"Il trattamento della Bce verso Irlanda e Italia è stato uno scandalo costituzionale. Ma nessuno ha ancora pagato legalmente". A. Evans-Pritchard

Alla fine la verità esce sempre. La Troika – ma in realtà la Bce più che FMI e Ue – ha forzato lo Stato irlandese a coprire le vaste passività delle banche interne ed estere nel pieno della crisi. L'istituto di Draghi, più nel dettaglio, ha minacciato di staccare la spina al sistema bancario irlandese, in violazione del suo dovere fondamentale di agire come un prestatore di ultima istanza, e ha costretto i contribuenti irlandesi a subire le peggiori perdite. Da allora, per salvare coloro che la crisi l'avevano creata, la classe di giovani lavoratori a Cork, Limerick e Dublino dovrà ripagare un debito pubblico immenso - attualmente 124% del PIL, dal 25% nel 2007 - per un tempo molto lungo. Lo scrive Ambrose Evans-Pritchard sul Telegraph, che commenta le ammissioni di Patrick Honohan, il governatore della banca centrale irlandese, rese note in un nuovo libro sul mandato dell'ex ministro delle finanze irlandese al tempo della tempesta finanziaria.
Un taglio per gli obbligazionisti, scrive il Columnist, era in quel momento storico della zona euro molto pericoloso perché avrebbe portato al contagio immediato e a conseguenze incalcolabili. L'Irlanda ha quindi stoicamente difeso l'intero blocco (e la City di Londra). La critica di Pritchard è sistemica, vale a dire che le autorità dell'UE non hanno mai riconosciuto questo sforzo e non hanno mai ammesso quello che è avvenuto a porte chiuse. Nel vertice del giugno del 2012, l'Ue sanciva che la zona euro avesse un dovere particolare verso l'Irlanda e che il meccanismo di salvataggio avrebbe dovuto assumersi la responsabilità diretta della ricapitalizzazione delle banche irlandesi (retroattivamente), sollevando il peso dalle spalle dello stato irlandese. Questo impegno è stato scritto nero su bianco nel comunicato finale, ma i leader europei non l'hanno mai rispettato e addirittura quattro ministri delle finanze del nucleo creditore hanno in seguito negato la sua esistenza. Vi è ora la pressione nel paese per portare l'ex-capo della BCE Jean-Claude Trichet in tribunale per un'indagine volta ad accertare in particolare quello che aveva scritto in una lettera riservata al ministro delle finanze irlandese nel novembre 2010.
Ma la storia è nota ed è un modello di comportamento ampiamente sviluppato nelle sedi europee: la sorprendente BCE ha scritto lettere ai leader eletti di Italia e Spagna nel mese di agosto del 2011, dettando una serie di richieste in cambio della protezione dei loro sistemi finanziari. Quando l'Italia di Silvio Berlusconi non è riuscito a rispettarli pienamente – o così consideravano questi inquisitori non eletti da nessuno - è stato costretto alle dimissioni. Si è trattato di un colpo di stato della Bce, scrive Ambrose Evans-Pritchard. La BCE non aveva il mandato legale o costituzionale di tale azione: le lettere riguardavano questioni intime di politica interna - come l'articolo 18 sulla tutela del lavoro, un argomento sensibile che ha portato all'assassinio di due consulenti del lavoro italiani.
Tale ingerenza non ha nulla a che fare con la politica monetaria. La BCE ha agito da esecutore del blocco e dei suoi interessi politici. Si potrebbe dire, come fanno molti, che la BCE fosse stata costretta ad agire così perché non esisteva alcuna istituzione europea in grado di prendere il comando, ma questo significa ammettere che la costruzione della zona euro è per sua natura un mostro autoritario al di fuori di qualunque controllo democratico, una forma di tirannia monetaria moderata. Se si ammette questo, come si può continuare a difendere l'UME a tutti i costi? E' possibile, sostiene il Columnist, solo per chi per natura non è democratico.

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