La mossa “Kansas City”


di Giovanni Barbieri*

Il caso Regeni, finalmente possiamo dirlo avendo le prove, è stato forse il punto più basso toccato in Europa dai tempi della guerra in Libia.

Un’operazione, non c’è che dire, condotta magistralmente da un asse Franco-Britannico che opera al di sopra dei vincoli politici comunitari e parallelamente alla Nato, senza oltrepassare il limite segnato dalla tutela degli interessi strategici Statunitensi localizzati in questa parte del globo.

Il gioco è semplice e gli obiettivi sono stati chiari sin dall’inizio, per chi voleva vederli.

La presenza Italiana in Egitto era un elemento fastidioso per le nuove strategie di sicurezza che da qualche tempo vengono delineate a Nord-ovest del Reno. L’Italia, dagli anni ’60 in poi, è sempre stato un paese che, nel suo modesto status internazionale di provincia autonoma, ha sempre perseguito una politica estera autonoma e prudente. Complice l’eredità disastrosa della Seconda Guerra Mondiale ed i modesti mezzi politici e militari di cui potevamo godere, abbiamo trasformato le limitazioni rappresentate dall’appartenere al blocco Occidentale in qualità di potenza minore in un’opportunità: quella di tessere relazioni bilaterali mutualmente vantaggiose con i paesi Arabi e basate sul reciproco rispetto politico. Non sarà un caso se ancora oggi (e forse ancora per poco), sul sito del Servizio Informazioni di Stato del Governo egiziano le relazioni Italo-Egiziane sono le uniche ad essere definite come un “modello per tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo”.
In cosa si è tradotto il raffreddamento delle relazioni tra Italia ed Egitto a causa dell’affaire Regeni? Si è tradotto in un rafforzamento delle relazioni franco-egiziane, che culminano con la visita di François Hollande al Cairo, in occasione della quale i due nuovi partner stringeranno accordi in materia di cooperazione economica, militare e finanziaria. Non c’è che dire, un bell’esempio di solidarietà inter-europea.

Questa politica estera sottile ma efficace, negli anni, ci è costata cara.

A partire da Enrico Mattei, che lavorava per assicurare al paese una posizione sicura nel settore dell’approvvigionamento energetico al di fuori del club delle Sette Sorelle, passando attraverso la strategia della tensione che ci ha portato uno strano ed insensato terrorismo politico quasi fin dentro i palazzi del potere, arrivando fino agli omicidi ed alle ammazzatine di giornalisti e funzionari dello Stato all’estero, colpevoli di interessarsi di affari più grossi di loro.
In ogni caso, almeno a livello europeo, ci siamo portati dietro una dote considerevole in termini di relazioni bilaterali con i paesi Mediterranei: primo partner commerciale con l’Iran dal 2006, primo partner commerciale con la Siria dal 2002, primo partner commerciale con la Libia dal 2008 e, fino ad ora, primo partner commerciale con l’Egitto. Potevamo vantare, inoltre, un discreto livello di scambio commerciale anche con l’Iraq, specialmente nel settore navale e delle tecnologie estrattive, fino al 2003.

Iraq, Libia, Iran, Siria e, oggi, Egitto. Tutte tessere che sono cadute, una dopo l’altra, ridimensionando tanto il ruolo internazionale quanto il potere contrattuale dell’Italia in seno all’Unione Europea. Dietro questo susseguirsi di disfatte si sono celati, come gli eventi hanno dimostrato successivamente, interessi Francesi e Britannici, legati prevalentemente al settore energetico e, dal 2008, anche nel settore scientifico-militare in materia di controllo e sicurezza degli armamenti nucleari e sviluppo di tecnologie utilizzabili a tale scopo.

In tutti questi paesi, infatti, il settore che faceva da locomotiva al treno del commercio era quello dell’industria petrolifera dominata dall’Eni, con quote oscillanti tra il 40% ed il 50% del volume sul totale degli scambi con ciascun paese. Ed in questi paesi siamo stati sistematicamente sostituiti (se non espulsi) a beneficio di Francia e Regno Unito. Del resto, tra i PIGS, l’Italia è l’ultimo paese a potere vantare una discreta capacità industriale che, unita alle nostre riserve auree che ammontano a circa 2000 tonnellate lineari, ci rende al tempo stesso una fastidiosa spina nel fianco ed una preda appetibile per attori europei che ci considerano un paese inutile ma necessario.

E un paese inutile non può pretendere di svolgere il ruolo di attore di rilievo nel settore energetico, perché quel settore deve essere appannaggio di chi “conta” e ha bisogno di aumentare la propria quota di approvvigionamenti di combustibili fossili per abbattere il costo di produzione dell’energia primaria con cui mandare avanti il proprio apparato industriale, condizione necessaria per potere controbilanciare il peso continentale di una Germania che può permettersi di affrancarsi dai rischi legati alla dipendenza da combustibili fossili finanziando un programma (troppo costoso per gli altri) di decarbonizzazione totale dell’economia.

Eccola la mossa Kansas City. Mentre gli Inglesi mandano consapevolmente al macello un Italiano in Egitto, gli Italiani guardano a destra chiedendo verità alle persone sbagliate, mentre i Francesi, dopo la Libia, mettono la freccia a sinistra e piantano la bandierina della Total nel giardino dell’Eni anche in Egitto con la buona compagnia degli Inglesi della BP.
Nick Fisher: “Che cos'è la mossa Kansas City?”
Mr. Goodkat : “La mossa Kansas City è quando guardano a destra e tu vai a sinistra”.
Nick Fisher: “Non l'ho mai sentita!”
Mr. Goodkat: “Eehh... Non è che se ne parli tanto. Alla fine colpisce chi non vuol sentire. Questa in particolare è in preparazione da più di 20 anni.”
(cit. “Slevin, patto criminale”)

*Dottorando in Relazioni Internazionali all'Università Cattolica di Milano

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