Emmanuel Goût - Disegnare la pace anziché i cimiteri!


di Emmanuel Goût*

Ci sono tanti, troppi guerrafondai, intenti a disfare la tela della Pace nei loro palazzi dorati, mentre gli studi televisivi sono sempre più avidi di esperti che al dunque si rivelano più che mai improvvisati.

Sono andati ormai troppo avanti sulla strada senza ritorno, nutriti da narrazioni sempre più bellicose. In Francia, per fare un esempio, lo stesso Presidente Macron si è da tempo affezionato a questo vocabolario bellicoso, che ha usato in ogni occasione possibile: contro i gilet gialli, quando ci sono le foreste che bruciano, quando c’è stata l’epidemia di Covid, oppure nel caso del calo delle nascite. Ed ora, soprattutto contro i Russi.

Infine, questi stessi sono costretti a trovare una soluzione al disastro economico che si profila alle nostre porte, molto più che a quelle della Russia, con il debito pubblico francese o italiano che supera il 130% del PIL mentre in Russia non raggiunge il 20% del PIL.

In questo contesto, che cosa c'è di meglio della buona vecchia ricetta tanto cara ai nostri antenati: mantenere in vita l'industria delle armi, come dimostra l'aumento del valore di Borsa delle azioni di Leonardo, triplicato in due anni?

C'è chi parla di Pace, anzi Colui che parla di Pace, Papa Francesco (ricordiamo anche con lui il suo "ambasciatore personale" a Mosca, il Presidente dell'Associazione dei Vecchi Credenti Ortodossi) che, nella sua lotta per la pace, sta dimostrando una forza spirituale senza pari, ben diversa dal suo omologo ortodosso, il Patriarca Kirill che, evocando "una guerra santa", rischia di essere associato ad estremisti religiosi di ogni genere: dagli islamisti del Daesh agli ebrei (ultra)ortodossi, a tutti quelli che associano erroneamente Dio ai propri disegni bellicosi e/o economici, dichiarando solennemente "in God we trust" oppure evocando "Gott mit uns".

Troppo spesso, però, questi pacifisti di tipo molto diverso si trovano ad essere classificati caricaturalmente come "collaborazionisti" e ridotti a versioni "copia e incolla" di questo o quell'episodio storico, anche se la semplice analisi di questi paragoni semplicistici ne smentisce la pertinenza.

Perché mai la Storia dovrebbe ripetersi in un ambito così limitato come il XX secolo, senza ricordare, ad esempio, quello che Edmond Dziembowski descrive ne "La guerra dei sette anni", che è stata all’origine della Prima guerra mondiale e che risale al XVIII secolo? La scena del massacro di Jumonville e dei suoi uomini potrebbe ben essere paragonata al massacro ucraino dei 42 russi, bruciati vivi a Odessa il 2 maggio 2014…

Diamoci dunque la possibilità di improvvisarci, in termini di sostanza, come gli eredi di Mazzarino, Choiseul, Briand... così ben riscoperti nella raccolta di "Grandi diplomatici" diretta da Hubert Védrine - Un club di grandi diplomatici della storia che, non a caso, si sofferma su un solo diplomatico in vita, il russo Lavrov, dalla penna dell'ultima grande ambasciatrice di Francia in Russia, Sylvie Bermann.

Per quanto riguarda la forma, non esitiamo a porci il problema di quelli che hanno caratterizzato la nostra istruzione elementare: “Se un treno parte da Milano Centrale alle 09:05, va a 120 km/h, quanti...?”

Prendiamo quindi la matita e proviamo a disegnare la pace.

Intorno al tavolo c'è chi si offre il paradosso di destreggiarsi con il presente e il passato come meglio crede, e c'è chi srotola la storia degli ultimi 30 anni, entrambi ostentando un’ineluttabile ma presunta buona fede.

Per i primi, il presente è rappresentato dagli orrori - esclusivamente russi - della guerra, una guerra provocata dalla Russia, di diretta derivazione sovietica, un'invasione e una violazione di un'Ucraina sovrana che essi fanno risalire al 1991 come parte delle loro rivendicazioni. È la lotta contro un mostro del KGB che non smette di elogiare e promuovere la ricostruzione di un Impero sovietico (in totale contraddizione con le affermazioni del suddetto mostro), di cui la popolazione russa sarebbe nostalgica. È il desiderio di porre fine a questo "dittatore" Putin, che, già nella primavera del 2022, veniva descritto dai media mainstream - dai nostri famosi esperti - come quasi morente, tanto quanto il suo esercito o il suo Paese dal punto di vista economico (nessun rimorso espresso da allora sull'accumulo di "fake news").

