Tutti a parlare della Risoluzione Unesco "contro" Israele. Ma qualcuno l'ha letta?

Il 18 ottobre scorso il Consiglio esecutivo dell’UNESCO (l’agenzia dell’Onu per l’istruzione, la cultura e la tutela del patrimonio storico-archeologico nel mondo), riunitosi a Parigi, ha approvato una risoluzione che riguarda il mantenimento e la difesa degli statuti e delle convenzioni internazionali relative ad alcuni luoghi sacri di Gerusalemme Est, Betlemme ed Al Kalil/Hebron, messi in discussione e violati dagli occupanti israeliani, e del diritto della popolazione di Gaza alla ricostruzione e alla fine del blocco imposto da Israele.


La risoluzione, che riguarda tutte località ed edifici facenti parte dei territori palestinesi sotto occupazione militare israeliana a partire dal 1967, ha provocato furibonde proteste da parte di Israele, che ha sospeso le relazioni con l'UNESCO. In soccorso di Israele sono venuti una miriade di giornalisti e politici occidentali: e non solo sionisti sfegatati come la colona fuori di testa Fiammetta Nierestein, ma anche, tra gli altri, Renzi e Gentiloni, con dichiarazioni polemiche l’uno e “scuse” rivolte a Israele per l’astensione, l’altro. Queste dichiarazioni lasciano stupefatti perché sembra quasi che chi protesta e polemizza non abbia nemmeno letto e valutato la risoluzione, che non mette minimamente in discussione l’importanza che alcuni luoghi sacri hanno per tutte le tre grandi religioni monoteiste (Ebraismo, Cristianesimo, Islamismo), ma chiede semplicemente che l’occupante non profitti della sua posizione di forza per mutare lo status di questi luoghi a favore di una sola religione e rispetti i diritti che le convenzioni e gli statuti internazionali assicurano ai cittadini sotto occupazione.


Infatti, da una lettura attenta e puntuale della risoluzione, si nota che - dopo una premessa che ricorda tutte le convenzioni (come quelle di Ginevra e dell’Aja), gli accordi ufficiali e gli statuti che regolano i rapporti occupante-occupato e i luoghi della Palestina - al punto 3 del documento viene sottolineata chiaramente l’importanza che “Gerusalemme e le proprie mura” hanno per tutte le tre religioni monoteiste. Successivamente (al punto 36) lo stesso discorso - sul particolare significato che i luoghi sacri hanno per tutte le tre religioni monoteiste - è fatto anche per i luoghi sacri di Betlemme (Tomba di Rachele) e Al Kalil-Hebron (Tomba dei Patriarchi e relativa moschea).


Al punto 5 viene invece stigmatizzato il fatto che Israele, quale "potenza occupante" (e quindi garante dell'integrità e dell'accessibilità dei luoghi), si abbandona invece a scavi e lavori di trasformazione illegali nell’area della città vecchia di Gerusalemme.


A partire dal punto 7, e fino al punto 20, si enumerano gli impedimenti che vengono posti dagli occupanti all’accesso dei fedeli musulmani alla Spianata delle Moschee, dove si trovano le moschee di Al Aqsa e della Roccia (posta sulla cima del colle dove un tempo sarebbe sorto - secondo la tradizione ebraica - il tempio di Salomone restaurato da Erode e poi distrutto dai Romani, di cui non è rimasta più traccia).


Vengono ricordati gli “assalti”, le “continue aggressioni israeliane verso i civili”, gli “abusi provocatori”, i danni causati dagli estremisti ebraici che pretendono di avere la piena agibilità sui luoghi oggi sacri ai Musulmani in violazione dei precedenti statuti, l’avvio di lavori illegali sulla base di progetti che stravolgono lo stato dei luoghi e invece il divieto di dare inizio ai “necessari lavori di restauro” dei danni, la demolizione abusiva di resti storici di epoca ottomana, mamelucca, e persino omayyade.


