Venezuela, la lunga marcia dei media alternativi. Intervista a Simon Arrechider



di Geraldina Colotti

Simon Arrechider è molto giovane, ma ha al suo attivo già vari incarichi di rilievo nella rivoluzione bolivariana. Attualmente è direttore sia dei Media comunitari e alternativi e sia del canale informativo Radio Nacional de Venezuela (RNV). Lo abbiamo incontrato al Congresso internazionale della comunicazione che si è appena chiuso a Caracas, al termine di una intensa giornata di incontri e dibattiti.

Quale importanza assume questo congresso nella difficile congiuntura che attraversa il paese?

La comunicazione ha un ruolo fondamentale in questa guerra di quarta generazione dove il nemico getta tutto il suo peso per cercare di destabilizzare il popolo, di seminare il caos. Uno dei principali motivi per cui abbiamo conservato la nostra rivoluzione è che il nemico non ha potuto penetrare psicologicamente nel popolo venezuelano. Parte di questo merito è dovuto alla lotta e alla mobilitazione nella difesa delle conquiste della rivoluzione, ma anche alla comunicazione, alla formazione che genera coscienza nel popolo e che da noi è un bastione importante del proceso bolivariano.

Nei paesi capitalisti, a ricoprire incarichi direttivi in determinati settori di solito sono persone che hanno il doppio dei tuoi anni. Perché in Venezuela è diverso?

A 22 anni ero già presidente della gioventù di Caracas, ho anche lavorato con Otaiza, sono stato direttore municipale antidroga nel municipio di Caracas, un lavoro molto gratificante basato sulla prevenzione nei licei e nelle scuole. La rivoluzione ha dato ai giovani un ruolo da protagonisti, assolutamente diverso dalla politica dell’usa e getta praticata dalla destra. Questa è una rivoluzione che deve mantenersi nel tempo, per questo noi giovani ci stiamo formando per governare per i prossimi cento anni in questo paese e nel continente. Chi, come me, ha 35 anni, sta già preparando le generazioni successive a rilevare il testimone e superarci.

Durante l’ultimo sabotaggio alla rete elettrica, RNV ha svolto un ruolo importantissimo, come avete vissuto quei giorni e quali lezioni ne avete tratto?

Il primo giorno dell’attacco al sistema elettrico io e Isbemar Jiménez, presidenta della radio stavamo aspettando informazioni ufficiali. Quando ci siamo resi conto dell’entità del sabotaggio abbiamo realizzato che ci aspettava un compito arduo. Siamo rimasti alla radio, a trasmettere a oltranza, dapprima in 4 o 5, poi sono arrivati altri. Ci siamo collegati con tutti i media alternativi e comunitari affinché si connettessero con il segnale dell’emittente per potenziare il segnale. Il popolo comunicatore ha giocato un ruolo importante. Noi abbiamo aperto i microfoni per contrastare le fake news che stavano girando sulle reti sociali e parlavano di saccheggi, devastazioni. Menzogne smentite in diretta dalle persone che chiamavano, raccontavano quel che accadeva davvero. Quel periodo, dopo il primo e poi dopo il secondo attacco al sistema elettrico nazionale, è stato quello in cui ho imparato di più sulla radio in tutto il tempo che ho diretto il canale. Trasmettevamo per 9 ore senza interruzione, passando informazioni con grande senso di responsabilità perché una notizia mal data poteva generare il caos. Avevamo coscienza del ruolo che giocavamo. Con la sua fermezza, Isbemar ci dava lezioni di giornalismo. E’ stata un’esperienza molto interessante, un’interazione con tutto il popolo, che si è mantenuto in allerta e ha cercato in ogni modo di comunicare. Ci sono state persone che si sono messe in strada con una batteria della macchina, di un telefonino o di una canaimita hanno trasmesso quel che stava succedendo a tutto un quartiere. Per 30 giorni di seguito siamo stati tendenza in twitter. Alcune volte ci hanno attaccato anche sulle reti sociali, a riprova che stavamo facendo un buon lavoro.

La legge sulla comunicazione, in Venezuela, ha intaccato il latifondo mediatico, dando spazio all’informazione alternativa. Quanto cammino c’è ancora da compiere?

L’organizzazione del potere popolare e in questo caso i media alternativi comunitari, sono parte di un processo non lineare ma a spirale in cui si sviluppano diversi livelli di organizzazione che danno voce al popolo. In questo abbiamo fatto passi giganteschi. In tutto il paese esistono circa 650 media comunitari alternativi che si esprimono in diverse forme: radio, televisione, e anche stampa. Nonostante la guerra economica, stiamo continuando a innovare e ad aumentare il livello di organizzazione e la capacità di pianificare gli sforzi per far fruttare al meglio le poche risorse che abbiamo. Ci manca un po’ più di comprensione del momento storico, dobbiamo ancora affinare le forme di organizzazione e il metodo di lavoro per trasformare i media alternativi e comunitari in una grande forza collettiva. Non può esistere un media comunitario alternativo separato dal popolo comunicatore, altrimenti il vantaggio che si ricava è solo sul piano lavorativo per le persone che ne fanno parte, ma non si utilizza appieno il potenziale contenuto. La rivoluzione bolivariana è dinamica, si reinventa costantemente. Vi sono nuove forme di comunicazione che nascono o si stanno sviluppando: nella milizia bolivariana, nei Clap, nei consigli comunali, nelle comunas. Una forza che va convogliata per evitare di disperdere energie e risorse e potenziare al massimo le possibilità che hanno i media alternativi e comunitari.

Quali aspettative ripongono i media comunitari in questo congresso?

Tutti gli spazi deputati qui all’organizzazione e all’incontro sono per così dire il cervello che ci consente di scambiarci conoscenze e saperi: per inglobare e rendere coesa questa gran forza rappresentata dai media comunitari e alternativi con il popolo comunicatore. Sono convinto che da questo spazio, e dalla qualità esistente in RNV ci sarà un salto organico nel paese che consentirà di mettere in campo reti della comunicazione a livello internazionale. Stiamo misurando i nostri progetti e le nostre aspettative, ma anche osservando quelle di altri paesi nei nostri confronti, che abbiamo visto anche negli altri congressi internazionali. Molti di coloro che vengono qui da altri paesi restano impressionati dal nostro livello organizzativo. Questo ci riempie di orgoglio, ma è anche motivo di stimolo a non adagiarci, perché sappiamo che c’è ancora molto da fare.

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