"Ecco chi ha ucciso Giulio": il “Caso Regeni” e il triste spettacolo dei media italiani


Ma chi e perché ha fatto torturare a morte Giulio Regeni, facendo poi trovare, il 3 febbraio 2016, il suo corpo alla periferia del Cairo? Forse su questo omicidio qualcosa in più avremmo potuto saperlo se non si fossero scatenati i media a tifare contro o pro il Presidente Al Sisi; da qualcuno additato come un pazzo tiranno che fa uccidere un cittadino italiano fregandosene che il nostro Paese è uno dei principali partner economici e militari dell’Egitto; da qualche altro considerato il capro espiatorio di un complotto ordito dai servizi segreti inglesi e francesi.

Troppo lunghi i due elenchi dei media, delle loro teorie e, sopratutto, dei loro sponsor economici. Meglio quindi, soffermarsi su un incredibile articolo di Repubblica del 6 aprile che, pur di accusare Al Sisi arriva ad affidarsi ad una serie di (strampalate) mail di un “anonimo informatore” che Carlo Bonini (estensore dell’articolo) ritiene veritiero in quanto “svela almeno tre dettagli delle torture inflitte a Giulio Regeni mai resi pubblici e conosciuti solo dagli inquirenti italiani”, lasciando intendere che lui con gli “inquirenti italiani” (che, comunque, hanno smentito questi “dettagli”) sta culo e camicia. Ma la cosa più sbalorditiva di questo “anonimo informatore” è il suo riportare con esattezza tutte le telefonate intercorse tra i vertici della polizia segreta e gli esponenti del governo egiziano (incluso Al Sisi) che scandirono il calvario di Regeni e – cosa altrettanto incredibile – tutti i dettagli delle torture che sarebbero state effettuate in tre distinte sedi (dapprima una caserma di Giza, poi una sede della Sicurezza Nazionale a Nasr City, poi un sede dei Servizi militari nella stessa città).

Su come avrebbe fatto questo “informatore” a procurarsi tutte queste notizie non vale la pena di domandarselo considerando che Il Corriere della Sera (il giorno stesso della pubblicazione dell’articolo di Repubblica) ha rivelato che queste stesse “notizie” erano state pubblicate il 6 febbraio su Facebook (crediamo che il post sia questo) da tale “Omar Afify”, sedicente “Colonnello della Polizia egiziana in esilio negli USA” considerato, da moltissimi giornalisti, un mitomane.
Davvero strano comunque che il “Corriere” si sia affrettato con un articolo così insolitamente sferzante a infrangere la credibilità del suo sodale “concorrente”. Forse sarebbe opportuno – considerando che sul “Caso Regeni” si gioca un accordo economico di 6 miliardi di dollari e il futuro sfruttamento di un colossale giacimento di idrocarburi al largo delle coste egiziane - andare a controllare i due elenchi dei media e dei loro sponsor.
Francesco Santoianni

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