di Fabrizio Poggi
Acque moderatamente agitate nel Caucaso, con bisticci - al momento, pare, solo bisticci - tra Mosca e Baku per alcuni arresti, a Ekaterinburg, di elementi azeri ritenuti implicati nella criminalità organizzata locale (omicidi su commissione, legati alle sfere di influenza in vari business, ma anche il riemergere della vicenda, risalente al 2021, dell'avvelenamento di una cinquantina di persone, con esiti letali, per lo spaccio di alcol contraffatto) e la relativa ritorsione delle autorità azere, che hanno chiuso l'emittente ”Spunik Azerbaigian”, fermandone o arrestandone i redattori.
Pare però che le onde del mare caucasico, da mosso a agitato, non si fermino qui e possano estendersi ben al di là dello spazio ex sovietico, con diversi osservatori che accusano Baku di aver consentito il sorvolo del territorio azero da parte di droni e caccia sionisti che andavano a colpire l'Iran. Andiamo con ordine.
Il portavoce presidenziale russo Dmitrij Peskov ha espresso rincrescimento per la reazione azera a provvedimenti giudiziari russi che, per la loro natura, non dovrebbero implicare reazioni politico-diplomatiche. È importante, ha detto Peskov, «continuare a lavorare per spiegare le ragioni e la natura degli eventi che, secondo la parte azera, hanno portato a tali iniziative». Dopo gli arresti a Ekaterinburg, Baku ha deciso la cancellazione di eventi culturali con la partecipazione russa, l'annullamento della visita di una delegazione parlamentare in Russia e la convocazione di un diplomatico russo al Ministero degli esteri azero. In risposta, il Ministero degli esteri russo ha convocato l'ambasciatore azero a Mosca per chiarimenti. L'Unione Russa dei Giornalisti ha chiesto il rilascio dei collaboratori di Sputnik, cittadini russi e il diritto di avvocati e diplomatici a contattarli; ha rilasciato anche una dichiarazione, in cui si dice, tra l'altro, che le «accuse nei confronti dei giornalisti, di legami con Servizi segreti stranieri sono del tutto infondate».
Alcune radici del “bisticcio” però, a detta del blogger “Cigno nero”, che ne scrive sul proprio canale Telegram, risalirebbero a un po' di tempo addietro, allorché Baku, probabilmente con le spalle coperte da più lontano, aveva deciso di fornire apparecchiature elettriche a Kiev per poter disporre di energia sufficiente alla produzione di armi. A fine maggio, Zelenskij aveva pubblicamente ringraziato il leader azero Il'kham Aliev per tale «sostegno umanitario». Un sostegno di cui si ha notizia documentata, non escludendo altre diverse informazioni che circolano sui media su come le autorità azere aiutino di fatto la junta golpista a rimanere a galla. Ora, si chiede retoricamente “Cigno nero”, Baku ha forse perso il senso strategico, sottintendendo il passaggio dal precedente appressarsi a Mosca, a un diverso orientamento verso ovest. Attenzione, avverte il blogger - a quanto ansioso di riorientare le direttrici di Baku - «non si può fare il gioco di qualcun altro: è così facile perdere la propria indipendenza. Auspichiamo che le autorità azere tornino rapidamente in sé e perseguano una politica nell'interesse del paese».
Per quanto riguarda la seconda ragione di burrasca, media iraniani hanno accusato Baku di aver concesso a Israele il sorvolo del territorio azero per colpire, in particolare, Rasht, Teheran e Karaj. La maggior parte degli attacchi sionisti a tali città, sarebbe stata effettuata sorvolando il mar Caspio, una volta attraversato l'Azerbaigian. Il presidente Aliev ha ufficialmente negato il coinvolgimento azero, ma è vero che lo aveva negato anche per la partecipazione di agenti turchi alla guerra contro il Karabakh nel 2020, per la quale aveva utilizzato droni da ricognizione e missili tattici israeliani.
