“Ithaca”. Perché Julian Assange è l’Ulisse dei nostri tempi

13 Marzo 2024 10:00 Giulia Bertotto

di Giulia Bertotto per L’Antidiplomatico


È approdato anche al Teatro Flavio di Roma, il docufilm “Ithaca” (2021) dedicato all’editore di Wikileaks Julian Assange, un Ulisse dei nostri tempi, un uomo che non riesce a fare ritorno a casa, trattenuto dagli dei avversi, da dèi umani, davvero troppo umani. Il docufilm di Di Ben Lawrence è stato proiettato nella capitale grazie all’organizzazione Free Assange Italia, contestualmente al dibattito con il giornalista, cronista di guerra e autore Fulvio Grimaldi, Germana Leoni von Dohnanyi reporter dal Sud-est asiatico e autrice del libro inchiesta "Julian Assange. Niente È Come Sembra" e la giornalista Berenice Galli che più volte ha intervistato il padre di Assange.

“Siamo qui in difesa della dignità dell'essere umano che ha per natura un rapporto veritiero con quello che lo circonda, e che dove non lo trova lo cerca, e perciò è portato a verificare in libertà di giudizio ciò che lo circonda; ma noi siamo immersi in un menzognificio, una boccia di bugie, e Assange ha fatto uscire il pesciolino dalla boccia. Julian Assange ha bucato il velo di Maya, non quello dell’illusione in Oriente, ma quello dell'illusione artificiale dei governi occidentali e dei loro delitti” ha detto Grimaldi, che di recente si è recato al valico di Rafah per documentare sul campo le condizioni al confine palestinese.


Julian Assange, Ulisse di oggi

Ulisse è la "personificazione" dell’umanità sull’istinto, dell’intelligenza sulla bestialità, della morale sulla barbarie. Ulisse incarna le qualità dell'ingegno, della curiosità, delle facoltà intellettuali umane che ci spingono a conoscere, ad andare oltre, al di là di quello che ci viene raccontato e che dovremmo accettare acriticamente come una verità indiscutibile. Il nome Ulisse gli fu assegnato dal nonno materno Autolico e significa "odiato dai nemici". Odiato perché ha cercato di far emergere crimini contro l’umanità portati avanti dal civilissimo Occidente. L’Odissea raccontata da Lawrence è anche quella di un padre che cerca con tutte le sue forze di tirare fuori il figlio “dalla merda” come dice lo stesso John Shipton, spiazzato dalla crudeltà del mondo ma sempre dignitoso, spesso sarcastico, seduto al tavolo della sua cucina. Il dio Poseidone non gli permette di tornare alla terra natia, alla casa materna, nelle braccia della moglie, già avvocato in testa alla sua difesa, Stella. Anche Assange deve fronteggiare le tappe lungo la spaventosa e faticosa via del ritorno; il Ciclope Polifemo che divora due compagni dell’eroe, Eolo il comandante dei venti, la seducente Circe che lo vorrebbe trasformare in un maiale infamando la sua reputazione con gli stupri che non ha mai commesso, i mostri Scilla e Cariddi.

Assange è un caso politico, una figura mitica, un archetipo universale, e niente di tutto questo, è un uomo fatto di molecole e di sentimenti. Gli dèi avversi ad Assange sono criminali di guerra, colossi imprenditoriali delle armi, televisioni colluse, giornalisti complici, giudici corrotti. Assange è un avvertimento in carne e ossa, è un precedente, è un monito del castigo diretto a chi osa mettere in discussione la leggenda della “Più grande democrazia del mondo”.

All’inizio della guerra in Iraq nel 2003, Assange aveva assistito e partecipato ad alcune delle manifestazioni oceaniche per fermare l’attacco, ma non era servito, la volontà popolare non aveva spostato le scelte del governo americano. Dunque, se non basta la folla per fermare la guerra, allora forse serve la trasparenza delle informazioni, disse Assange al padre. Infatti, nessun giornalista prima di lui era mai stato accusato di spionaggio, un precedente pericoloso per ogni stato di diritto e i suoi diritti di espressione e di informazione, perché la democrazia implica anche che i cittadini, tramite l’informazione possano vigilare sull’operato del governo tramite la pluralità e la trasparenza dei media.

“Ithaca”, la nostalgia della famiglia

Jhon, forse in qualche modo il vero protagonista di quest’opera, si presenta da subito come un uomo che ama il suo mestiere di costruttore, lo gratifica realizzare case, perché sono il teatro dove si svolgono le scene della nostra vita, spiega. La costruzione della casa cioè della dimora, della famiglia, di Itaca; è infatti la famiglia l'altro polo del docufilm: i libri di favole illustrati con gli animali, il passeggino, i biberon pieni di latte, tutti quegli oggetti attraverso i quali circolano le azioni e le emozioni della cura e dell’affetto.

“Ithaca” ci mostra spezzoni della quotidianità della moglie Stella e del padre Jhon e delle loro famiglie, la convivenza con l’assurda punizione contro un giusto, in bilico tra la normalità dei pranzi conviviali e l’assurdità di una vera e propria sevizia costante inflitta al proprio compagno, al proprio figlio, al proprio amore.

Il regista ci mette di fronte all’opposizione tra l’isolamento e la famiglia, la casa e la cella, l’infanzia e la sua innocenza e la scoperta del male, la calda luce naturale e il gelo di quella artificiale, l’accudimento e il tormento. La prigionia in stato di isolamento, una tortura che porta alla pazzia o al suicidio, non può essere mostrata, ma si percepisce per contrasto, attraverso le immagini di tutta quella vita che brulica e che a Julian è interdetta, vietata, negata: nelle videochiamate con la moglie c’è il prato dove giocano i suoi figli, uno scoiattolo che mastica, ritagli di cielo, panni stesi al sole, l’interno di un vagone del treno e il suo finestrino in corsa, il gatto grigio e bianco tra i libri. Itaca è l’isola del cuore, la dimensione dell’interiorità, il luogo della nostalgia, parola che etimologicamente significa “Dolore del ritorno”. Parliamo ovunque di Assange, contribuiamo al suo ritorno alla sua isola.

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