Sulle rivoluzioni in America Latina, sugli attuali attacchi imperialisti e sul socialismo cubano. Intervista ad Alessandra Riccio

Come segno della collaborazione che la nuova rivista “Cumpanis” vuole intraprendere con “L’Antidiplomatico, vi invio questa intervista (da noi ancora non pubblicata e dunque inviatavi in anteprima) che abbiamo fatto, come saluto alla sua entrata nella nostra redazione, ad Alessandra Riccio.

Fosco Giannini, direttore di “Cumpanis”

Sulle rivoluzioni in America Latina, sugli attuali attacchi imperialisti e sul socialismo cubano

“Cumpanis” intervista Alessandra Riccio

a cura di Laura Baldelli

D. L'analisi della fase attuale, avanzata dalla redazione di Cumpanis, è in sintesi, la seguente: siamo di fronte ad una crisi profonda del capitale e la pandemia ne è solo il detonatore, mentre il capitale tende ad addebitare al coronavirus i grandi problemi sociali già esistenti e che a breve esploderanno. Crediamo anche che in questo contesto centrale dovrebbe essere il ruolo di lotta, in Italia e altrove, delle forze comuniste, antimperialiste, anticapitaliste, che però nel nostro paese, sono drammaticamente deboli e divise. Qual è il tuo punto di vista?

R. Penso che “le forze comuniste, antimperialiste, anticapitaliste siano drammaticamente deboli e divise” in buona parte del mondo, che “la crisi profonda del capitale” dura ormai da troppi anni e che non sarà la pandemia il detonatore che lo farà esplodere. Al contrario, penso che proprio il capitale trarrà vantaggio da questa sciagura essendo forte e per niente diviso quando di guadagnare e imporre si tratta. L’escalation della FCA degli Agnelli ne è una prova nostrana. Ma che il capitalismo sia putrefatto e agonizzante non significa che morirà di morte naturale: sarebbe necessario che le forze di cui sopra la smettano di dividersi e indebolirsi e trovino il comune denominatore per riorganizzarsi e riprendere quella forza che è indispensabile per poter ingaggiare qualsiasi battaglia. Una delle lezioni che ho appreso da Fidel Castro (e che il suo popolo ha appreso assai meglio di me) è stata la sua insistente predica sull’unità, sull’agire insieme sulle cose prioritarie condivise che sono spesso le cose essenziali per dare avvio ad un cambiamento di sistema, per rendere concreta la speranza di un altro mondo possibile.


D.Tu che sei una studiosa ed un'attenta osservatrice delle questioni dell'America Latina, ritieni che in questa parte del mondo, dopo i grandi moti antimperialisti e le vittorie delle forze di sinistra dell'ultimo quindicennio, ora si sia di nuovo scatenata l'azione controrivoluzionaria delle classi dominanti e degli USA? Quale situazione generale riconosci in America Latina oggi?

R. Non è che lo ritenga io, è che si è scatenata davvero un’azione controrivoluzionaria negli ultimi anni; è sotto gli occhi di tutti. Ma vorrei precisare che la parola “moti” è molto riduttiva se si parla, ad esempio, delle grandi trasformazioni avvenute in Venezuela e in Bolivia, ma anche al Brasile di Lula e di Roussef con il loro rivoluzionario programma “fame zero”, all’Ecuador della Revolución ciudadana di Correa che caccia dal territorio le basi militari statunitensi, all’Argentina dei Kirchner che dà il benservito al Fondo Monetario Internazionale. Si tratta di misure rivoluzionarie attuate in Repubbliche parlamentari rispettose delle istituzioni nazionali ed internazionali, con le particolarità del Venezuela e della Bolivia dove Ugo Chávez ed Evo Morales hanno dato vita a vere e proprie rivoluzioni sociali, con audacissimi capovolgimenti di assetti borghesi e capitalisti, con la scrittura di Costituzioni realmente rivoluzionarie in cui lo Stato assumeva un ruolo sociale determinante. I nostri intellettuali e i nostri politici hanno prestato poca attenzione a quei cambiamenti e non hanno dedicato il tempo che meritavano a studiare quei rivolgimenti.
Dunque, non i moti ma i movimenti rivoluzionari che hanno attraversato il subcontinente nei primi dieci anni del nuovo secolo sono stati presto ridotti nella lettura mainstream a folclorici esperimenti di un territorio folclorico che intanto, nel 2005 aveva commesso un atto di superbia che non poteva essere perdonato dagli Stati Uniti, il potente vicino del Nord che ha sempre considerato l’America Latina come il cortile di casa. In quella data, a Mar del Plata, i Presidenti rivoluzionari hanno affossato il progetto di una zona di libero commercio dal polo nord alla Terra del Fuoco, disegnata dall’Amministrazione Bush per servire ai propri interessi, e hanno dato vita all’ALBA, Alleanza Bolivariana che riuniva i paesi progressisti, compresa Cuba, esclusa, come d’abitudine, dalla IV Cumbre de las Américas, l’assemblea che avrebbe dovuto confermare il predominio statunitense. Io insisto che è stato questo gesto audace a determinare l’urgenza, da parte di Washington, di annullare, uno per uno, tutti i nuovi progetti rivoluzionari di autonomia e sovranità in atto, e per farlo si è fatto ricorso anche a nuove forme di destabilizzazione e di colpi di stato. Con il vergognoso golpe della Añez in Bolivia, si è consumato un vero delitto contro un paese multietnico e plurinazionale che aveva scritto nella sua costituzione che la Madre Terra aveva i suoi diritti che andavano difesi. Il Venezuela, maltrattato da tutti i nostri media, sta resistendo a continui, molteplici e a volte ridicoli tentativi di azzerare venti anni di rivoluzione boliviana. Alla potenza di tiro statunitense bisogna aggiungere i continui colpi bassi delle classi dominanti interne a ciascun paese che difendono con le unghie e con i denti i loro privilegi.