L'Azerbaigian, nota il blogger Boris Rožin (ColonelCassad) è interessato all'indebolimento e alla disintegrazione dell'Iran, che darebbe a Baku la possibilità di impadronirsi dell'Armenia meridionale e annettere le regioni nord-occidentali dell'Iran, dove una percentuale significativa della popolazione è composta da azeri. Su Radio Komsomol'skaja pravda, Rožin fa risalire abbastanza addietro nel tempo i “dissapori” russo-azeri, in particolare per forniture militari a Kiev e altri paesi della regione, come era avvenuto durante la guerra in Siria, quando le forniture di armi agli islamisti anti-Assad passavano per l'Azerbaigian. È chiaro, dice Rožin, che Baku «ha intrapreso da tempo e sistematicamente la strada per rivedere le relazioni con la Russia e la questione degli arresti a Ekaterinburg, o la storia dell'aereo precipitato ad Aktau» - il volo Baku-Groznyj precipitato in Kazakhstan del dicembre 2024: il governo azero accusa Mosca di averlo abbattuto con un missile terra-aria, mentre erano in corso voli di droni ucraini sopra l'aeroporto di Groznyj - «sono piuttosto dei pretesti, dal momento che il percorso ostile nei confronti della Russia e il sostegno all'Ucraina risalgono a molto prima».
Più diretto l'attivista sindacale kazakho Ajnur Kurmanov che, su PolitNavigator, afferma apertamente che «il via libera è stato dato: Aliev si è smascherato come agente di Ankara e Londra» per provocare instabilità ai confini meridionali della Russia. In particolare, l'intelligence azera avrebbe fornito a Kiev informazioni sul sistema di sicurezza delle infrastrutture di trasporto russe e sulla successiva risposta del FSB agli attacchi dei droni ucraini: pare che il taglio dei «tentacoli spionistici abbia causato tale isteria da parte azera», da provocare la reazione di cui si diceva all'inizio e che potrebbe addirittura portare alla rottura dei rapporti diplomatici con Mosca.
È ovvio, afferma Kurmanov, che sia di vitale interesse per Baku la prosecuzione della guerra in Ucraina, dato che la sconfitta di Kiev colpirebbe i piani di «ulteriore assorbimento del “Azerbaigian occidentale" armeno e le ambizioni a diventare il principale motore della politica occidentale e turca in Asia centrale. Così che si sta facendo tutto il possibile e l'impossibile per complicare» le cose alla Russia. Ecco che oggi Baku cerca di imporre agli altri membri dell'Organizzazione degli Stati Turchi (OTG: Azerbaigian, Kazakhstan, Kirghizstan, Turchia, Uzbekistan) la metodologia turco-britannica, per eliminare il loro campo informativo da media e organizzazioni russe, adottando «leggi discriminatorie e arrestando i sostenitori dell'integrazione. Tutta questa attività russofoba è coordinata da un unico centro, e l'Azerbaigian funge da locomotiva del processo». In generale, però, Aliev non si sarebbe impegnato proprio ora in uno scontro aperto se non avesse concordato le mosse con Ankara e non si fosse assicurato il sostegno di Londra. Secondo Kurmanov, l'Azerbajdžan verrebbe utilizzato da turchi e britannici come «un ariete per creare un saliente di tensione a sud, con l'obiettivo di salvare l'Ucraina e cacciare la Russia da Transcaucasia e Asia centrale».
Ciò sarebbe confermato dagli ultimi eventi in Armenia, che sta «diventando un protettorato della Turchia e dell'Occidente, mentre la NATO sta ottenendo un corridoio senza ostacoli verso il mar Caspio e l'Asia centrale». Di fatto, è in corso la formazione di un nuovo fronte per sfrangiare le «risorse militari di Mosca e creare una catena di stati ostili lungo il perimetro dei suoi confini meridionali, stringendolo in un anello di accerchiamento». Per mano di Baku potrebbe venir «bloccata la rotta geostrategica Nord-Sud», mentre Kazakhstan e Asia centrale, nel quadro del blocco politico-militare del OTG, potrebbero chiudere i loro territori alle «comunicazioni con il Sud-est asiatico; verrebbero così bloccate anche quelle con l'Iran, vero alleato di Mosca, il che renderebbe più facili i compiti di Israele e Stati Uniti».
