Intervista a William Castillo, viceministro Esteri venezuelano e "comunicatore sociale", in Italia per Più Libri Più Liberi



di Geraldina Colotti

William Castillo, giornalista, viceministro degli Esteri venezuelano per la comunicazione internazionale, si è speso senza riserve nell’organizzazione del Congresso internazionale della comunicazione, che ha chiuso i battenti a Caracas, mettendo come sempre al servizio del proceso bolivariano la sua provata esperienza nel settore della comunicazione. Castillo ha svolto diversi incarichi importanti, dalla docenza universitaria alla direzione della Commissione delle telecomunicazioni, alla presidenza della Tv di Stato, VTV, a ruoli di governo, ma preferisce definirsi “un comunicatore sociale”, impegnato a smascherare la guerra mediatica contro la rivoluzione bolivariana e “a aumentare la coscienza del popolo con la battaglia delle idee”. Lo abbiamo intervistato alla vigilia del suo viaggio in Italia. Domani 7 dicembre alle 14, Castillo è atteso alla Fiera Più Libri Più Liberi, per presentare il volume Hugo Chavez. Così è cominciata, edito da PGreco. Alle 18, incontrerà i movimenti nella sede del Laboratorio Granma, via dei Lucani, 11 (Roma, quartiere San Lorenzo), e poi proseguirà per Pavia, Genova, Campobasso.

Quale bilancio fai del Congresso internazionale della Comunicazione e quali sono le aspettative?

Quello sulla comunicazione è stato un congresso molto importante, che ha concluso i diversi momenti di solidarietà internazionale decisi durante il Foro di Sao Paolo per articolare i capitoli di un’agenda comune dei movimenti popolari e della sinistra a livello mondiale: “Adesso parlano i popoli”, questa è stata la consegna. Per contrastare la campagna di menzogne e false notizie diffuse dai grandi gruppi monopolistici a livello globale, è necessario appoggiare le lotte di rivendicazione unendoci in una rete di comunicazione che abbia come obiettivo quello di elevare la coscienza politica dei popoli, cercando le forme adatte. Per questo, dal congresso è emersa la proposta di una università internazionale della comunicazione che dovrebbe essere attiva già dal prossimo anno: pronta per ricevere studenti, attivisti di movimenti sociali e di partiti, femministe, che possano formarsi gratuitamente in tutti gli ambiti della comunicazione sociale e acquisire strumenti di alta qualità e tecnologia, necessari per affrontare la guerra mediatica. Vediamo quel che sta succedendo in Bolivia, dove i media censurano e occultano la realtà del colpo di stato e della repressione, così come succede in Cile, in Ecuador. Oggi, in America Latina, vi sono le condizioni affinché i movimenti popolari si uniscano in un’articolazione politica e comunicativa. Un’idea meravigliosa, che il presidente Maduro ha assunto in pieno, approvando gli strumenti affinché possa realizzarsi al meglio.

Inizialmente, l’idea dell’università riguardava solo il continente latinoamericano, poi si è allargata al resto del mondo. Quale può essere il contributo dall’Europa, dove il processo di privatizzazione ha reso quasi inaccessibile questo percorso formativo ai settori popolari?

Il ruolo che possono giocare quei movimenti sociali, quei partiti politici che hanno resistito alle ondate di privatizzazione e di razzismo in Europa è molto importante. Esperienze che possono incontrarsi con quelle di Cuba, Bolivia, Nicaragua… C’è una grande capacità tecnica e politica che può essere messa a frutto in una piattaforma comunicativa interattiva che metteremo a disposizione dei giovani che vogliano incontrare l’esperienza del Venezuela e quella dei paesi in resistenza nella Patria Grande. E’ necessario unirsi nella battaglia delle idee per sconfiggere la destra anche concettualmente, usare le nuove tecnologie per costruire comunità virtuali consapevoli e agguerrite con un’agenda di lotta comune. Il presidente Maduro ha elencato una serie di obiettivi minimi su cui potremmo ritrovarci a livello internazionale cercando una unità nelle diversità: no alle privatizzazioni, no alla precarizzazione del lavoro, all’attacco alle pensioni, al salario… Sì all’educazione gratuita e di qualità, sì al sistema di salute pubblica, al rispetto per l’ambiente, alla difesa dei diritti delle donne, alla difesa dei diritti di tutti i popoli. Punti che possono unirci al di là delle differenze. Si sono date le condizioni per avanzare nell’agenda comune decisa dal Foro di Sao Paolo, un gran progetto internazionalista della sinistra che per noi è un gran progetto di lotta. Occorre contrastare una poderosa campagna mediatica e simbolica che, anche usando la magistratura a fini politici, vuole distruggere politicamente e moralmente la direzione politica progressista di tutta l’America Latina.

Il volume Hugo Chavez. Così è cominciata, che tu presenterai alla Fiera del libro di Roma mostra l’internità del Comandante alla sinistra radicale venezuelana durante la IV Repubblica. Tu che facevi all’epoca?

Sono da sempre un comunicatore sociale. Ero un dirigente studentesco, poi ho diretto il centro studentesco della comunicazione all’Università Centrale, poi sono stato professore universitario nello Stato Aragua, sempre nell’area di comunicazione… Ma, intanto, lasciami dire che per noi è un onore che intellettuali impegnati abbiano dedicato il loro tempo a presentare al pubblico italiano la realtà del Venezuela, l’inizio del movimento politico, dell’unione civico-militare. E’ importante tornare al quel periodo, spiegare il contesto in cui è avvenuta la ribellione civico-militare di Chavez nel 1992. Un’irruzione che ha sorpreso molti di quelli che, come me, venivano da un discorso antimilitarista nel contesto latinoamericano in cui imperversavano i gorilla e i golpe della Cia. Temevamo un colpo di stato militare. Nel 2002, dopo il golpe contro Chavez, vedendo come il popolo lo ha riscattato, molti hanno però preso coscienza e si sono incorporati a questo straordinario processo di democrazia popolare, che ha ridato i diritti al popolo, ha ridistribuito la ricchezza e ha innalzato la bandiera di una seconda indipendenza. Dal 4 febbraio del 1992, il popolo ha detto basta a una decade di saccheggio e di discredito della politica. Quella rivolta è fallita, ma da lì è iniziata la costruzione di un passaggio dalle armi alla lotta politica che ha portato alla vittoria elettorale del 1998 e alla rivoluzione bolivariana che sta costruendo una seconda e vera indipendenza per il nostro paese e per l’America Latina.

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