Aaron Bushnell e il sacrificio di fuoco

28 Febbraio 2024 16:00 Giulia Bertotto

di Giulia Bertotto per L’AntiDiplomatico

Aaron Bushnell è il nome del soldato dell'aeronautica americana che si è dato fuoco davanti all'ambasciata israeliana a Washington, deceduto per le ustioni riportate. Il militare è arrivato davanti all’ambasciata israeliana senza destare sospetti con la divisa militare Usa, si è messo il berretto d’ordinanza, e dalla borraccia che teneva in mano si è cosparso il corpo di liquido infiammabile. Aveva 25 anni e si è filmato mentre gridava tra le fiamme “Free Palestine” davanti al palazzo istituzionale. Nel video l'uomo aveva dichiarato: "Non sarò più complice del genocidio", prima di aggiungere che il suo gesto è un atto estremo di protesta ma è ben poco rispetto alla sofferenza dei palestinesi.

“Non è la prima volta che accade, un giovane americano si era già dato fuoco nel 1991 contro la guerra in Iraq e a dicembre 2023 un altro aveva fatto lo stesso ad Atlanta”, scrive il Manifesto[1]. Ma mentre i giornali hanno parlato a malapena del suo gesto, sui social è scattato il tam tam dei commenti: eroismo o follia? Un martire o un disperato? Non c’è una risposta univoca, non c’è una risposta che colga il mistero dell’essere umano che si dà la morte per non portare la morte.

La psichiatria intanto deve fare il suo lavoro; indaga il fattore traumatico, le ragioni personali, le istanze dell’inconscio, un eventuale senso di colpa famigliare e una punizione auto-inflitta, la vulnerabilità emotiva individuale. Mentre la filosofia esamina le ragioni collettive profonde, l’archetipo del sacrificio di sé e del fuoco e il suo legame con il sacro. Il fuoco è in tutte le culture elemento della purificazione, divide definitivamente ciò che è male da ciò che è bene.

Fuoco castigatore, fuoco purificatore

Secondo i miti più antichi, il fuoco ha origine divina, per questo gli uomini lo hanno dovuto rubare agli dei attraverso la figura del titano Prometeo. Un atto di infrazione che rappresenta la presa di coscienza sull’esistenza e su se stesso da parte dell’uomo, come nella metafora del morso della mela. Il fuoco consegna la luce della ragione e al contempo polverizza ogni umana ambizione, incenerisce ogni tracotanza. La fenice egizia, icona del ciclo di morte e rinascita, risorge dalle sue ceneri. In tutte le cosmogonie vediamo la presenza ancestrale di quattro elementi dal cui impasto primordiale emergono tutte le cose: acqua, terra, aria e fuoco. Il fuoco è accompagnatore del rituale ed è esso stesso oggetto di culto. Per lo più associato al maschile, punta verso l’alto, mentre l’acqua suo opposto femminile va verso il basso.

Agni, la divinità vedica del fuoco, è figlio del cielo e della terra, il fuoco canale di mediazione tra l’umano e il divino. In India e nei riti funerari in tutto il mondo, troviamo l'usanza di cremare le salme e nei riti del sacrificio si bruciano le offerte. Nella Roma imperiale le Vestali erano incaricate di custodire la fiamma perpetua nel tempio, simbolo di protezione per la città. Nell’Antico Testamento lo Spirito di Dio si manifesta da un roveto paradossale: arde ma non incenerisce. Il fuoco protegge e il fuoco castiga. Gli inquisitori davano le streghe e gli eretici al fuoco, considerato l’unico modo per liberare l’anima dal maligno e la comunità dalla sua influenza nefasta. Nella tradizione cattolica il fuoco brucerà per sempre i dannati imprigionati senza scampo all’inferno.


Il fuoco dei bodhisattva

Il gesto del soldato Aaron Bushnell riporta alla memoria Thich Quang Duc nel suo nome laico, il monaco buddhista vietnamita che divenne drammaticamente celebre perché nel 1963 si diede fuoco a Saigon per protestare contro la dittatura del presidente cattolico Ngô Dinh Diem che tiranneggiava il Vietnam del Sud con la sua politica di oppressione della religione buddhista.

Nelle settimane seguenti la persecuzione religiosa si auto-immolarono altri tre buddisti, forse di più. Il fuoco dell’entusiasmo e della rabbia si diffuse in tutto il mondo e il monaco impassibile tra le fiamme divenne un simbolo di eroismo e martirio. La volontà della sua mente aveva vinto ogni limite della paura e del dolore fisico. Aveva anteposto i suoi valori di libertà al terrore del massimo dolore. Il presidente Diem, perso il supporto degli USA, fu deposto e ucciso il 2 novembre dello stesso anno.

L'evento divenne noto grazie alla straordinaria fotografia scattata da Malcom Browne. Con questo scatto vinse il premio World Press Photo of the Year nell’anno 1963 ed il Premio Pulitzer l’anno successivo. Dopo la morte, il corpo di Thich Quang Duc fu cremato. Il fatto che tra le ceneri fosse ritrovato intatto il cuore persuase dell’autenticità della sua compassione e da allora viene venerato come bodhisattva, ossia colui che rimanda il proprio Nirvana per aiutare le anime in pena a liberarsi.

Il bodhisattva può sopportare il proprio calvario, ma la sua sensibilità cosmica e il senso di fusione unitaria con tutti gli esseri, non può invece mai ignorare il dolore dell’altro. Coerentemente con l’insegnamento buddhista l'immolazione non doveva essere associata al suicidio, vietato dalla dottrina che non tollera la distruzione della vita attraverso un gesto di violenza contro se stessi. L’affrancamento dalla condizione di sofferenza (dukkha) insita nella vita stessa, della sofferenza inevitabile connaturata al samsara, deve infatti essere invece superata dal Nobile Ottuplice Sentiero.

Proprio un soldato, colui che è chiamato alla guerra e alla sottomissione dell’altro per imporre la propria identità nazionale, rinuncia non solo a quest’ultima, ma perfino alla propria identità psico-fisica per la pace dell’altro, per l’Altro. Il gesto compiuto proprio da un soldato colpisce poiché rompe con la dinamica bellica e del conflitto, perché non si scaglia contro o una fazione o l’altra, ma annulla ogni dualità mortificando se stesso. Il soldato come un monaco illuminato, come un mistico, doma totalmente l’istinto di preservazione e supera la logica della biologia che difende l’impulso alla propria esistenza e incolumità ad ogni costo. Proprio un soldato si chiama fuori dalla sopraffazione cainitica dell’uno sull’altro in una logica scandalosa, quella che in Occidente chiamiamo Pietà e in Oriente Compassione. Il militare passa dalla dimensione temporale di Cesare a una dimensione eternizzante e cristologica, dalle milizie della terra a quelle schiere che hanno oltrepassato l’attaccamento alla terra. Il soldato disobbedisce l’ordine esteriore di versare il sangue dell’altro per rispondere al comando interiore di versare il proprio. Il suo sacrificio ridicolizza in una sorta di rovesciamento parodistico la dialettica dell’assassino. Proprio colui che per la sua divisa è chiamato a difendere la terra e sacrificare se stesso per la propria bandiera, si sacrifica invece per la libertà dal dolore e dall’ingiustizia di altri esseri umani oltre il proprio confine, fratelli al di là di ogni bandiera.

[1] https://ilmanifesto.it/il-rogo-del-soldato-aaron-bushnell

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