E se Kurmanov disquisisce in particolare delle possibili conseguenze delle azioni azere, è ancora Boris Rožin che indica i passi di Mosca da lui considerati più appropriati per ridurre Baku alla ragione politica. Da tempo, l'Azerbaigian si considera una potenza regionale, dice Rožin: la vittoria in Karabakh, la crescita della potenza militare, il sostegno della Turchia; tutto ciò rafforza le sue ambizioni. I rapporti con Mosca sono «formalmente cordiali, ma in realtà stanno scivolando sempre più verso la freddezza». Qualsiasi incidente potrebbe diventare un fattore scatenante, che sia un'operazione anti-crimine in Siberia, o un attacco missilistico russo a una raffineria di petrolio in Ucraina importante per Baku: anzi, proprio la «distruzione delle raffinerie potrebbe essere la vera ragione dell'isteria azera. Pare che la raffineria di Kremenchug fosse rifornita con petrolio azero “Azeri Light”»; produceva ultimamente circa 500.000 tonnellate, mentre la sua capacità prebellica era intorno ai 3 milioni. A giugno, è stata definitivamente distrutta da diversi attacchi aerei; colpita anche la raffineria di Drogobichskij, di capacità comparabile. Da ciò, ne sarebbe rimasto svantaggiato l'Azerbaigian, che vende il petrolio all'Ucraina.
Dunque, si interroga Rožin, quali potrebbero essere le mosse di Mosca, in caso di escalation, per proteggere i propri interessi senza arrivare a uno scontro militare? Non ci si dovrebbe scusare per l'intervento della polizia a Ekaterinburg e nemmeno alzare la polemica per la chiusura di “Sputnik Azerbaigian”: a volte, i «canali chiusi sono molto più efficaci. Mosca, dovrebbe dare invece un segnale freddo e chiaro: "Questa è una questione interna. Continuate così, non finirà bene"».
Se Baku usa la diaspora azera come leva di pressione, la Russia ha una risposta simmetrica: «rafforzamento dei controlli su mercati, logistica, edilizia», in cui si muovono i “biznesmeny” azeri in Russia; ispezioni, misure fiscali e sanitarie, ripulisti legale dei legami criminali. «Il messaggio è trasparente: gli affari delle vostre élite sono qui. E sono vulnerabili». Inoltre, se l'Azerbaigian, come riconosce Kurmanov, è un anello chiave nel “corridoio Nord-Sud”, Mosca deve dimostrare di disporre di un'alternativa, attraverso mar Caspio, Iran, Turkmenistan, pur più impervia, ma «possibile, con rotte di bypass, investimenti nei porti, nuovi mezzi: tutto ciò riduce il potenziale di ricatto di Baku. Gli imprenditori azeri in Russia sono influenti e ricchi, dice Rožin; il loro interesse è la stabilità delle relazioni». Attraverso segnali informali, essi stessi potrebbero far capire a Baku che il confronto è un rischio per il patrimonio e la reputazione: ciò sarebbe più convincente di qualsiasi nota diplomatica.
C'è di più: la Turchia è un partner dell'Azerbaigian, ma non è favorevole ai conflitti con la Russia; l'Iran è più dalla parte di Mosca; l'India è a favore della logistica e della stabilità. Coordinando le azioni con questi paesi, «Baku può essere privata del suo senso di impunità. E, soprattutto, si può dimostrare che l'isolamento non minaccia Mosca», ma Aliev stesso.
Non sarebbe la prima volta che Baku ritorna sui propri passi, cercando il riavvicinamento a Mosca. D'altronde, la situazione in tutta l'area è lungi dall'essere tranquilla, come testimonia anche la vicenda armena per cui, ovviamente, UE-NATO puntano il dito su Mosca. È tutto in movimento.
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