I nostri giornaloni si sono superati nell’enfatizzare il discorso di Francois Bayrou davanti all’Assemblea Nazionale. Quaranta accorati minuti sintetizzati in una frase “avete il potere di rovesciare il governo ma non di cancellare la realtà!”. Una conclusione dall’indubbio impatto, soprattutto se, come in questo caso, essa viene cavalcata ad arte dal circo mediatico. Ma per chi ha gli anticorpi e non si lascia irretire da quest’informazione tossica come non mai viene spontaneo chiedersi chi è che nega cosa e perché. Semmai ce ne fosse il bisogno la sortita è piuttosto rivelatrice della distanza siderale che intercorre tra le elites delle oligarchie liberali dell’occidente (le sedicenti democrazie) ed il cosiddetto corpo elettorale.
La realtà è proprio quella che l’ex primo ministro transalpino e quelli come lui fingono di non vedere. Mentre Il debito pubblico va fuori controllo e dai territori di oltremare giungono solo guai la republique si trova di fronte alla più grave crisi politica, economica e sociale del dopoguerra. Si è ormai giunti al capolinea; la finzione democratica non regge più e il pathos di certe affermazioni rimbalza inesorabile contro chi le proferisce. Ma è chiaro a tutti che l’ex primo ministro è un Carneade qualsiasi e Macron è il vero imputato. E pressato come è dalle estreme cosa può fare quest’ultimo se non aggrapparsi con le unghie e coi denti all’unico relitto che ritiene in grado di tenerlo a galla? “Polemos” (la guerra), l’antico “padre di tutte le cose” sembra ormai l’unica via percorribile per il presidente più inviso e deriso di sempre. E pensare che all’inizio del conflitto Russia-Ucraina il mancato Bonaparte diede l’impressione di essere tra coloro che più si adoperarono per impedirlo. Evidentemente due modi diversi ed uguali pur di calcare la scena.
Non va meglio neppure oltre frontiera dove Friedrich Merz può vantare il primato storico di essere il primo cancelliere della Bundesrepublik a non essere stato confermato al primo turno, subendo le estreme AFD e BSW con una pressione che a fronte di una crisi industriale senza precedenti diventa schiacciante nei Lander dell’est. Sarà anche vero che qui non c’è l’assillo del debito e che se la transizione verso l’elettrico è stata un fallimento ci si può buttare sulla produzione di carri armati. Ma nel caso di specie, e per ovvie ragioni, la fregola bellica va contenuta e il gioco di sponda di Frau von der Leyen non aiuta più di tanto.
Né c’è da starsene allegri volgendo lo sguardo oltremanica dove, tra uno stato sociale al collasso, la degradazione della sterlina e i dissesti provocati dalla finanziarizzazione dell’economia il malcontento è salito a livelli mai visti dal dopoguerra in qua. L’uscita dall’euro non ha prodotto alcuno degli effetti sperati e, come per i dirimpettai, finite le mucche da mungere, dalle ex colonie giungono solo guai. Anche nella perfida Albione la fiducia nella compagine di governo è ai minimi termini.
Sembra far eccezione il bel paese ma non occorrono troppi sforzi per accorgersi che il vantato consenso è del tutto effimero, e che i successi elettorali sono frutto solo in parte delle prestazioni trasformistiche della sua leader, essendo riconducibili soprattutto alla pochezza degli oppositori e ad un astensionismo ed una disaffezione politica crescenti. Il paese invecchia mentre i salari restano tra i più bassi d’Europa (altro che vantarsi per la ripresa dell’occupazione) e il primo pensiero dei giovani più promettenti negli studi è quello di trovarsi una sistemazione all’estero.
Come se non bastasse, cambiando continente, da quella che viene enfaticamente definita la più grande democrazia del mondo giungono i segnali di una strisciante guerra civile, e questo proprio mentre il suo presidente tra il serio e il faceto si autocandida al Nobel della pace. Ironia della sorte o Astuzia della ragione di hegeliana memoria?
