Marcello Foa: "Con Trump c'e' la possibilità di combattere davvero l'Isis"



Fenomeno Trump. Cambiamento o restaurazione? Isolazionismo o espansionismo in nuove aree? Un momento epocale per il mondo oppure business as usual? Lotta contro le corporazione finanziarie interne o nuovo impulso predatorio per Wall Street?

Tanto abbiamo letto e ascoltato dall'8 novembre scorso. L'AntiDiplomatico ha iniziato una serie di interviste con esperti, intellettuali e amici del nostro sito per orientarsi meglio per il futuro.

Dopo l'intervista con il filosofo, saggista e documentarista Andre Vltchek*, autore (con Noam Chomshy) di “Terrorismo occidentale”, Ponte alle Grazie, oggi pubblichiamo le risposte di Marcello Foa, giornalista e scrittore italiano. Dirige il gruppo editoriale svizzero Corriere del Ticino-Media Ti e vicepresidente di Asimmetrie, l'associazione economica fondata e presieduta da Alberto Bagnai.



Intervista.



La vittoria di Trump nelle elezioni dell'8 novembre vengono descritte come un punto di non ritorno. Secondo diversi analisti, la vittoria di Trump ha addirittura reso Angela Merkel “il leader del mondo libero”. Si tratta di un cambiamento così radicale per il futuro del mondo?

“Sì nel senso che per la prima volta da molto tempo è stato eletto un presidente che non appartiene all’establishment e che pertanto non condivide l’agenda su temi come - difesa, globalizzazione, finanza – che hanno accomunato repubblicani e democratici (al di là delle apparenze). E’ lo stesso establishment che ha guidato e condizionato gli alleati europei, i quali ora si trovano privi dei propri referenti naturali e sotto lo choc dell’altra grande rottura: la Brexit.
Solo per questo siamo di fronte a una rottura epocale; il che ovviamente non significa necessariamente che Trump sia un buon presidente; dovrà essere valutato sui fatti. L’esaltazione della Merkel, decisamente sopra le righe, testimonia lo smarrimento degli analisti”.



Le elezioni statunitensi sono state uno dei momenti più bui per contenuti e persone proposte nella storia del paese. La sfida tra Clinton e Trump ha fatto sollevare la questione della necessità di un terzo partito che dia democraticità ad un sistema sempre più in crisi. E' d'accordo?

Il sistema americano è chiaramente in crisi a mio giudizio per l’involuzione delle élites che lo animano e che si sono trasformate in una casta autoreferenziale, troppo ricca, troppo potente e staccata dalla realtà: ricordano la nobiltà francese prima della Rivoluzione. Non so se la nascita di un terzo partito sia la soluzione: di certo gli americani reclamano a gran voce un ritorno allo spirito e ai valori della Costituzione americana e della Dichiarazione di Indipendenza. La vittoria di Trump indica che il Paese reale non si sente più rappresentato dai politici tradizionali ed esige risposte nuove.


In Europa si bolla il fenomeno Trump come “populismo” e lo si associa a tutti coloro che dal continente criticano le misure d'austerità imposte dall'Unione Europea o che criticano le Nato. Cosa pensa del concetto di populismo e dell'utilizzo che ne viene fatto oggi dai media mainstream occidentali?

E’ scorretto. Populismo vuol dire tutto e nulla. Il punto è che se movimenti “fuori dagli schemi” hanno successo sapendo interpretare un malessere reale, prima di parlare di “populismo” con chiari intenti squalificanti, i media dovrebbero interrogarsi sulle cause che hanno provocato questo malessere e sull’incapacità dei partiti tradizionali di risolverle. Si scambia deliberatamente la causa (crisi e i incapacità) con l’effetto (nascita di forze nuove che vengono bollate come populiste). L’accusa di populismo però non fa più presa come prima, come dimostrano la Brexit e Trump.


Quali saranno i cambiamenti che Trump imporrà all'interno: i diritti civili, già ampiamente limitati dall'11 settembre, subiranno pesanti conseguenze?

E’ troppo presto per dirlo: aspettiamo che la squadra sia completata e il discorso di insediamento. Prima di giudicare dobbiamo capire quali sono gli obiettivi reali dell’Amministrazione Trump


In politica estera, Donald Trump ha promesso un miglioramento delle relazioni con la Russia. Che impatto avrà la vittoria di Trump sul futuro delle relazioni in Siria e Ucraina?

Questa è la grande speranza per noi europei: con Trump c’è la possibilità di combattere davvero l’Isis e di aprire una nuova fase molto più costruttiva nel rapporto con la Russia; andando dunque nella direzione opposta a quella a cui ci avrebbe condotto Hillary Clinton. Di conseguenza sarà più facile anche stabilizzare finalmente la Siria e giungere a un accordo di pace. Trump vuole rompere i disegni strategici dell’Amministrazione Obama e sembra determinato a seguire questo corso. Speriamo sia di parola.


Sempre in campagna elettorale, Trump ha avuto parole di fuoco contro la Cina. Crede che realmente arriverà ad uno scontro frontale con Pechino, ad esempio sulla questione del mar cinese meridionale? E in uno scontro commerciale uscirebbero vincitori gli Stati Uniti?

Io credo che Trump sarà prudente nel confronto con un colosso come la Cina, almeno inizialmente. Non dimentichiamo che è un uomo d’affari e che è un pragmatico. Siccome Pechino possiede diversi mezzi di ritorsione, mi aspetto un atteggiamento più cauto e graduale rispetto ai proclami elettorali. Uno scontro commerciale duro non è nell’interesse di nessuno.


In considerazione anche della Brexit, ci stiamo muovendo verso un ritorno ad un maggior ruolo degli stati nazionali rispetto agli organismi sovranazionali che dominano la globalizzazione?¨


E’ possibile ed auspicabile. Di certo l’agenda globalista rischia di subire una clamorosa e inattesa battuta d’arresto. Sarebbe già un successo che gli organismi sovranazionali, che non sono affatto neutrali ma contribuiscono a realizzare quell’agenda, venissero imbrigliati e, possibilmente, ridimensionati, ridando significato e forza al concetto di sovranità nazionale, che à fondamentale in ogni democrazia e che permetterebbe ai governi nazionali di riprendere i propri poteri e dunque di poter riformare davvero i propri Paesi.


Qual è il suo giudizio sull'eredità di Obama e verrà ricordato come l'ultimo leader della globalizzazione?

Obama è il presidente che ha tradito le aspettative degli elettori e che da fautore del cambiamento si è trasformato in custode dell’establishment molto favorevole a un mondo globalizzato. Non so se sarà l’ultimo, di certo è stato un convinto e attivo sostenitore della globalizzazione. Considerando il quadro geostrategico, non lascia un mondo migliore ma ancora più instabile, soprattutto nel nord Africa, in ampie zone dell’Asia e dell’Eurasia. La guerra al terrorismo proclamata da Bush e continuata da Obama non ha avuto altro effetto che di aumentare il terrorismo.

Alessandro Bianchi

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