L'Italia e il suo brutto rapporto con la Democrazia


di Alessandro Casertano


Con le recenti elezioni amministrative, tenutesi in alcune tra le più importanti città del nostro Paese, si è potuto nuovamente assaporare quel clima da derby calcistico che contraddistingue sempre questi particolari momenti della vita politica dell'elettore.


Tra veri e propri monologhi tenuti davanti ad una pizza ed una birra dal nostro amico che di politica ci capisce e dibattiti televisivi propinati in continuazione tra una pubblicità di villaggi vacanze ed una di detersivi, il brainwashing risulta sicuro al cento per cento.


Ora, a giochi fatti, i saccenti dell'ultima ora se ne escono con un «te l'avevo detto» ed un «e tu che non ci credevi...era così scontato» sfoggiando sorrisi da grandi intenditori e pavoneggiandosi a destra e a sinistra proprio come se avessero fatto quattordici al Totocalcio.


Se da una parte i sostenitori dei vincitori sono al settimo cielo e sventolando la bandiera del loro partito, giurano eterno amore a questo o quel politico, gli sconfitti tramano già vendetta, pronti a criticare il minimo sbaglio o gaffe dell'odiato avversario e dedicando ogni sforzo di dialettica politica a convicerci che la fine del mondo sta arrivando ora che al potere c'è Tizio e non Caio.


Ma non è sempre stato così? I più cinici potrebbero rispondere con «ma che puoi farci questa è la politica» calcando il tono di voce su “questa”. Sicuramente questo è un aspetto della politica, ma come ci siamo arrivati? Come mai subito dopo la vittoria del nostro rappresentante ci esaltiamo e gioiamo, per poi cadere nella disperazione più nera quando ci rendiamo conto che nulla effettivamente è cambiato?


L'altro giorno recandomi presso il seggio, ho sentito uno dei ragazzi addetti a verificare il documento di identità lamentarsi con il presidente di seggio che la gente andasse a votare «capisci, non bisogna votare, dobbiamo mandare un messaggio alla classe politica, l'astensione è una cosa seria».

Pervaso da un senso di perplessità con la mia scheda elettorale in mano e pieno di buone intenzioni mi sono fermato e mi sono posto la fatidica domanda: e se avesse ragione? Ma poi è riemersa la solita risposta: vabbè tanto comunque non cambierebbe niente...e poi sono arrivato fin qua, tanto vale votare!

Basta.


Facciamo i seri.


La Democrazia è una cosa seria. E' qualcosa per la quale molte persone hanno combattuto e sono morte.

Pensiamo ai tentativi di creare una Repubblica Partenopea tra il 1820 e il 1821 da parte di Pisacane, tentativo fallito a causa della mancanza di risposta da parte di una popolazione già soddisfatta dal regime borbonico. Pensiamo alla Repubblica Romana del 1849 voluta e teorizzata da Mazzini ed anch'essa fallita a causa dell'inefficacia di creare un accordo tra tutti i sostenitori della Repubblica. Pensiamo a quegli avvenimenti, a quanto romanticismo e passione hanno spinto filosofi, ma anche normali cittadini a mettere in gioco tutto finanche la vita. Pensiamo ad alcuni dei grandi pensatori del '900 come Gobetti e Gramsci che in una epoca storica di grande pericolo e censura politica hanno dedicato la loro vita a teorizzare un sistema che potesse essere del popolo e per il popolo. Pensiamo ai padri della Costituente, all'enorme sforzo di creare dal nulla un sistema politico e rappresentativo in grado di infondere sicurezza e stabilità ad un paese sconfitto e distrutto.


Bene. Adesso pensiamo alla nostra attuale situazione politica. Credo che oramai sia rimasto ben poco di quei valori e di quella passione che ha tipicamente accompagnato il nostro paese fino a metà del secolo scorso. Diamo la colpa alla corruzione. Diamo la colpa alla fine dei partiti cosiddetti “storici”. In realtà per assurdo la colpa è proprio della Democrazia o meglio di quello che è stata fatta diventare la Democrazia.

Il grande problema delle nostre generazioni è che ormai siamo assuefatti ad un sistema che da sempre ha accompagnato e scandito la nostra vita. Oggi si vota per il Sindaco, domani per il Presidente del Consiglio (quando questo ancora era possibile) e così via in una routine senza fine. Abbiamo perso totalmente quella capacità di analisi politica che deve essere l'elemento fondamentale per il voto.

