G. Cremaschi: "Ma quale icona pop il Che, Repubblica rispetti la storia"

Prosegue il ricordo del Che dell'AntiDiplomatico attraverso un ciclo di interviste.

Di seguito il contributo di Giorgio Cremaschi



50 anni dalla morte del Che. Quale il suo lascito principale e che attualità nelle lotte internazionaliste odierne?

L’attualità a 50 anni dalla morte di un rivoluzionario come il Che è estrema. Partirei da questo: un rivoluzionario deve provare a fare la rivoluzione. E il Che ha provato varie volte fino all’ultimo giorno della sua vita. Questo il lascito più importante. Avevo 19 anni ed ero un giovane membro della Federazione giovani del PCI quando seppi della notizia della morte di Che Guevara. Come Federazione eravamo stati molto critici dell’attendismo del PCI, per i quali il Che era considerato quasi un estremista. Noi avevamo tutt’altra posizione e lo abbiamo fatto presente in tutte le sezioni.
Se vogliamo provare a sintetizzare, l’attualità della figura del Che è data dal fatto che oggi i margini di mediazione sono inesistenti. O rottura con il sistema o restaurazione. Vie alternative non esistono, il riformismo oggi non è possibile.


Ci sono quindi meno margini di mediazione dei tempi di Che Guevara?

Esattamente. L’esperienza di Bolivia, Venezuela dimostrano oggi come la lotta per il socialismo preveda una lunga marcia. Le lotte contro il nemico imperialista e capitalista sono dure e l’attualità di Che Guevara è in due aspetti principalmente. Primo, tutti coloro che oggi vogliono costruire una società diversa basata su principi opposti a quelli predatori del neo-liberismo non può oggi non partire dalla rottura: rottura contro l’imperialismo degli Usa, dell’Unione Europea e della NATO. Punti di riferimento imprescindibili da cui è nata, ad esempio, la piattaforma Eurostop. E secondo sulle ingiustizie sociali. La necessità di lottare ovunque l’ingiustizia sociale preclude ad un popolo la libertà e l’autodeterminazione di emanciparsi dalle catene del neo-liberismo e dell’imperialismo.


Da Repubblica al mainstream in generale si sta compiendo un’operazione che vuole tentare di normalizzare il Che. Perché?

Repubblica oggi lo descrive come una “icona pop”. Si cerca di trasformarlo in un cantante rock per esorcizzarlo, per catalogarlo con il sistema. Il Che è un rivoluzionario, comunista, anticapitalista e antiimperialista con una storia di lotte e rivoluzione. Ha combattuto ed è stato assassinato combattendo. Chi oggi sventola la sua bandiera deve ricordare bene questo. Deve avere a mente questo. Il resto è puro tentativo di mistificazione per fuorviare la sua storia, la sua eredità, il suo messaggio per i giovani.


Quando vede che a osannarlo oggi sono gli stessi che in Venezuela hanno tifato golpisti e in Ucraina neo-nazisti post Maidan cosa pensa?

Inorridisco. Ma sono abituato a questo tentativo di trasformazione della figura di Che in quello che non è. E torniamo al discorso che facevamo per Repubblica. Deve essere chiaro a tutti coloro che sventolano una sua bandiera o indossino la sua maglietta che il Che era un rivoluzionario che lottava contro l’imperialismo, contro il colonialismo, contro il capitalismo e per la libertà di emancipazione dei popoli. Oggi sarebbe in America Latina dalla parte di chi si oppone al ritorno dell’Imperialismo e quindi sarebbe con la Rivoluzione Bolivariana e con tutti coloro che cercano di impedire che la regione torni ad essere il cortile di casa degli Stati Uniti.

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