di Francesco Santoianni - da Avanti.it
“Null’altro che isolate mele marce” i cinque lobbisti (tra i quali la vicepresidente del Parlamento Ue) arrestati per aver intascato mazzette dal Qatar? O è solo l’accidentale emergere di un fiume carsico di corruzione che, da anni, orienta le scelte dell’Unione europea? Se lo chiedono in molti davanti all’esercito di circa 12.000 lobbisti (5.996 di industrie e imprese; 3.141 di Ong e associazioni dei consumatori; 1.124 di società di consulenza; 913 di istituti accademici e di ricerca; 576 di enti pubblici; 51 di organizzazioni religiose) registrati nell’apposito “Registro trasparenza”, che assediano il Parlamento europeo. Altri lobbisti e i loro clienti sono emersi casualmente. È il caso, ad esempio dei “SorosLeaks”, documenti trafugati dai computer della Open Society European Policy Institute, che elencano, tra gli altri, gli europarlamentari ritenuti “affidabili” dalla fondazione del miliardario George Soros.
Intendiamoci, in teoria, un lobbista dovrebbe essere un professionista che, alla luce del sole, perora, anche presso esponenti politici, gli interessi dei suoi committenti che, verosimilmente, egli ritiene validi. Ma le sorprese non mancano. Tempo fa, ad esempio, il Congresso Usa avviò una inchiesta per stabilire quanti ex congressisti fossero diventati lobbisti: i risultati furono sconfortanti. Uscì fuori che moltissimi erano stati, lautamente, arruolati da aziende che nel corso del loro mandato avevano favorito facendo passare provvedimenti legislativi. Peggio ancora, si scoprì che almeno 90 ex membri del Congresso erano registrati come lobbisti che tutelavano interessi di paesi stranieri.
La Cina, ad esempio, si serviva di otto ex membri del Congresso per favorire due società statali cinesi (Hikvision e iFlytek che producono apparecchiature di sorveglianza) che, nel 2019, erano state messe in lista nera dal governo degli Stati Uniti per violazione dei diritti umani. L’Arabia Saudita aveva come principale lobbista l’ex senatore Norm Coleman, già membro della commissione per le relazioni estere del Senato dove – dopo che il giornalista Jamal Khashoggi era stato fatto a pezzi in un consolato dell’Arabia saudita – era impegnatissimo a difendere l’operato del regime saudita. Ancora peggio per la Turchia che si scoprì avere 16 ex membri del Congresso Usa (non registrati come lobbisti) a sua disposizione. Per rimediare a questo scandalo nel giugno 2022, è stato varato il “Fighting Foreign Influence Act”, che vieta a ex membri del Congresso e ad alti alti funzionari governativi di fare i lobbisti per governi e organizzazioni straniere. Ovviamente, non di presiedere consigli di amministrazione di, ad esempio, aziende che producono armamenti che sono l’asse portante della politica estera statunitense.
Ma torniamo all’Unione europea. Al momento, la più clamorosa attività di lobby è stata quella esercitata da Uber, uno scandalo documentato dalla divulgazione di oltre 124 mila documenti interni della multinazionale. Sulle pressioni (che si direbbero vere e proprie minacce) esercitate da Uber sugli euro parlamentari dell’Unione Europea è certamente illuminante l’intervista a Leila Chaibi, (esponente di La France Insoumise e del raggruppamento The Left nel parlamento europeo) che è riuscita ad impedire lo sbarco in Europa di questo servizio (reso da “piccoli imprenditori” in realtà schiavi senza diritti) per favorire il quale Uber, già nel 2016, programmava di spendere oltre 60 milioni di dollari in “attività di lobby”.
E in Italia? In Italia, sciaguratamente scomparso il finanziamento pubblico ai partiti, si direbbe nessuno faccia caso quello di lobbies incistate in Fondazioni; tra le più chiacchierate Open, di Matteo Renzi, beneficiario di incarichi commissionati dall’Arabia saudita.
Ma perché scoppia proprio ora lo scandalo del Qatar che paga sottobanco lobbisti mentre nessuna indagine della Magistratura (non quella dell’inutilissima EPPO, la “Procura europea”) sfiora, ad esempio, Ursula Von der Leyen per i suoi sms con Pfizer e forniture di vaccino fatte con contratti segreti? Secondo alcuni, lo scandalo e gli arresti di questi giorni altro non sarebbero che un ammonimento per il Qatar “colpevole”- a differenza di Arabia Saudita ed Emirati Arabi - di essersi avvicinato troppo alle posizioni della Russia, sulla guerra in Ucraina; secondo altri, invece, scopo dello scandalo sarebbe far sfumare la cessione al Qatar della raffineria Lukoil, espropriata ai russi. Cessione che sarebbe stata pilotata da Massimo D'Alema, deus ex machina di Articolo Uno, lo stesso partito dell’ex eurodeputato Antonio Panzeri arrestato in questi giorni. Ipotesi che, comunque, restano mere congetture. Quello che, invece, è una certezza è il verminaio di interessi, sugellato da mazzette, che lega potentati economici, potere politico, “inquirenti” e mondo dell’”informazione”.
Che dire per concludere? L’inevitabile citazione di Marx su corruzione e società capitalista? Meglio, la considerazione di un cinico, ma bravo, giornalista, (ovviamente, diffamato di essere una “spia dei comunisti”) Ryszard Kapuscinski: <<Chi occupa una carica e non ruba si fa il vuoto intorno, viene sospettato di essere una spia mandata a scoprire quanto rubino gli altri, per poi riferirlo al nemico, avido di informazioni del genere. Gente come quella guasta la festa e viene fatta fuori alla prima occasione. È il mondo alla rovescia, il capovolgimento dei valori.>>
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