Giulio Tarro, virologo esperto di emergenze epidemiche. "Prima cosa da fare è staccare la spina da un'informazione ansiogena e ipocrita"


di Francesco Santoianni


In questi tempi di paura da Coronavirus, impazzano sui media le opinioni di esperti; pochi tra questi, comunque, hanno affrontato emergenze epidemiche. Un motivo in più per intervistare il prof. Giulio Tarro virologo di fama internazionale anche se inviso dalla baronia accademica italiana per le sue posizioni sull’obbligatorietà dei vaccini.


Intanto, un suo parere sul rischio rappresentato dal Coronavirus COVID-19

Al netto di paroloni scientifici e riferimenti ad articoli pubblicati su riviste più o meno prestigiose, possiamo dirla così: il rischio rappresentato da lCOVID-19 è sostanzialmente uguale a quello delle tante epidemie influenzali che si registrano ogni anno senza per questo provocare scalpore. Ma invece di risponderle all’inevitabile successiva domanda “Ma, allora come si spiega questo panico?”, mi permetta una considerazione.


Prego...

Solitamente, in una situazione come l’attuale, l’esperto di turno intervistato, alla domanda “Ma lei se la sentirebbe di escludere completamente l’eventualità di una catastrofica epidemia?” ci pensa due volte prima di rispondere con un inequivocabile “sì”. Intanto, perché precludersi un qualche finanziamento alle proprie ricerche che potrebbe scaturire dall’allarmismo? E poi, meglio tenerseli buoni i media che proprio sulla paura raccattano audience. L’esperto, allora, si rifugerà nel vago, con dichiarazioni che non escludono nulla e che, nei casi peggiori, sono tradotti in titoli quali “Il Prof Tal dei Tali: niente panico, ma potrebbe essere una catastrofe”


Panico per una catastrofica epidemia che si direbbe non nuovo per l’Italia...

Veramente, nel 1973, quando scoppiò il colera a Napoli, al di là di qualche folkloristica “barricata”, notai soprattutto confusione; una situazione che si ripropose nel 2003 quando una folla inferocita di parenti di familiari lì ricoverati per la SARS tentò una sorta di “assedio” all’Ospedale per malattie infettive Cotugno, dove ero Primario. Episodi riportati da tutti i giornali del mondo ma che avvenivano in una città certamente preoccupata ma che non vedeva l’attuale arrembaggio dei supermercati da parte di persone che, evidentemente, temono di dover morir di fame in chissà quale lazzaretto.
Panico generalizzato e costellato anche da qualche episodio di violenza, invece, nel 1978 durante il cosiddetto “Male Oscuro” provocato – mi permetta una vanità: lo scoprii io – da virus respiratorio sinciziale, che colpisce quasi tutti i bambini entro i due anni di vita, e che in alcuni casi provoca la morte.



E perché quel panico?

Intanto, perché erano bambini a morire. Poi perché un numero elevatissimo di bambini affetti da bronchiolite erano stati dirottati, da tutti gli ospedali della Campania, nell’ospedale pediatrico Santobono di Napoli. Lì, la morte (anche per sciagurate diagnosi e “terapie”) di alcuni di questi cominciò a trasformarsi sui giornali in una “epidemia di Male Oscuro” che terrorizzò tutta la popolazione. Panico che certamente sarebbe aumentato se si fosse imposto uno screening di massa per cercare il virus che, certamente, avrebbe determinato un numero spropositato di ricoveri e il collasso dei sistemi sanitari.


Eppure, oggi, c’è chi chiede una intensificazione dello screening per cercare il virus COVID-19

Facciamo un esempio. Ogni anno muoiono in Italia circa diecimila persone (per lo più anziane o affette da qualche patologia pregressa) per virus influenzale. La cosa non fa notizia, soprattutto perché queste morti sono disseminate in tutto il territorio nazionale. Immaginiamo ora che tutte le persone a rischio vengano ricoverate in paio di posti, magari circondati da giornalisti alla ricerca di qualche scoop. Stia pur certo che la conseguente “epidemia di influenza che può causare la morte” spingerà innumerevoli persone (ogni anno sono colpiti da sindrome influenzale circa sei milioni di Italiani) a pretendere analisi e una assistenza impossibile ad ottenere.


Quindi, che fare?

Intanto staccare la spina ad una “informazione” – ad esempio, come quella che sta trasmettendo la RAI – ansiogena e ipocritamente intrisa di appelli a “non farsi prendere dal panico”. E questo, soprattutto, per permettere alle strutture sanitarie interventi mirati. Quali questi debbano essere non mi permetto qui di suggerirli in quanto, nonostante lo sfascio del Sistema Sanitario Nazionale, abbiamo ancora in Italia ottimi esperti. L’importante è che siano lasciati in grado di lavorare.

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