PNRR, lavoro e sanità. Intervista ad Adriano Sgrò, Coordinatore di Democrazia e Lavoro Cgil

13 Maggio 2021 17:00 La Redazione de l'AntiDiplomatico

Adriano Sgrò, 56 anni, di origini siciliane, impiegato al Comune di Milano, laureato in Scienze Politiche con tesi in “Legislazione del lavoro sul sindacato nei Vigili del Fuoco”, precedentemente segretario nazionale della Funzione Pubblica Cgil, oggi è il coordinatore di Democrazia e Lavoro, area interna del sindacato, spesso critica con la linea di Landini.

Lo abbiamo intervistato per l'AntiDiplomatico.

-Sgrò, iniziamo da un argomento attualissimo: contrariamente alle esternazioni ufficiali della triplice sindacale, la vostra area non ha mancato di esprimere profonde perplessità in merito al Recovery Found. Ce le riassumerebbe?

Democrazia e Lavoro ha posto alcune riserve di fondo sin dalla nomina di Draghi in ragione della rocambolesca operazione che abbiamo denunciato nella sua forma evidente di severa cancellazione di alcune timide manovre redistributive che il Conte bis aveva pur varato. Quanto al PNRR e alla declinazione del Recovery Fund si è trattato in questi giorni di denunciarne innanzitutto le dinamiche relative alla sua stessa definizione che non hanno riconosciuto alcun ruolo alle Organizzazioni Sindacali. Ciò svela una certa inconsistenza del richiamo all’unita’ del Paese in un periodo in cui il mondo del lavoro ha contribuito con grande responsabilità e tantissimi sacrifici al superamento della crisi sanitaria.

Analizzando quindi nel complesso la copiosa documentazione del PNRR, pur non volendo semplificare, a noi è sembrato che l’impianto sia nel solco di politiche di stampo liberista, con grande disattenzione sugli impegni ambientali. Appare poi incerto rispetto alla crescita e poco focalizzato sulle necessità che la Pandemia ha svelato anche ai più distratti.

-Sanità: un settore svilito e mortificato da decenni di tagli, venuto alla ribalta con l'attuale pandemia. Tutt'ora però a dispetto dei proclami si continua a trascurare la sanità pubblica, rinunciando anche a rifondare una medicina di prossimità territoriale che potrebbe dare una grossa mano alle cure domiciliari ai malati di covid al loro stato iniziale, evitando la congestione delle sale ospedaliere. Manca la volontà politica, le risorse o cosa?

Sulla Sanità la grande preoccupazione che sorge alla lettura del Piano non è riferibile alla quantità di risorse programmate; si tratta invece di denunciare i tratti ancora una volta errati degli obiettivi che il Paese si pone.

Tra l’altro se si considera che con il recente Def , per decisioni governative il rinnovo dei contratti, riferiti anche a medici ed infermieri , viene fatto slittare al prossimo 2022 è facile immaginare che ancora una volta il Ministro Brunetta voglia riattualizzare la sua crociata contro i pubblici dipendenti. Si aggiunga che per ciò che concerne lo sbandierato piano straordinario di assunzioni, non risulta ancora chiaro in quale capitolo siano previste queste risorse e se davvero nel paese saranno programmati i rinfoltimenti delle dotazioni organiche.

Mancano posti letto, la medicina territoriale è in condizioni pessime, quella generale e dei Medici di famiglia risulta del tutto sconnessa rispetto alle reali necessità, mentre nel paese si continua a puntare alla cura ed alla ospedalizzazione in luogo della prevenzione e si continuano a trasferire risorse ai privati, autentici colossi imprenditoriali, che lucrano sulle inefficienze provocate da una cattiva politica al servizio di capitale ed imprese. Il PNRR su questo non opera alcuna cesura netta.

Tuttavia, mentre noi denunciamo la gravita di queste condizioni, ci preoccupa sempre il Def che al proprio interno, in uno dei collegati, riporta in auge la spinta verso il potenziamento dell’Autonomia differenziata che rappresenterebbe il definitivo affossamento di un Servizio Sanitario pubblico, gratuito e solidaristico. Insomma una regressione anche anticostituzionale che ci preoccupa parecchio.

- Entriamo ora in un ambito che lei conosce assai bene, quello del pubblico impiego: come finirà la partita del rinnovo dei contratti collettivi?

Io prevedo un grave rischio legato ancora una volta ad una rinuncia a riformare la Pubblica Amministrazione poiché anche l’impostazione di Draghi tradisce una filosofia che intende mortificare risorse e professionalità. A noi appare assurdo che per modernizzare i gangli della macchina amministrativa si continui a destinare risorse così basse sia per i rinnovi contrattuali ( siamo attualmente ad aumenti che non superano i 60 euro netti al mese), che per le assunzioni o l’introduzione di nuove tecnologie.

Parliamo di Scuola, Ricerca, Ospedali, Enti locali e cioè di quella nervatura pubblica che ha tenuto in piedi questo paese.

Sono molto più efficienti dirigenti e impiegati pubblici che spesso con pochissime risorse, si pensi alla Scuola, hanno fatto si che anche nelle fasi più violente della pandemia non sia mai arretrato il perimetro di presenza dello Stato a garanzia dei cittadini soprattutto più deboli.

E nel Pubblico Impiego si è evitato il licenziamento di massa per donne e precari che nel mondo del lavoro in generale abbiamo conosciuto.

Io non sono tra quelli che si scoraggiano, tuttavia penso che per ribaltare questa condizione di ulteriore compressione professionale, salariale e infrastrutturale, occorrerà davvero una mobilitazione continua fino a riproporre lo sciopero generale.

- Che futuro prevedete per il primo sindacato italiano?

Parlo della Cgil e dico subito che dobbiamo spostare il baricentro della nostra azione dentro i luoghi di lavoro- anche quelli del controllo con gli algoritmi- e sul territorio dove il sistema di produzione della ricchezza predatorio e ingiusto genera povertà, sfruttamento e disuguaglianze.

Dobbiamo quindi cambiare modello, alleggerire le strutture meno vicine alla contrattazione ed ai servizi di prossimità, abbiamo quindi la necessità di aprirci all’esterno, con grande generosità e senza logiche di apparato burocratico, verticistico e gerarchizzato.

Dobbiamo mantenere alta la discussione all’interno della Cgil, tutelare la dialettica e ogni pluralismo di idee.

Nell’era imperante della post ideologia, dove è facile finire con metodi populisti e leaderistici, la Cgil invece deve ancorarsi ad un progetto collettivo e di democrazia rappresentativa, con chiare impostazioni classiste e antifasciste!

La Costituzione insieme agli interessi dal lavoro sono i nostri saldi riferimenti.

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