La storia di Dima, "terrorista" per Israele, a 12 anni

Sa bene cosa significhi resistere, sebbene forse non le abbiano ancora insegnato cosa sia stata, storicamente parlando, la Resistenza. E proprio il 25 aprile, Dima al- Wawi è stata liberata, dopo aver trascorso 75 giorni in un carcere israeliano. Arrestata lo scorso 9 febbraio, mentre si stava dirigendo a scuola con la sua uniforme , nell'insediamento illegale di Karmei Tzur, vicino alla città di Beit Ummar, a nord di Khalil, è stata accusata di avere un coltello nella cartella.

È incredula, Dima, ed ha paura. Lo dicono i suoi occhi, lo dice la sua voce tremula di fronte alle telecamere. I soldati le hanno promesso che la riprenderanno. Ha voglia di tornare a scuola, rivedere gli amici, ma teme di ritornare in cella, teme di rivivere quel 9 febbraio quando la guardia di sicurezza che l'ha fermata, armata di pistola, l'ha fatta stendere a terra e le ha detto di rimanere così, a faccia in giù, mentre le legava le mani con manette di plastica e, poggiando con forza un ginocchio sulla sua schiena, le diceva che le avrebbe sparato.
Dima ha solo 12 anni. È stata la più giovane palestinese rinchiusa in un carcere israeliano. I media israeliani l'hanno definita "terrorista", perché avrebbe tentato di uccidere un soldato israeliano. Dima ricorda parte dell'interrogatorio, ricorda che, sotto la minaccia delle armi e senza nessun avvocato né membro della sua famiglia accanto, è stata costretta a dichiararsi membro di Hamas. A 12 anni. Ricorda il carcere, ma parla poco, è ancora sotto shock. Dice che in carcere pensava solo alla sua famiglia ed ai suoi amici, che pregava e leggeva libri. Ha ricordato alcuni dei metodi di tortura messi in atto dall'occupazione israeliana contro di lei, come spruzzarle addosso acqua gelida nei giorni di freddo pungente, minacciarla, intimidirla ed interrogarla continuamente. Ha raccontato come, mentre veniva trasferita da e per la prigione per le udienze, ha bambini prigionieri feriti languire in carcere.

La madre dice che Dima sembra una farfalla, rifiuta di essere costretta nelle mura di casa, vuole volare fuori, ogni volta che può esce per respirare aria fresca, ma il dolore è evidente sul viso e, mentre dorme, parla, urla e geme.

Per uno strano gioco del destino i suoi occhi, la paura che vi si intravede, mi riportano alla memoria gli occhi di un altro ex prigioniero palestinese, Ibrahim Barud. Rilasciato l'8 aprile 2013, dopo 27 anni di carcere, lo avevo incontrato a Jabalya, nell'agosto dello stesso anno. Militante del Jihad islamico, militante delle Brigate al-Quds, aveva, nonostante non fosse un ragazzino, lo stesso sguardo timoroso. A parole mi confermò quanto avevo intuito. Aveva paura che tornassero a riprenderlo, in una notte qualsiasi.

Dima è stata processata da un tribunale militare israeliano e condannata, il 18 febbraio scorso, a quattro mesi e mezzo di reclusione. È stata rilasciata su cauzione, ottomila shekels ( 2000 $ ), dopo due mesi e mezzo.

