Con Stepan Bandera nella UE?


di Fabrizio Poggi
In un breve video diffuso nella tarda mattinata di ieri dal canale tv Rossija, il Ministro degli esteri ucraino, Pavel Klimkin si dichiarava assolutamente sicuro del risultato positivo (per Kiev) del referendum olandese sull'associazione dell'Ucraina alla UE. Le cose, come sappiamo, sono andate diversamente e il 61,1% dei votanti è risultato esere “agente del Cremlino”. A quanto pare, agenti involontari di Mosca si sono rivelati anche, come nota RIA Novosti, i milioni gettati dal Fondo Soros nella campagna per il “sì”, le “rivelazioni” dello stesso Fondo Soros che hanno incluso Petro Porošenko nei Panama papers, le centinaia di agitatori ucraini andati in trasferta nel paese dei tulipani e la macchina mediatica ufficiale olandese, che hanno attizzato una campagna referendaria altrimenti smorta: se all'inizio di marzo appena il 50% degli olandesi sapeva del referendum, a due settimane dal voto la percentuale era balzata al 90%. Infine, nota RIA Novosti, ha fallito proprio la carta principale giocata dai “pulcini del nido Soros”, gli agitatori ucraini in Olanda, che avevano cercato di riprodurre nelle condizioni dei Paesi bassi la retorica russofoba di euromajdan: sbagliando totalmente i calcoli.

Il risultato della consultazione, per la verità, sembra non intaccare la parte dell'accordo relativa alla zona di libero commercio tra Ucraina e UE, di competenza sovranazionale. Solo il Consiglio d'Europa può annullare l'accordo: ipotesi, come scrive
RIA Novosti, “estremamente improbabile, dati gli interessi geopolitici della UE”.

Ciononostante, qualche lacrimuccia ha solcato le guance del presidente ucraino Petro Porošenko che, riporta Interfax, ha definito l'obiettivo degli organizzatori del referendum nientepopodimeno che “attacco all'unità d'Europa e alla diffusione dei valori europei”, ha ringraziato quegli olandesi che hanno votato sì e ha assicurato che, in ogni caso, il risultato non costituirà un ostacolo sulla strada dell'eurointegrazione dell'Ucraina, sulla “via alla modernizzazione dello stato ucraino, al rafforzamento della sua indipendenza”. Dato il carattere consultivo del referendum, ha ammiccato Porošenko non senza fondamento, la parola finale, spetta comunque a governo, parlamento e politici olandesi; e forse a qualche struttura un paio di centinaia di km a sudovest di Amsterdam, ha omesso di aggiungere – perché “l'Ucraina, così come la libertà, non possono essere fermate”. Avvertendo comunque l'aria non proprio favorevole, alla vigilia il diplomatico ucraino Vladimir Vasilenko aveva anticipato la reazione di Porošenko, arrivando a dire che: "In ogni caso, le autorità olandesi hanno già deciso, anche se il risultato del referendum sarà negativo per l'Ucraina, il governo non ne terrà conto”. Ma, nota il politologo Vladimir Kornilov su RIA Novosti, come mai il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker aveva definito il possibile “no” al referendum una “"crisi continentale"? Come che sia, nota Kornilov, da molto tempo Kiev è andata vantandosi del fatto che Ucraina e UE hanno concluso “un accordo unico, allargato e onnicomprensivo", che non ha analoghi. Di conseguenza, è un accordo di quelli cosiddetti “misti”. Kornilov cita un documento – cui si riferisce il deputato olandese Harry van Bommel – che rappresenta la decisione ufficiale del servizio giuridico del parlamento europeo e in cui è detto che “Nel caso in cui la procedura di ratifica “dell'accordo misto" (e l'accordo con l'Ucraina si riferisce specificamente a tale tipo di accordo), implementato temporaneamente o meno, non venga accolta in uno o più Stati membri della UE, tutto l'accordo non può entrare in vigore". Vedremo quale “minaccia russa” verrà escogitata da Kiev per rifarsi della batosta.

Sul momento, gli euroucraini non “cannibalizzati” (l'espressione è di Moskovskij Komsomolets) dai perfidi olandesi hanno cercato immediatamente di prendersi la rivincita e in rete sono comparsi i commenti più vari, a testimonianza dei “valori europei e democratici” dei sostenitori della “libera Ucraina”. “Quando questi olandesi chiederanno di entrare nell'impero ucraino, anche noi voteremo così”, è stato uno dei commenti non censurabili; “dunque la propaganda russa ha funzionato”; “il referendum organizzato dal Cremino non si è tenuto”, si è scritto quando ancora sembrava che il quorum non avrebbe raggiunto la soglia del 30% dei votanti. Ma, qualche ora più tardi, “ci sputiamo su questi plebei” o “Posso solo augurare agli olandesi della Repubblica popolare di Amsterdam di avere Motorola come presidente”, in sprezzante riferimento a uno dei più leggendari comandanti delle milizie di Donetsk. Nel complesso, a nessuno dei profondi commentatori ucraini, è venuto in mente che il voto olandese potesse, tra le altre cose, mettere in dubbio la sacralità di istituti che tutto hanno tranne che il rispetto della volontà dei “liberi popoli” e della loro “indipendenza” da Mosca.

E allora Porošenko, andato ad affogare la delusione a Tokio, non ha trovato nulla di meglio da fare che invitare in Ucraina il Sovrano celeste giapponese, l'imperatore Akihito. In visita in Giappone, Porošenko ha ringraziato il “tennō” per l'appoggio politico e la solidarietà che il sol levante sta prestando all'Ucraina, ma, soprattutto, “per il grandioso sostegno finanziario necessario a condurre importanti riforme”. L'atmosfera conviviale ed “eterea” dell'impero d'oriente deve essere stata così rilassante, che il presidente della frazione “Blocco Porošenko” alla Rada, Jurij Lutsenko, si è addormentato nel corso dell'incontro del presidente Petro col primo ministro giapponese Shinzō Abe. Nonostante tutto, sembra però che Petro continui a considerare Lutsenko un buon biglietto da visita della “democratica Ucraina”, soprattutto quando sul tappeto ci sono i “grandiosi aiuti finanziari” stranieri. Nel 2010, ricorda Interfax, Ministro degli interni nel governo di Julija Timošenko, Jurij Lutsenko fu accusato di peculato e condannato a 4 anni, poi graziato nel 2013.
Certo che, con tali credenziali di tutto rispetto, appannaggio (ormai anche a Washington ne sanno qualcosa) dell'intero ceto golpista, c'è solo da meravigliarsi che a Kiev si attendessero un risultato diverso dalla consultazione olandese. Se anche il “no” di Amsterdam all'accordo di associazione dell'Ucraina alla UE può essere ascritto, in buona parte, a una sicura dose di xenofobia, non pare che la Kiev putschista spicchi per manifestazioni di tolleranza e di rispetto dei vicini – i commenti ucraini al risultato referendario son lì a dimostrarlo – come è buona tradizione tra chi sventola denti di lupo e croci uncinate. Questa volta, nemmeno la “comunanza ariana” è stata sufficiente a dissipare negli euroscettici olandesi il timore di trovarsi in casa gli eredi di Stepan Bandera, che rinverdiscono i “fasti” del Terzo Reich nella cosiddetta “operazione antiterrorismo” nel Donbass.

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