Ucraina: bombe sul Donbass in attesa delle presidenziali



di Fabrizio Poggi

Nessuna tregua duratura nel Donbass. Negli ultimi due giorni, ripetuti martellamenti di mortai da 82 e 120 mm si sono succeduti sui villaggi di Spartak, Krutaja Balka, Jasinovataja, Sakhanka e altri, nella Repubblica popolare di Donetsk. Tiri di mortai pesanti anche su Kalinovo, Veselogorovka, Logvinovo, nella LNR.


Secondo le più recenti rilevazioni ONU, dall'inizio del conflitto nel Donbass, nell'aprile 2014, a tutto il 2018, si sono contati oltre 13.000 morti, di cui circa 3.300 civili (di essi più di 100 bambini), 4.000 tra soldati e “volontari” dei battaglioni nazisti ucraini, e più di 5.500 miliziani. Sono stati registrati anche oltre 30.000 feriti. Secondo l'UNICEF, più di mezzo milione di bambini del Donbass necessitano di aiuto urgente: "Ragazze e ragazzi sono costretti a studiare in ambienti rischiosi, in condizioni di guerra e di pericoli causati da ordigni inesplosi", è detto in una nota dell'UNICEF, in cui si specifica anche che, in tutto il 2018, 16 strutture scolastiche hanno subito bombardamenti e altre 50 hanno dovuto essere temporaneamente chiuse.


Da parte ucraina, secondo i dati rilevati dalle milizie della DNR, tra gli uomini persi da Kiev in Donbass nel corso del 2018, si contano 280 militari rimasti vittime di ubriachezza e violenze, oltre a 94 casi di suicidio. Lo scorso ottobre il procuratore generale militare ucraino aveva dichiarato che, dall'inizio del conflitto nel 2014, Kiev ha perso in situazioni non di combattimento l'equivalente di due battaglioni.


Ed ecco che il rappresentante speciale dell'OSCE al gruppo di contatto trilaterale di Minsk, l'austriaco Martin Sajdik, ha dichiarato al quotidiano stiriano Kleine Zeitung di aver messo a punto un nuovo piano per una soluzione pacifica del conflitto nel Donbas, in sostituzione degli accordi di Minsk. Secondo il nuovo piano, per l'attuazione del punto chiave degli accordi di Minsk, cioè lo svolgimento delle elezioni, l'ONU si occuperebbe dell'organizzazione di esse, mentre l'OSCE avrebbe la funzione di osservatore. E' prevista anche un'amministrazione transitoria dell'ONU in DNR e LNR, per monitorare l'attuazione del piano. Pur non precisando la consistenza della prevista “missione di pace” delle Nazioni Unite, Sajdik ha parlato della creazione, da parte UE, di una “agenzia per la ricostruzione”, sul modello di quella creata a suo tempo nei Balcani.


Il documento deve essere approvato dal “quartetto normanno” - Russia, Ucraina, Francia e Germania – ma, intanto, la portavoce del Ministero degli esteri della DNR, Natalja Nikonorova ha già fatto sapere che l'iniziativa di Sajdik contraddice radicalmente agli accordi di Minsk, quale documento riconosciuto internazionalmente. "Il complesso di misure per l'attuazione degli accordi di Minsk” ha detto Nikonorova, “include anche la firma del rappresentante OSCE, che lo rende vincolante per tale organizzazione. Al contrario, assistiamo al tentativo di sabotare il processo di Minsk da parte di un alto funzionario OSCE, che mette in discussione l'autorevolezza di questa organizzazione internazionale, a dispetto del suo diretto dovere di coordinare e facilitare l'attuazione degli accordi di Minsk".


E, sulla scia di Sajdik, anche Varsavia accenna a una missione ONU nel Donbass. Lo ha fatto tramite il Ministro degli esteri Jacek Czaputowicz che, intervenendo a Bruxelles all'incontro dei Ministri degli esteri dei paesi europei membri del Consiglio di sicurezza ONU, ha proposto di studiare l'invio di un “contingente di pace” in Donbass.


In terra ucraina, si muore anche al di fuori del teatro di guerra nel Donbass. La portavoce del Ministero degli esteri russo Marija Zakharova ha denunciato che, contrariamente alla versione ufficiale ucraina - “caduto dalle scale della prigione” - il volontario russo delle milizie della LNR, Valerij Ivanov, è stato torturato e assassinato in prigione a L'vov, come evidenziano le ferite rilevate in fase di autopsia. E la stessa fine rischia il volontario brasiliano, il comunista Rafael Lusvarghi, condannato a 13 anni per aver combattuto dal settembre 2014 a ottobre 2015 con le milizie della DNR e sottoposto a torture nelle prigioni ucraine, tra l'indifferenza del consolato brasiliano. Chissà se questa volta avranno da dire qualcosa i liberal-reazionari del PD, come hanno fatto a suo tempo per il “regista” Oleg Sentsov, condannato in Russia a 20 anni per aver organizzato due attentati terroristici in Crimea?


E' in questa cornice che ci si avvicina alla scadenza delle presidenziali ucraine, fissate al 31 marzo. Sembra che le candidature presentate fossero addirittura una settantina; di esse, la Commissione elettorale centrale ne ha ammesse al momento 28; a 22 ha rifiutato la registrazione: tra esse, anche al leader del PC ucraino Pëtr Simonenko. Le intenzioni di voto registrate dall'istituto “Sofia” a fine 2018 davano la “martire” del gas Julija Timoshenko a 11,3%, seguita a ruota dall'attore e produttore, Vladimir Zelenskij (10,9%) e da Petro Poroshenko (9,4%). I sondaggi del centro Lesnicij davano invece: Timoshenko 19,3%, Zelenskij 12,9% e Poroshenko 11,3%. I bookmakers britannici di ElectraWorks Limited davano Zelenskij 8 a 1, Poroshenko 3,5 a 1 e la Timoshenko 2,5 a 1. A metà gennaio, i sondaggi del centro Dragomanov rilevavano 17,4% Timoshenko, 17,1% Poroshenko, 10,1% Oleg Ljashkò e 9,4% Zelenskij. Ora, Zelenskij sarebbe addirittura in testa e pare oscillare dal 19 al 23%, contro il 16,4 di Petro e il 16% della Timoshenko.


Come che sia, a parte il valore che si voglia dare ai sondaggi in genere, a Kiev la musica continua a esser diretta da oltreoceano, come ha dichiarato Pëtr Simonenko. Washington ha cominciato per tempo a istruire i giornalisti dei media istituzionali, secondo un copione diffuso dall'ambasciata USA a Kiev. In particolare, al centro dell'attenzione è ora proprio il candidato Zelenskij (si dice che possa essere “uomo dell'oligarca Igor Kolomojskij”, ma lui né conferma né nega) la cui compagnia cinematografica, secondo Radio Svoboda (!!), sarebbe sponsorizzata da Mosca, ma la cui principale “colpa” sarebbe quella di aver dichiarato che intende sedere al tavolo negoziale con Mosca per risolvere pacificamente la questione del Donbass. A dar man forte a Washington in terra ucraina, anche specialisti NATO: il capo della missione ucraina presso l'Alleanza atlantica, Vadim Pristajko, ha dichiarato a Interfax-Ucraina che in ambito NATO è attivo un apposito Fondo fiduciario, che garantirà il pieno controllo sulla "sicurezza elettorale e installerà una "difesa hardware" dei server della Commissione elettorale ucraina. Si intende, contro “gli attacchi hacker russi”.


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