Preferiamo partecipare passivamente ai dibattiti televisivi, lasciando ai giornalisti e agli
addetti del mestiere l'importante onere di comprendere a fondo il disegno che c'è dietro, magari prendendo poi la decisione su chi sostenere solo perchè il politico A ha la battuta più divertente rispetto al B o un sex appeal più provocante. Ricordiamoci che siamo pur sempre italiani. Come se non bastasse tutto ciò viene condito dall'articolo 48 della Costituzione che da sacrosanto, è diventato lo strumento morale per obbligare le persone a votare (altrimenti tra sensi di colpa e giudizi negativi da parte dei più rigorosi del senso civico, non andiamo molto lontano).


La politica si è fatta furba ed ha capito che sfruttando il buon nome della Democrazia e tutti i bellissimi valori che la riguardano può tenere in mano e controllare le masse. Da qui ad avere il controllo assoluto il passo è breve. Di seguito riporto due estratti della Teoria generale della Politica di Norberto Bobbio. Egli evidenzia come la democrazia non rappresenti più “un'assemblea in cui i cittadini erano chiamati a prendere esse stessi le decisioni che li riguardavano. Democrazia significa potere del démos, non come oggi, potere dei rappresentanti del démos” ed ancora “mentre oggi l'elezione è la regola e la partecipazione diretta l'eccezione, un tempo la regola era la partecipazione diretta, l'elezione l'eccezione”.

Purtroppo le cose stanno proprio così. Fa ancora più male rendersi conto che la classe politica con rare eccezioni, sta prendendo molto sul serio il ruolo teatrale che si è cucita addosso, e ne abbiamo per tutti i gusti. C'è il politico acrobata di risposte senza senso, l'analfabeta, il risentito, il molesto, c'è quello che vede populismo ovunque (probabilmente non ne conosce neanche il significato, ma è una delle parole che va per la maggiore e perchè non usarla). Poi purtroppo c'è il recidivo, che è quel particolare tipo di fenomeno politico tutto italiano che proprio non riusciamo ad impedire che non avvenga. E noi? Noi dove siamo? Noi siamo sempre al solito posto. Proprio là, pronti a lamentarci per le riforme che non servono a nulla, urlando al colpo di stato quando vi sono le nomine e non le lezioni, per le leggi senza senso che ciclicamente vengono approvate, per gli assurdi sprechi che ogni tanto vengono a galla, per le tasse, ma poi rimangiandoci tutto quando in busta paga abbiamo un paio di euro in più.


Ed ecco che prendono piede facilmente le idee estremiste «che senso ha un governo così; si stava meglio quando si stava peggio; è colpa degli immigrati (una volta era colpa dei terroni)» ecc.


La colpa è solo nostra. Noi siamo un grande popolo, ma spesso abbiamo la memoria troppo breve.


I giovani si disinteressano completamente di tutte le questioni legate al loro futuro e ancor di più al loro passato. La nostra generazione invece si è del tutto annichilita da anni di immobilità. Studiamo, informiamoci, confrontiamoci e partecipiamo con convinzione. Cerchiamo di essere curiosi e non ragioniamo per frasi fatte.


L'Italia ha un brutto rapporto con la Democrazia proprio perchè ormai abbiamo perso il suo significato più profondo. La libertà di poterci far delle domande e poterci dare delle risposte, senza terrore, senza preoccupazioni, senza il rischio di essere sbattuti in carcere o peggio. Non riduciamo e semplifichiamo sempre tutto. Il voto è una conseguenza. La rappresentanza politica quando c'è, anche. Non rimaniamoci male se il nostro politico non ha vinto. Non arrabbiamoci se il nostro politico non ha fatto nulla. Bensì cerchiamo di prevenire che accadano queste spiacevoli eventi. Viviamo come eroi romantici e facciamoci trasportare dalla passione. L'uomo è per natura un animale politico.


Ah a proposito, l'altro giorno mentre tornavo a casa, ho incontrato un mio carissimo amico che a passo spedito mi veniva incontro. La curiosità di sapere per chi avesse votato mi ha spinto ad avvicinarmi e porgli la fatidica domanda: «Allora sei andato a votare per il ballottaggio?» «Ma che sei matto? Era Domenica, ce stava il sole, sono andato al mare...poi tra traffico e stanchezza a chi gli andava de farsi la fila per votare» «Ho capito. Vabbè sarai contento che ha vinto la Raggi» «Ma che ne so. Tanto uno vale l'altro. Prima o poi magnano tutti sti politici qua. Senti adesso devo scappare che ho tempo fino alle nove de stasera per votare» «Votare? e per cosa?» «Che non lo sai? Sul sito de Studiosport. Per decidere se Conte deve giocà col 4-4-2 o col 4-3-3. Tocca sta vicino a sta nazionale, che ci può dare tante soddisfazioni» «Ah...» «Vabbè ciao Alessà e forza Italia» «Si...sempre».

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