Trattori, Monica Di Sisto: "Questa protesta è giusta se mira alle cause strutturali dei problemi di mercato"

di Giulia Bertotto per L’AntiDiplomatico

Monica Di Sisto è una giornalista romana e consulente esperta in commercio internazionale e vicepresidente dell’osservatorio Fairwatch sul commercio mondiale e sul clima. Le abbiamo chiesto come interpreta la rivolta dei trattori che sta infiammando l’Europa, compreso il nostro paese, e che sta raggiungendo anche Roma.



Oggi è il fatidico 8 febbraio, come procede la mobilitazione dei trattori verso Roma?

Dalle ultime notizie che mi arrivano un gruppo di 1500 trattori dovrebbe raggiungere la zona di San Giovanni, un altro gruppo vorrebbe invece bloccare il GRA, tuttavia ci sono problemi di comunicazione quindi non tutti gli agricoltori sono coordinati con la testa del corteo. Inoltre si sta negoziando con la Questura di Roma. Probabilmente il clou della dimostrazione capitolina si svolgerà domani, venerdì 9 febbraio. Purtroppo, l’aspetto più grave al di là dei problemi logistico-organizzativi, è che a mio avviso si combatte ancora con i mulini a vento del Green: pesticidi ancora non entrati in vigore, la Pac che coinvolge solo il 20% circa delle aziende; ma le vere difficoltà che colpiscono i trattori non sono la carne sintetica o la farina di grilli (non ancora almeno), date le irrisorie dimensioni del fenomeno, quanto i problemi di mercato e la concorrenza sleale, o i prodotti esteri che arrivano ai consumatori con il marchio del Made in Italy ma non rispettano alcuno standard di qualità e sicurezza. I veri problemi che il settore primario (soprattutto piccoli e medi) avrebbe incontrato in un contesto di liberalizzazioni selvagge qual è quello attuale era più che prevedibile, soprattutto con la finanziarizzazione delle derrate alimentari più grandi e importanti, perché i prezzi vengo ormai decisi in borsa; è evidente che se si trasforma il cibo in una merce finanziaria succede ciò che abbiamo visto: produttori indipendenti e che non entrano nelle filiere industriali patiscono.


C’è poi il tema dei trattati di liberalizzazione internazionale.

Sì, questi ultimi sono stati utilizzati dall’agroindustria per ottenere la massima disponibilità di materia prima con il minimo degli standard possibili: è questo che l’Europa vuole, abbattere gli standard senza dirlo ai consumatori ma a colpi di liberalizzazioni commerciali. I marchi DOP; DOC ecc, sono una piccola fetta del mercato, ma nel mondo si esporta prosciutto italiano fatto con maiali di ogni parte del globo. A meno che non sia un prodotto IGP, tutelato da un disciplinare specifico: la materia prima può arrivare da qualsiasi parte, purché la trasformazione sia stata svolta in Italia. Ad esempio possiamo trovare bresaola della Valtellina a dicitura italiana, scoprendo però che non è fatta solo di buoi ma contiene carne di zebù brasiliani. Le grandi organizzazioni agricole hanno in gran parte acconsentito a queste politiche, dobbiamo ribadirlo.


La Commissione europea si è dichiarata disponibile a ritirare il Regolamento sull’uso sostenibile dei pesticidi (Sur) per elaborare una nuova normativa meno vincolante.

Il tema dei pesticidi e della presunta prima resa di Bruxelles è una lusinga che può trarre in inganno, tuttavia non si tratta solo di dire stop ai pesticidi ma di trovare un’alternativa funzionale e realistica. Se la Von der Leyen fa delle concessioni ritirando il Sur è nell’interesse di Bayer e a Syngenta, grandi multinazionali che producono anche semi e fertilizzanti, e non certo per offrire un aiuto ai nostri contadini.


Quindi questa protesta rischia già di essere un’occasione mancata?

Io credo che questa protesta sia giusta laddove miri alle cause strutturali dei problemi di mercato, non serve a nulla se invece si ottengono cedimenti e concessioni marginali. Se gli agricoltori non identificano e non rivendicano come problema il sistema di mercato, sarà un’agitazione senza risultati. Anche gli organi della comunicazione stanno insistendo sulle cause più superficiali, quelle che impressionano l’opinione pubblica, e non su quelle profonde e radicali, che davvero interessano il nostro benessere, quello ambientale, e quello della nostra economia. Concorrenza sleale, beni prodotti in modo diverso senza verifiche che implichino criteri omogenei, sacche di lavoro nero e nessuna legge a protezione del cibo come del lavoratore, in zone prive di controlli legali nazionali, questi sono i punti sui quali non si deve arretrare. Bisogna proteggere i territori, e la salute di chi coltiva, ma servono investimenti pubblici adeguati e una strategia nazionale che poggi su un profondo cambiamento di sistema, altrimenti sono altri soldi persi.

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