Così si parla in continuazione degli effetti nefasti prodotti dalla propaganda delle autocrazie. Ormai è un mantra che ci viene proposto come il caffè mattutino. Ma come ripete da tempo Noam Chomsky su questo piano le democrazie la sanno più lunga rispetto ai regimi autoritari, potendo contare su una tradizione ultradecennale e consolidata, oltre che su un grado di assuefazione delle opinioni pubbliche che da fisiologico è diventato patologico (N Chomsky, E.S.Herman, “Manifacuring Consent: the political economy of the mass media”, 1988
“La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre che abbiamo sperimentato finora!” Ce lo sentiamo ripetere con la pervasività di uno spot commerciale, tanto dai politici nostrani quanto dagli alfieri della libera informazione. C’è da chiedersi se il più celebre aforisma di Churchill, conservi tuttora la sua validità. Non sarà piuttosto che nell’attuale momento storico sia proprio l’inganno smascherato a privare le democrazie di ogni residua autorevolezza, con ciò alimentando proprio quelle autocrazie che si vorrebbero contrastare?
Il caso di Israele è del tutto paradigmatico. Quante nefandezze si sono compiute e si continuano a compiere spacciandole come danni collaterali necessari a difendere “l’unica democrazia del medio oriente”? Un’oasi di civiltà circondata da nemici tra i quali spicca il suo contraltare, ovvero la teocrazia iraniana. Ma una democrazia può convivere con una teocrazia? Da quel che vediamo sembrerebbe di si.
Della teocrazia iraniana stigmatizziamo le gru per le impiccagioni, la polizia morale ed altre amenità, parliamo di un regime oscurantista che rimanda ai tempi della nostra inquisizione. Tutti i suoi istituti evocano qualcosa di assurdo e inaccettabile per la nostra civiltà giuridica, ma non è da ieri che Israele, neutralizza i propri nemici senza processi preventivi e senza alcun riguardo rispetto alla contabilità degli Untermenschen coinvolti. A Gaza perfino la proporzione nazista dell’1 a 50 è ormai abbondantemente sorpassata.
Si ripete fino alla nausea la litania del prima e del dopo con riferimento al 7 ottobre 2023…ma Israele non applicava già prima della fatidica data l’istituto medioevale della pena per colpa d’altri, quando distruggeva le case dei famigliari degli attentatori e deportava chi vi abitava? E non applica forse la stessa logica e lo stesso criterio quando come se si tratti di una gita fuori porta si arroga il diritto di distruggere un impianto o di polverizzare i nemici qualche migliaio di chilometri più in là, perfino in paesi neutrali? E noi occidentali nel frattempo cosa facciamo. Sulla scorta dei precedenti (“Munich” 2005, regia S. Spielberg) c’è da attendersi tra qualche anno una rinnovata celebrazione hollywoodiana da poter gustare al cinema o nelle nostre tiepide case.
Il cancelliere Merz ha perfettamente ragione quando dice che Israele sta facendo il lavoro sporco per tutto l’Occidente, ma papa Leone ne ha ancora di più quando ricorda che al di là della democrazia il vero problema è dato dalla crescita stratosferica della disuguaglianza e dei divari di reddito. E’ questa la realtà che non si può cancellare monsieur Bayrou. Se volete continuare a galleggiare ancora un po' sarà meglio che teniate in maggior considerazione l’eco delle vostre parole perché qualcosa si sta muovendo dopo tanto torpore. Così se in nome dei valori occidentali qualche opinionista da salotto dice di non aver dubbio riguardo al fatto che i terroristi di Hamas debbono essere sterminati c’è chi potrebbe eccepire che secondo logica e coerenza una simile soluzione finale dovrebbe auspicarsi anche per il governo terrorista del criminale che lui e i suoi colleghi chiamano amorevolmente Bibi.
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