Queste accuse non sono arbitrarie, ma si riferiscono ovviamente a episodi reali, quali la “passeggiata” provocatoria di Sharon sulla Spianata delle Moschee, nel 2000, che dette origine alla Seconda Intifada e alla più recente irruzione degli estremisti sionisti e dei soldati israeliani nella Moschea Al Aqsa.


Nei successivi punti 30 e seguenti si stigmatizzano le uccisioni di civili, gli attacchi alle scuole e agli edifici culturali, il perdurante blocco e gli impedimenti posti ai lavori di ricostruzione della martoriata Striscia di Gaza.


Ai punti 35 e seguenti si ricorda che i luoghi sacri di Betlemme e Al Kalil/Hebron fanno parte della Palestina. Si denuncia il fatto che, nel caso di Betlemme, gli occupanti elevino muri ed impediscano l’accesso ai fedeli di altre religioni alla Tomba di Rachele, violando statuti ed accordi ufficiali. Nel caso di Al Kalil/Hebron, gli occupanti, non solo tentano di impossessarsi di parti della Tomba dei Patriarchi (oggi divenuta una moschea), ma elevano muri e creano posti di blocco che dividono l’intera città rendendo problematica la vita ai cittadini (di questa drammatica e quasi insostenibile situazione anche chi scrive è stato testimone diretto). Persino i bambini delle scuole sono aggrediti dai coloni ebraici e dai soldati.


La risoluzione appare quindi moderata e ben argomentata, con semplici richieste di porre fine alle espropriazioni e alle illegalità, di permettere l'accesso ai luoghi sacri, di porre fine alle aggressioni e ai lavori che modificano lo stato dei luoghi, di permettere le necessarie ricostruzioni a Gaza.


La violenta reazione israeliana è ammantata del solito vittimismo: ci si lamenta in particolare che nella risoluzione i luoghi sacri vengano indicati con i nomi arabi e che non si faccia menzione del cosiddetto “muro del Pianto”, un muro di contenimento della collina sulla cui cima si stende la Spianata delle Moschee, di epoca ottomana, eletto a luogo di preghiera dagli ebrei. Questa reazione vuol celare una realtà che è esattamente l’opposto di quanto si vuole far credere. Gli israeliani proseguono senza sosta nella loro politica di colonizzazione e annessione dell’intera Palestina occupata. I coloni già sono almeno mezzo milione e le colonie spezzettano il territorio palestinese occupato. Mentre vengono abbattuti milioni di ulivi, cioè la maggiore ricchezza della Palestina, e Israele sequestra tutte le fonti d’acqua, intere zone, come la valle del Giordano subiscono una progressiva pulizia etnica con l’imposizione di una serie di vincoli che rendono impossibile l’agricoltura e la pastorizia con la scusa che si tratta di zone di interesse militare. In quest’area la popolazione si è già ridotta di oltre il 50%.


La progressiva espropriazione dei luoghi sacri, l’effettuazione di lavori che li stravolgono, gli impedimenti all’accesso dei fedeli, le provocazioni e le angherie servono a cancellare anche l’identità culturale di un popolo, quello palestinese, che è legata anche a luoghi storici simbolici.


D'altra parte Israele, sostenuta da USA UE e NATO è abituata all'uso della pura forza e si comporta come il lupo della favola di Esopo, che - oltre a mangiarsi l’agnello - voleva anche avere ragione e faceva la parte della vittima. I politicanti ed i giornalisti occidentali che abboccano a questa retorica intrisa di falsità lo fanno un po’ forse per ignoranza, ma soprattutto perché è noto che chi vuole fare carriera, e diventare magari Presidente del Consiglio o Presidente della Repubblica, deve rendere omaggio, attraverso Israele, al padrino USA e alla potente lobby ebraica americana, molto ben rappresentata tra i più estremisti tra i falchi “neocons” che determinano la politica USA.

QUI PER LA LETTURA DELLA RISOLUZIONE

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