Cosa c’è dietro le scuse di Papa Francesco ai Nativi Americani


di Raffaella Milandri

Le scuole residenziali indiane

La “gestione” della conquista del Nord America e delle sue popolazioni, rispetto ad altre “imprese” coloniali europee, offre delle straordinarie peculiarità: dopo la nascita degli Stati Uniti, indipendenti dall’Europa, si assisteva a una sorta di “violenza calibrata e buonista”, con la quale la giovane America cercava di distinguersi, in modo positivo, dalle politiche euro-imperialiste delle vecchie potenze da cui si era svincolata. Da qui, nell’Ottocento nascevano, nel complesso di leggi ingiuste e discriminazioni, il sistema delle riserve indiane e il meccanismo di assimilazione e di genocidio culturale messo in atto attraverso le scuole residenziali. Dal classico motto “Il solo indiano buono è un indiano morto” si passò, quindi, a “Uccidi l’indiano, salva l’uomo”.

Educare i “selvaggi” fu stimato come il solo metodo per non sterminarli – o meglio, per sterminarli in modi all’apparenza meno cruenti. Ma andiamo alle scuole residenziali indiane: prima negli Stati Uniti, e poi in Canada, si iniziò a praticare la istruzione forzata sulla gioventù indigena. Si allontanarono i bambini nativi dalle famiglie e dalle loro “perniciose” tradizioni, imponendo loro di diventare, come scrisse Francis La Flesche, “uomini bianchi per finta”: il taglio dei capelli, l’assegnare un nome cristiano, lo studio della lingua inglese, l’adozione della religione cristiana e l’insegnamento e pratica di lavori di manodopera per i ragazzi e domestici per le ragazze. Gli studenti nativi dovevano produrre e finanziare essi stessi le strutture scolastiche, improntate a una gestione a basso costo. Nella Carlisle Indian Industrial School e negli altri collegi indiani dovettero imparare a fabbricare finimenti per i cavalli, a produrre articoli in latta e a costruire a mano mobili e carri.



Crow alla scuola di Crow Agency, St. Xavier, Montana, 1890. Fonte CROW INDIAN PHOTOGRAPHIC COLLECTION, LITTLE BIG HORN COLLEGE,

La maggioranza delle scuole a gestione statale fu presto affidata per convenienza a missionari ed enti religiosi, in maggioranza cattolici, a fronte di un pagamento minimo – miserrimo – per ogni studente nativo. La scarsità di tali cifre portò i poveri ragazzi a malnutrizione, malattie ed epidemie, e attirò personale scolastico a bassa retribuzione per buona parte dalla moralità molto dubbia: in queste scuole abusi fisici, sessuali, morali portarono a tassi di mortalità devastanti, nonché a suicidi dei giovani nativi. In un report del 2001 della Truth Commission into Genocide in Canada si legge anche di esperimenti e pratiche terrificanti. Questo sistema delle scuole residenziali indiane andò avanti, negli Stati Uniti e in Canada, fino ai recenti e insospettabili anni Novanta.


Foto concessa all'Autrice dal People's Center di San Pablo, Confederated Salish and Kootenai Tribes of the Flathead Nation


La scoperta delle tombe senza nome

A partire da fine maggio 2021, rilevamenti con il Ground Penetration Radar hanno denunciato la presenza di centinaia, poi migliaia di possibili resti di studenti nativi nei terreni delle ex scuole residenziali indiane in Canada, perlopiù cattoliche. Esclamazioni di sgomento e indignazione hanno risuonato sui media mondiali e sui social. Nonostante queste misere spoglie, a oggi, non siano state ancora portate alla luce, – scatenando alcune opinioni negazioniste – agli occhi del mondo si è presentata la orribile immagine di questa gioventù nativa seviziata, dissacrata, violentata. Di cui, del resto, i Nativi Americani e Canadesi hanno sempre parlato, sin dai primi del Novecento.

Va detto: la responsabilità maggiore di ciò che è accaduto – indipendentemente dal numero di corpi che potranno mai essere dissepolti – va ai Governi statunitense e canadese, che hanno emanato le leggi e forzato la gioventù nativa a frequentare tali scuole, per poi darle in gestione alle Chiese cristiane. Però è stata in primis la Chiesa Cattolica a essere additata come responsabile. Lo stesso Primo Ministro Trudeau ha chiamato in causa il Papa e la Chiesa. Perché? I motivi per questo “salto alle conclusioni” sulle scoperte delle ex residential school sono complessi: economici e politici, sensazionalistici, e condizionati anche dal noto declino della popolarità della Chiesa cattolica degli ultimi anni. Ricordiamo, ad esempio, gli scandali degli abusi in Irlanda venuti alla luce a gennaio del 2021, e quelli in Scozia del 2018.

