"Non sapevamo a chi stavamo sparando", un ex operatore di droni

L'ex operatore di droni americano, Brandon Bryant, ha ammesso di non riuscire a sopportare la sua partecipazione al programma di droni del suo paese per sei anni - sparando su obiettivi la cui identità non era sempre confermata.

Dal 2001, e ancor di più sotto l'amministrazione Obama, gli Stati Uniti hanno portato avanti attacchi dei droni contro obiettivi ritenuti essere affiliati con organizzazioni terroristiche in paesi come l'Afghanistan, lo Yemen, il Pakistan e la Somalia. Il programma è stato regolarmente criticato per l'alto numero di vittime civili che ne derivano.
L'Alta Corte di Peshawar ha stabilito nel 2013 che gli attacchi costituiscono un crimine di guerra e violano la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite. Nel frattempo l'amministrazione Obama continua a insistere sul fatto che la guerra dei droni è un metodo preciso ed efficace di combattimento.

Secondo i dati raccolti dal gruppo per i diritti umani Reprieve e pubblicato lo scorso novembre, tentativi di uccidere 41 persone tra il Pakistan e lo Yemen hanno provocato la morte di circa 1.147 persone.

Bryant, respondabile per l'hardware di raccolta informazioni dei droni, lavorava in una base aerea in Nevada. L'operatore ha lasciato il suo incarico nel 2011, esprimendosi duramente sul programma e la leadership che lo ha autorizzato
"Non c'era alcuna supervisione. La gente deve sapere la mancanza di controllo, la mancanza di responsabilità che circonda l'intero programma", ha dichiarato, scusandosi con le famiglie delle vittime di cui è responsabile. Secondo le sue stime infatti, Bryant ha contribuito a uccidere 1.626 persone. "Non potevo sopportarlo", ha aggiunto.

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