Coronavirus, ma perché il Piano per “non provocare il panico” è ancora segreto?



Davvero sbalorditivo quanto riporta Repubblica :“A gennaio il ministero della Salute aveva già preparato un piano di emergenza per contrastare il coronavirus. Ma è stato tenuto segreto, perché ipotizzava anche uno scenario ritenuto talmente drammatico da provocare il panico (…) Il Piano è stato tenuto nascosto perché si temeva potesse scatenare il panico. Secondo il ministero non c'è stato nessun ritardo".

Di fronte a dichiarazioni come questa, forte è la rabbia, insieme alla speranza di vedere subito qualcuno in galera; ma, invece di illudersi che, per l’assoluta impreparazione del governo e del sistema italiano di protezione civile, paghi qualcuno, meglio limitarsi a qualche (possibilmente pacata) considerazione; da esprimere, purtroppo, senza aver potuto leggere questo famoso Piano di emergenza che, a differenza di quanto avviene in tutti i paesi civili (dove viene liberamente discusso ed emendato in Parlamento) continua ad essere segreto. Ovviamente, non per qualche giornalista mainstream, che così lo glorifica:

Dal ministero della Salute è uscito a gennaio un «piano nazionale di emergenza» per contrastare il coronavirus. In quelle pagine sono scritti gli orientamenti programmatici che hanno ispirato le scelte del governo. Il documento contiene tre scenari per l’Italia, uno dei quali troppo drammatico per essere divulgato senza scatenare il panico tra i cittadini. Per questo il piano è stato secretato. (…) Se la più fosca delle previsioni non si è realizzata, è perché il governo ha scelto, anche se gradualmente, di chiudere i battenti del Paese e imporre il distanziamento sociale. (…) «Non c’è stato nessun vuoto decisionale - risponde Andrea Urbani, direttore generale della Programmazione sanitaria -. Già dal 20 gennaio avevamo pronto un piano secretato e quel piano abbiamo seguito. La linea è stata non spaventare la popolazione e lavorare per contenere il contagio»”.

Ma un Piano di emergenza non è certo un libro dell’orrore da dare in pasto ai lettori; bensì - in estrema sintesi - un documento che, sulla base di determinati scenari, elenca le direttive (che ogni addetto all’emergenza e ogni struttura dovrà attuare) e le risorse (ovviamente già disponibili, non un Libro dei Sogni) che saranno impiegate. Avrebbe dovuto essere questo, ad esempio, il “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale” che – ça va sans dire – è rimasto lettera morta, anche perché la struttura che avrebbe dovuto coordinarlo, incredibilmente, è stata sciolta nel 2016.

Provvederà a questo qualcuna delle innumerevoli Task Force (al momento ne sono state istituite 17) che si stanno moltiplicando come conigli per affrontare l’emergenza Covid19? Speriamo di sì. Intanto - essendomi occupato, per quarant’anni, di protezione civile e Disaster Management - mi permetto di dare un consiglio a chi, occupandosi del Piano, dovrà preoccuparsi del “panico”: dia una occhiata a come la RAI informava durante la gravissima epidemia del 1970. Certo, erano giornalisti soggiogati dal Direttore generale Ettore Bernabei, ma che, lavorando in una azienda di Servizio pubblico, a differenza dei loro odierni colleghi, non si ritenevano autorizzati a spargere il terrore per raccattare audience.

Se, invece, qualcuno ritiene, invece, che, durante una epidemia, sia necessario terrorizzare la popolazione per costringerla a rimanere a casa, rifletta su cosa ha comportato presentare in TV dati falsi per attestare un agghiacciante tasso di letalità del virus (28 volte superiore a quello attestato in Germania). Il terrore per una infezione percepita come una inevitabile condanna a morte ha, infatti, impedito ogni assistenza sanitaria domiciliare agli anziani, i quali - infetti o no da Covid19 - si sono così dovuti riversare sugli ospedali affollandoli all’inverosimile. L’ecatombe in Lombardia, determinata da infezioni ospedaliere e non dal Covid19, è stata il risultato.
Altro che Piano di emergenza da tener nascosto per evitare il panico.

Francesco Santoianni

Articolo già pubblicato su Disastermanagement.it


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