiosi) e la loro impunità circa i traffici di esseri umani”[1]. In cambio l'Italia riceve petrolio sottobanco e sottocosto, a prezzi sanguinosamente vantaggiosi. C'è insomma un patto muto e sordido per “il riconoscimento e il finanziamento di un governo criminale”[2] affonda l'autore. A monte della dialettica strumentale porti aperti/porti chiusi ci sono i rapporti tra l'Europa e la Libia dettati dallo scambio di risorse, e la politica interna alla Libia, che versa in stato di guerra civile.

Dunque apriamoli gli occhi, per leggere e per vedere che in Libia l'illegittimo governo Sarraj materialmente difeso e finanziato dalle braccia criminali delle milizie sulla pelle dei ragazzi rapiti, veniva riconosciuto niente di meno che dalle Nazioni Unite, e senza che mai avesse ricevuto approvazione dal parlamento.

I cittadini di Tripoli, spiega l'autore, non sono stati terrorizzati dalla guerra tra il generale Haftar e l'ex primo ministro Sarraj, ma principalmente dal fuoco tra l'esercito libico legittimo e le milizie che saccheggiano le case e vendono le persone. E questo non per una percezione miope dei fatti, anzi la visione limitata e fosca è quella che abbiamo in Europa, a causa ad un apparato stampa che ha il compito di sorreggere l'impianto di bugie che fanno comodo all'Ue.

Il nostro scrittore e regista, parla di una sorta di ossessione ideologica per il mare “lasciapassare politico” e chiave di volta morale che apre le porte del cuore degli europei alla pietà: la politica e i media hanno condizionato l'opinione pubblica sul fatto che sia nobile sperticarsi per salvare chi viene dal mare e del tutto normale lasciar marcire tra le sevizie coloro che si trovano sequestrati nelle carceri. Ma a metterli in mare sono stati proprio i trafficanti libici, attirandoli con false promesse di benessere! E sarà la Guardia Costiera libica a riportarli sul territorio -dove valgono ora il doppio- e a rimetterli nei guai. Parafrasando un detto lo scemo guarda il mare quando gli si indica la terra, scrive l'autore.

La vera liberazione allora non è quella degli stati africani dai governi locali (che per via di stereotipi consideriamo sempre barbari), ma quella dell'Africa dal Vecchio Continente, il quale spesso appoggia i gruppi criminali che lì spadroneggiano. A descrivere i fatti il più delle volte non è il dilemma “Europa o morte” ma l'equazione: Europa è morte.

Il lavoro di Severgnini è una fatica di Sisifo[3], condannato a far rotolare continuamente verso la cima di una montagna un macigno che, una volta spinto sul crinale, ricade sempre giù a valle. L'evocazione del mito non serve ad auto-incensarsi ma ad esprimere uno sfiancante senso di impotenza: ambasciate sorde, sindaci pusillanimi, media potentissimi che remano contro, politici più o meno interessati alla tratta e disinteressati al suo sacrificio umano. L'autore affronta tutto questo “senza fondi, solo per amore della verità. E per amore del mio paese”[4]. È importante notare infatti come anche il cittadino italiano venga raggirato “trasformando un dramma politico in un'orgia emozionale”[5] tra sensi di colpa e smania di redenzione tramite devoluzione alle associazioni o voto arcobaleno. Invece di cedere a sensi di colpa sterili proviamo a guardare meglio: stiamo ignorando la tragedia di questi giovani sequestrati per continuare lo scambio del greggio. Gli stati coinvolti nel mercato del carburante a prezzo d'uomo sono gli stessi che finanziano le ONG ed è evidente che non lo fanno se non in ragione di strategie geo-politiche.

L'Urlo, oltre a farsi portavoce di denuncia da parte delle migliaia di testimonianze raccolte, propone, avanza soluzioni politiche e diplomatiche concrete: smettere di trattare con le milizie tripolitane perché sono sacche di potere paramilitare e stragista (il che però vuol dire trovare modi leciti e più costosi per portarli avanti), smantellare il sistema di potere corrotto e schiavista, aprire corridoi umanitari con la Tunisia e per il salvataggio aereo dei prigionieri. Inoltre occorre una campagna che scoraggi i giovani all'idea di raggiungere l'Europa, contrastando l'effetto pull factor delle ONG con una comunicazione pubblica che non sia marketing della traversata facile e li renda consapevoli dei pericoli a cui vanno incontro.

E noi cosa possiamo fare? Possiamo chiedere alla politica e ai giornali di accendere i riflettori sul lavoro di Michelangelo Severgnini. Perché solo un'indagine fuori dai circuiti degli interessi in ballo può smascherare la truffa umanitaria e contribuire all'emancipazione dei cittadini libici.

Scrive il controverso filosofo Nietzsche in Genealogia della morale, che per l'uomo "Non è la sofferenza in sé stessa il problema, bensì il fatto che il grido della domanda a che scopo soffrire? restasse senza risposta"[6]. La tragedia dell'umanità non è sopportare il fatto che si soffra, ma accettare il fatto che si soffra senza uno scopo. Informandoci senza più temere i nostri tabù, diffondendo le ricerche che riescono a divincolarsi dalla stampa complice e parlando con le persone che incontriamo, possiamo collaborare affinché L'Urlo del dolore non resti senza risposta.

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[1] L'Urlo p. 212

[2] Ivi p. 120

[3] Ivi p.17

[4] Ivi p. 2

[5] Ivi p. 116

[6] F. Nietzsche, Genealogia della morale (1887), Milano 1968, Adelphi Edizioni, p. 366. Gli scritti del filosofo tedesco sono problematici anche per ciò che concerne proprio questioni razziali e schiavitù, ma non per questo rinunciamo a riportare al lettore questa dolorosa riflessione sulla condizione umana.

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