In nome del dio profitto, quanti morti ancora nel mondo del lavoro?

di Stefano Barbieri per Marx21.it


Altri morti sul lavoro, stavolta nella produttivissima Milano, la cosiddetta “capitale economica” d’Italia.


Tre lavoratori morti intossicati, un altro in fin di vita. Sembrerebbe, dalle prime dichiarazioni, che i sistemi di sicurezza non abbiano funzionato a dovere, come sempre, come alla Thyssenkrupp, come a Pavullo nel modenese alcuni giorni or sono o a Nano in provincia di Agrigento pochi mesi fa.


Passa il tempo e non cambia niente, le morti bianche aumentano arrivando a più di mille all’anno, molte non fanno neanche più notizia.


I settori più colpiti sono l'edilizia e l'agricoltura, ma anche aree di lavoro nuove collegate al terziario ed al turismo.


La situazione per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro è ormai drammatica. Lo ha denunciato l'Anmil, l’associazione per le vittime degli infortuni sul lavoro celebrando la 67ma giornata nazionale. La preoccupazione per l’aumento infortunistico - viene spiegato - è dettata soprattutto dal fatto che a determinarlo sono stati i comparti industria e servizi (2%) e Conto stato dipendenti (3,3%). "Parliamo - ha detto il presidente Franco Bettoni - proprio di carenza di sicurezza nei luoghi di lavoro più rischiosi».


E’ del tutto evidente la responsabilità di chi esercita il ricatto occupazionale giustificato dalla lunghissima crisi che impone alle lavoratrici ed ai lavoratori di accettare condizioni iugulatorie, conseguenti anche al fatto che le imprese risparmiano sui costi della sicurezza a vantaggio della quota di profitti. È una situazione insopportabile che colpisce soprattutto il lavoro precario e più povero.


Non si conoscono in questo momento le cause che hanno determinato l'incidente di ieri a Milano: saranno le indagini ad accertarlo. E’ certo, però, che troppo spesso nell'ultimo anno macchine difettose, impianti non sicuri, muri privi di impalcatura per risparmiare qualche migliaio di euro si sono tradotti in un tributo di sangue versato dal mondo del lavoro.


Nel frattempo gli organismi deputati a controllare ed intervenire, a partite dagli ispettorati del lavoro, non sono stati rafforzati e non riescono a svolgere in modo adeguato le necessarie azioni e la prevenzione fondamentale. Dal punto di vista legislativo, poi, il testo sulla sicurezza del lavoro giace in qualche cassetto di qualche aula parlamentare in attesa di essere adeguato, come promesso da anni dai vari Ministri del lavoro.


Sembra assurdo dover sollecitare un intervento serio da parte del sindacato, ma non si pensa che sia arrivato il tempo di mettere da parte gli indugi e costruire rapidamente un'iniziativa di mobilitazione e di lotta per fermare questa china sanguinosa e imporre condizioni più sicure e più dignitose di lavoro di vita per le lavoratrici e i lavoratori che hanno diritto ad uscire di casa ogni mattina sapendo che non vanno a rischiare la propria vita in cambio del salario?


Sembrerebbe insensato chiedere alla “sinistra” di occuparsi di questo tema in una campagna elettorale che mette in gara chi spara le baggianate più grosse?


"Il pericolo non è il mio mestiere" recitava lo slogan di una campagna antinfortunistica della Fillea, il sindacato degli edili della Cgil. Oggi come non mai bisogna lottare perché diventi davvero così.


Prendo a prestito una frase di Carmine Tomeo (@CarmineTomeo):

“E mentre non si fa altro che chiedere riduzione del costo del lavoro, troppe volte quei risparmi già vengono fatti, ma scommettendo sulla vita dei lavoratori.


Intanto nelle assemblee di Confindustria si parla di patto per la fabbrica con la preoccupazione per la produttività e nuovi margini di profitto; e ministri rilanciano, politici mettono in programma, sindacalisti gialli approvano. Lavoratori muoiono.”

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