Come scriveva lo storico Marc Bloch: “Una falsa notizia nasce sempre da rappresentazioni collettive che preesistono alla sua nascita; essa solo apparentemente è fortuita o, più precisamente, tutto ciò che in essa vi è di fortuito è l’incidente iniziale, assolutamente insignificante, che fa scattare il lavoro dell’immaginazione; ma questa messa in moto ha luogo soltanto perché le immaginazioni sono già preparate e in silenzioso fermento”.

In realtà la questione è anche e soprattutto economica: già da parecchi anni in Canada e negli Stati Uniti vanno avanti numerosissime cause con richiesta di indennizzo da parte dei sopravvissuti alle scuole residenziali e delle famiglie delle vittime; infatti, analizzando la questione, come ho fatto in un mio recente saggio (Le scuole residenziali Indiane. Le tombe senza nome e le scuse di Papa Francesco), il Governo canadese ha già dovuto esborsare diversi milioni di dollari e la Chiesa Cattolica e il CCCB, il Congresso Canadese dei Vescovi Cattolici, hanno invece cercato di rimandare o ridurre le somme da erogare.

La distruzione di Chiese e monumenti in Canada

Il coinvolgimento della Chiesa cattolica e la chiamata in causa di Papa Francesco sono stati esasperati dalla reazione rabbiosa dei Nativi canadesi dopo i primi rilevamenti di tombe: ben 85 chiese sono state danneggiate o incendiate dalla fine di maggio del 2021. Oltre alle chiamate a gran voce del ministro Trudeau e delle comunità native, anche il CCCB ha fatto pressioni sul Papa per un suo intervento di scuse pubbliche.

Il meccanismo delle scuse

“L'offerta di scuse è diventata così comune nella politica mondiale che alcuni hanno definito questa l'epoca delle scuse”, scriveva Andrew Rigby, Professore Emerito di Studi sulla Pace, nel 2001. Gli Stati non sono gli unici a porgere scuse, ma anche le imprese, le organizzazioni non governative, le celebrità, e persino figure religiose. Il sociologo Nicholas Tavuchis ha sottolineato la natura paradossale delle scuse: “Le scuse, per quanto sincere o efficaci, non cancellano e non possono cancellare ciò che è stato fatto. Eppure, in modo misterioso e secondo la loro stessa logica, è proprio questo che riescono a fare”.

Andrew Woolford, anch’egli sociologo, osserva che, in questo tipo di riparazione, spesso accade che “... un gruppo dominante esercita pressioni di assimilazione su un gruppo meno potente”, eliminando così anche una parvenza di giustizia dal processo di riconciliazione.

Le scuse di Papa Francesco

Alla fine di luglio 2022, dopo un paio di rinvii e una visita in Vaticano di delegazioni di Nativi Canadesi, accompagnati da vescovi della CCCB, finalmente il Papa solcava l’oceano per porgere le sue scuse alle comunità native. Scuse che da alcuni sono state molto apprezzate e da altri sono state ritenute insufficienti e parziali. I retroscena sono tantissimi e non possiamo approfondire qui tutta la questione, ma occorre rilevare alcune cose.

Prima di tutto l’intervento di Papa Francesco ha dato una incredibile visibilità a tutta la vicenda: alle comunità indigene e in particolare al loro tragico passato. Finalmente si è parlato di assimilazione forzata e di genocidio – culturale e non solo. La storia dei Nativi Americani non può, e non deve essere taciuta: è troppo importante per comprendere i meccanismi politici passati e in atto ma anche per rendere giustizia a un popolo che ha sofferto le pene dell’inferno.

Poi, si sono portate alla luce tante questioni in sospeso anche sulla legislazione attuale che relega e discrimina le popolazioni indigene, che tuttora sono in prima linea a lottare per difendere i loro diritti.

Infine: la questione delle tombe senza nome. Rimane un dilemma in sospeso. I corpi non sono ancora stati scavati nei vari siti in cui il Ground Penetration Radar ne ha segnalato la presenza. Ma ci chiediamo: è davvero necessario scavare e contare le salme?

Questo lo possono decidere solo le comunità indigene, che devono fare i conti con il loro dolore.

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