Dima è nata dalla parte sbagliata del muro, come tutti i Palestinesi quotidianamente violati da Israele, nel corpo e nello spirito. Ma se infinite sono le violazioni, infiniti sono anche i modi in cui i Palestinesi hanno imparato a resistere. Alcuni tengono vive la cultura e le tradizioni, altri si barricano in case che rifiutano di lasciare, anche se sotto minaccia dei coloni e dell'esercito israeliano, o a rischio di demolizione, altri ancora si ostinano a piantare olivi, continuamente dati alle fiamme dagli israeliani, quasi tutti insegnano ai loro figli, sin da piccoli, cosa vuol dire essere Palestinesi, altri rifiutano di piegarsi nei gesti di tutti i giorni, senza mai arretrare, mai arrendersi ad una realtà che dall'esterno è soffocante ed umiliante. Altri ancora, continuano a rivendicare il diritto al ritorno dei profughi, l'illegalità della detenzione amministrativa e della detenzione dei Palestinesi in carceri che si trovano in territorio israeliano, in palese violazione dell'art. 76 della IV Convenzione di Ginevra. Tutti però sono fisicamente, non solo affettivamente, legati ad ogni centimetro quadrato della loro terra, anche di quella che è stata loro sottratta, che continuano a percepire come parte di sé stessi, non per diritto di proprietà, ma per senso di appartenenza. La Palestina potrà essere occupata ancora ed assumere nomi di volta in volta sempre diversi, ma per i Palestinesi e per chi la ama è e sarà sempre Palestina. E non è una sfida alle leggi ed alla comunità internazionale che hanno riconosciuto Israele come stato, ma non la Palestina; è l'inalienabile diritto di un popolo a rivendicare come propria quella terra da estranei martoriata.
Sono circa 700 all'anno i bambini palestinesi, di età inferiore ai 18 anni, della Cisgiordania Occupata, arrestati dall'esercito israeliano e condannati dalle corti militari israeliane. L'accusa più comune? Aver lanciato pietre, reato punibile con una pena massima di 20 anni di carcere.

Dal 2000 oltre 10 .000 bambini palestinesi sono stati arrestati.
Val la pena ricordare il più giovane detenuto in un carcere israeliano, Ali Alqam, 11 anni, accusato di aver tentato di accoltellare una guardia israeliana a Gerusalemme, il 10 novembre. Gravemente ferito con tre colpi all'addome, al bacino e ad una mano dall'esercito israeliano, ha subito due interventi chirurgici. È stato ricoverato all'Haddasah Ein Kerem Hospital di Gerusalemme Ovest, ammanettato al letto, nonostante fosse privo di sensi. La sua famiglia ha potuto vederlo solo una volta, per 20 minuti ed in presenza della polizia israeliana.

Ad oggi sono circa 7000 i minori palestinesi detenuti in 17, tra carceri israeliane e campi di detenzione. Diverse organizzazioni per i diritti umani hanno ripetutamente invitato le Nazioni Unite perché impediscano ad Israele di arrestare e torturare bambini palestinesi, perché smetta di processarli secondo il diritto penale militare e rilasci tutti quelli detenuti illegalmente. La detenzione di bambini da 12 anni a 16 anni è vietata dal diritto internazionale e da quello israeliano, ma è autorizzata dal diritto militare israeliano contro i minori palestinesi. L'avvocato Amjad Al Najjar, direttore della Society Palestinian Prisoners in Al-Khalil, ha dichiarato che processare bambini palestinesi, non è che un altro dei crimini commessi dalle forze di occupazione israeliane contro i palestinesi.
E val la pena ricordare anche che il 74 % di questi bambini sperimentano violenza fisica durante l'arresto, il trasferimento e/o l'interrogatorio. Israele è l'unico governo che persegue sistematicamente bambini palestinesi nei suoi tribunali militari, mentre "nessun bambino israeliano entra in contatto con i tribunali militari".

Mentre la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo definisce bambino "ogni essere umano con un'età inferiore a diciotto anni", secondo l'ordine militare israeliano 132, i bambini palestinesi dai 14 anni in poi possono essere
processati e condannati da tribunali militari israeliani per adulti.

Naturalmente, gli israeliani sono considerati "bambini" fino al compimento dei 18 anni.
E basta rileggere la dichiarazione del ministro della Giustizia israeliano, Ayelet Shaked, per comprendere quale peso abbiano per Israele, le vite dei Palestinesi, giovani e non.

"Dietro ogni terrorista stanno decine di uomini e donne, senza i quali egli non si coinvolgerebbe nel terrorismo. Sono tutti nemici combattenti e il loro sangue dovrebbe essere versato sulle loro teste. Ciò include le madri dei martiri, che li hanno mandati all’inferno con fiori e baci. Esse – ha detto la parlamentare – dovrebbero seguire i loro figli, niente sarebbe più giusto. Dovrebbero andarci, in quanto dimora fisica in cui hanno allevato i serpenti. Altrimenti, altri serpenti saranno allevati”.
Welcome to Israel...
Fonti : The Palestinian Information Center
Ma'an
Middle East Monitor
Hispan Tv

Paola Di Lullo

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