Una Yalta 2.0 tra Trump e Putin: lo scenario che spaventa l’Ucraina


di Eugenio Cipolla

C’è una grande sconfitta nel post-elezioni americane che tanto hanno appassionato il mondo. E non è Hillary Clinton, piuttosto un paese intero, o se proprio vogliamo essere precisi un’intera classe dirigente che ha creduto in una visione che, con la vittoria di Donald Trump, si è sciolta come neve al sole. L’Ucraina che si è svegliata con il tycoon newyorkese presidente eletto degli Stati Uniti è un paese distrutto, smarrito, che ha perso di vista la stella polare che stava seguendo da quasi tre anni a questa parte: quella dell’occidentalismo sfrenato, dell’americanismo a tutti i costi, dell’atlantismo espansionista. Adesso, però, per Poroshenko e il sistema che lo sostiene è tempo di fare i conti con la realtà.

E la realtà dice che tra qualche mese Barack Obama dovrà abbandonare la Casa Bianca e cedere il posto a un indipendente che ha trovato asilo politico presso i Repubblicani, un uomo determinato a mettere fine alle ingerenze a stelle e strisce in giro per il mondo. Lo ha ripetuto più volte Trump nel corso della sua campagna elettorale e per la sua campagna incentrata sul concetto dell’American First, del ‘Prima l’America’ ha ricevuto tante critiche ma altrettanti plausi. E’ per questo che a Kiev la sensazione generale è quella di un disimpegno progressivo da parte della futura amministrazione americana, che scatterà proprio a partire dall’insediamento di Trump.

Per quella data gli americani faranno i conti con i fatti e daranno il benservito all’Ucraina, lasciandola in una posizione di estrema debolezza, dovuta alla lunga guerra diplomatica e commerciale con la Russia. Molti, infatti, nella comunità imprenditoriale ucraina, sono convinti che l’elezione di Trump sia per il paese l’ultima possibilità per far passare le molte riforme necessarie per mantenere il sostegno da parta dell’Occidente. “L’Ucraina - ha detto l’economista Edilberto Segura, per tanti anni alla World Bank - ha una breve finestra di opportunità di tre-cinque mesi per dimostrare che il paese sta prendendo le misure necessarie per vivere all’interno dello stato di diritto internazionale. Senza queste misure, sarà difficile giustificare un sostegno costante nei suoi confronti. E questa situazione avvantaggerebbe e non molto il suo maggiore vicino orientale”. Ossia la Russia. La vendetta di Putin è il timore maggiore che in questo momento hanno gli oligarchi ucraini che governano il paese. Se la nuova amministrazione Trump collaborerà con Putin per demolire l’ordine politico costruito negli ultimi venticinque anni, l’Ucraina e molti altri Stati post-sovietici potrebbe trovarsi in seria difficoltà.

La prospettiva, secondo molti analisti ed esperti, è sempre più quella di una Yalta 2.0, un patto per smantellare definitivamente l’ordine post seconda guerra mondiale imposto dagli Stati Uniti e che diede via successivamente a quella Guerra Fredda che ha logorato il mondo per cinquant’anni. I presupposti ci sono tutti. In fin dei conti la competenza in politica estera di Trump è molto limitata ed è quasi certo che ogni singola decisione verrà presa sotto l’influenza dei suoi più stretti consiglieri. Il “cerchio magico” di Trump, se così vogliamo chiamarlo, è pieno di personaggi noti per le loro inclinazioni filo-russe. Tra essi la punta di diamante sarà sicuramente Mie Flynn, generale dell’esercito in pensione che sarà a capo della sicurezza nazionale americana nell’era Trump. Nel 2014 Obama lo sollevò dall’incarico di capo della Defense Intelligence Agency dell’esercito perché si concentrò più sulla minacce legate al terrorismo radicale di matrice islamista che sulla guerra in Ucraina.

Flynn da diverso tempo è ospite regolare della tv Russia Today, dove critica spesso la NATO e il sostegno dell’occidente alle ambizioni atlantiste di Georgia e Ucraina. Nel dicembre del 2015, Flynn prese addirittura il posto d’onore a fianco di Vladimir Putin durante una cena di gala a Mosca per l’anniversario di Russia Today. Con lui ci saranno anche Steve Bannon, salito alla ribalta delle cronache in questi giorni come mente della campagna trumpista, e Paul Manafort, ex responsabile della campagna del tycoon, molto vicino a imprenditori e oligarchi a loro volta collegati con Putin e il deposto presidente ucraino Yanukovich.

La presenza di numerosi personaggi non ostili alla Russia all’interno dello staff presidenziale potrebbe mettere in contrasto Trump e il Congresso, dove i Repubblicani, teoricamente suoi alleati, hanno sempre lavorato per fare uscire Kiev definitivamente dall’orbita di Mosca. La partita è ancora all’inizio, ma si prospetta appassionante. Intanto l’Ucraina trema e si guarda intorno, cercando almeno l’appoggio dell’Europa. Appoggio che ovviamente non arriverà.

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