D. Una questione che molto ci appassiona e che è centrale per tutta l'America Latina: che cosa accade nella Cuba post Fidel Castro? È partito il nuovo piano economico -politico, di cui si parlava durante la malattia di Fidel e subito dopo la sua morte? Noi non abbiamo sufficienti notizie per capire se il programma è in atto, come si sta sviluppando o se è stato ridimensionato. E se ciò è accaduto, come sembra, perché?

R. La Cuba che solo qualche settimana fa ha mandato due brigate mediche in soccorso alla Lombardia, e contemporaneamente in altri 24 paesi del mondo, è la Cuba di cui mi chiedi. Come è noto, nel 2007 Fidel Castro è stato vittima di una malattia grave che circa dieci anni dopo lo ha condotto alla morte, nel suo letto e poco prima di compiere i 90 anni. Nel 2008 la carica di Primo Ministro è stata affidata a Raúl Castro, uno dei grandi combattenti per la Rivoluzione e per la costruzione del nuovo Stato. Da qualche anno il Presidente in carica è un dirigente nato nel 1960, cioè un anno dopo la Rivoluzione. In questi pochi anni di governo gli è toccato affrontare la rabbia di Trump contro l’isola ribelle con il relativo rincrudimento del blocco commerciale, economico e finanziario che da quasi sessanta anni strangola il paese; un ciclone devastatore e l’epidemia di coronavirus con le sue conseguenze drammatiche sulla principale industria cubana, quella del turismo. Aggiungiamoci gli abituali colpi bassi, le mitragliate di fakenews e i tentativi di destabilizzazione, l’ultimo dei quali è una sparatoria notturna contro l’Ambasciata di Cuba a Washington. In mezzo a tutti questi ostacoli, il governo di Díaz Canel è riuscito a portare avanti un’importante riforma costituzionale e a mantenere in rotta la navicella della piccola isola ribelle, di cui, in barba alla realtà geografica, alla sproporzione nelle dimensioni e nella potenza, Rai1, ancora nei giorni scorsi, raccontava quasi si parlasse di due paesi alla pari: “… mentre Fidel Castro continuava a sfidare gli Stati Uniti.”
Alla luce della nuova costituzione, ratificata dall’intera popolazione in un processo di consultazione durato circa un anno, nelle condizioni che ho descritto, il paese progredisce lentamente; non è un paese consumista, non è un paese capitalista; perfeziona poco a poco il suo socialismo, coltiva la solidarietà e l’internazionalismo anche se gli capita, come è successo qualche settimana fa, di dover comprare l’intera nave che trasportava il petrolio acquistato dalle casse dello stato per poter permettere alla nave-cisterna di attraccare in un porto cubano. Un paragrafo della Legge Helms-Burton, che regola l’embargo, proibisce per sei mesi l’attracco sulle coste statunitensi di qualsiasi nave che abbia fatto sosta in un porto dell’isola. Sarebbe ora che la comunità internazionale chiedesse a gran voce l’abolizione totale e definitiva del blocco statunitense contro l’isola di Cuba, e insieme la restituzione della base militare di Guantanamo dove si violano i diritti umani e la legalità internazionale da quasi venti anni sotto gli occhi di tutti. L’Assemblea Delle Nazioni Unite si è stancata di votare all’unanimità (con l’eccezione di USA e Israele) per l’abolizione del blocco. E poi sarebbe Fidel/Cuba a sfidare gli Stati Uniti?

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