Dal lenzuolo al divano, Israele torna buono

di Pasquale Liguori

Non pochi avevano creduto - ingenui - a un barlume di rinsavimento del sistema. Persino i media liberal padronali (Repubblica, Corsera, Mentana & co.), dopo mesi di complicità, sembravano accorgersi che a Gaza si stava consumando un genocidio. Addirittura, il PD balbettava qualcosa del genere e quelli del “né con… né con…”, del “7 ottobre condannato senza se e senza ma” in premessa, si erano messi in marcia. E via poi con Ong, Onlus, Pro Loco, scout, festival, tavoli per la pace, arcobaleni, gruppi facebook infervorati. Tutti in un nuovo coro, allineato. Con le loro grafiche emotional da “ultimo giorno”, i leggiadri hashtag solidali, le bianche lenzuola stese e quei cinque minuti di buio programmato per dar luce alle coscienze.

Ricorderemo questo vivace mese di redenzione.

Aleggiava perfino un’ebbrezza da “massa critica” - l’ho sentito dire da insospettabili. Il sistema vacillava! L’opinione pubblica si destava!

Poi, mentre finalizzava indisturbato la pratica genocidio, Israele ha attaccato l’Iran.

Ed ecco che, come un sol uomo, l’intero mainstream occidentale ha ritrovato la bussola: di nuovo compatti in difesa della civiltà bianca contro la barbarie islamista.

Riecco i discorsi floreali su libertà, democrazia, diritti delle donne - non a Gaza, eh, ma a Teheran.

Riecco Israele, repentinamente dimenticato criminale e nuovamente faro nella notte persiana, baluardo contro i veli, le frustate, gli Ayatollah tagliagole.

La parola genocidio? Tornata a far paura, come comunismo negli anni '50.

Le piazze? Sul divano o al mare.

I lenzuoli? In lavatrice.

Gli hashtag? Deleted.

Il campo largo anti”massacro”? Ha smontato il palco.

Un saluto tenero va alle anime belle che si erano commosse al “meglio tardi che mai”, al “finalmente si muove qualcosa”. Sì, si muoveva: era la ruota del criceto.

Il peggior nemico è la fame di consenso, la sete di approvazione, la dipendenza dal riconoscimento del potere.

Bisogna essere altro: seri. Non distante da noi v’è resistenza. Che non si fa coi pranzi equi e solidali.

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