È la condanna verso un Putin che si improvvisa difensore della civiltà occidentale - un bel paradosso - a fronte di un Occidente che si restringe sempre più nel concerto del mondo.

Putin sarebbe un nuovo Hitler, che trasforma i promotori della pace in orribili “munichois”, cedendo a un riavvicinamento tanto ridicolo quanto insensato. Infine, Putin ucciderebbe i suoi oppositori e sarebbe colui che bandisce dalla società ONG come il movimento LGBT+, confermando un'apparente caccia agli omosessuali...

Chi vive in Russia convive quotidianamente con gli omosessuali in tutti gli strati della società russa, senza che questi debbano preoccuparsi del minimo problema esistenziale.

Per Putin la sessualità, come la religione, sono una questione privata. Peccato per i “wokisti” di ogni provenienza. Va anche detto che più di 22 milioni di musulmani vivono in Russia senza il minimo problema, una convivenza di fatto ispirata al modello del Concordato di Napoleone. Inoltre, non a caso, Putin si è affrettato a non demonizzare le comunità nazionali musulmane dopo l'attentato al Crocus del 23 marzo. Ci vuole tempo per identificare e denunciare i responsabili.

Tutti quelli che siedono da questa parte del tavolo pensano a una guerra che potrebbe finire una volta riconquistata la sovranità territoriale ucraina, quella che risale al 1991. Ci chiediamo legittimamente, in tal ipotetico caso, cosa accadrebbe alla Russia nel contesto globale: relazioni bilaterali, economiche e umane, sanzioni... difficile da immaginare, per non parlare della spiegazione che dovrebbe dare lo stesso Putin al popolo russo dell'inutile sacrificio dei suoi soldati.

Sappiamo in anticipo che questa ipotesi è - salvo un disastro militare russo sul campo di battaglia e, di conseguenza, probabilmente mondiale, tenendo conto dell'esistenza di potenze nucleari (*) - impensabile.

Dall’altra parte del tavolo, ci si limita a ricostruire quanto è accaduto negli ultimi 30 anni, a partire dai primi anni '90, con la promessa della NATO di non allargarsi dopo la disgregazione dell'URSS. A tal proposito, le versioni differiscono, ma un'occhiata alle carte geografiche mostra in ogni caso un'espansione della NATO che sarebbe difficile da accettare per la Russia. E non dimentichiamo quale fu la reazione americana di fronte alla minaccia di installare missili sovietici a Cuba, e quale potrebbe essere la reazione americana se un domani venisse installata una base russa al confine con il Messico.

Ricordano tutte le mani tese dalla Russia nel primo decennio del nuovo millennio, dallo sviluppo della cooperazione internazionale, in particolare di quella energetica (nucleare e gas), fino ai primi avvertimenti di Putin a Monaco sulle condizioni della sicurezza internazionale.

Infine, apice della storia diplomatica, si citano gli Accordi di Minsk, regolarmente citati dal Presidente russo prima dell'inizio dell'invasione: a conferma dei sospetti di Putin, due dei firmatari di questi accordi, Angela Merkel e Francois Hollande, hanno entrambi affermato pubblicamente che lo scopo principale di questi accordi era quello di guadagnare tempo per l'Ucraina e, di fatto, per i bellicosi alleati americani che, come ha rivelato di recente il New York Times, stavano approfittando della situazione per creare basi della CIA al confine con la Russia e continuare ad addestrare un esercito ucraino già impegnato sul fronte orientale dal 2014.

Certo che le parti intorno al nostro tavolo virtuale hanno avuto ben poco a che fare l'una con l'altra negli ultimi due anni, a parte l'occasionale scambio di prigionieri o la recente conversazione telefonica tra i Ministri della Difesa di Russia e Francia, Sergei Shoigu e Sèbastien Lecornu, ma ci sono passaggi più che significativi di cui si potrebbe tenere conto in termini di un possibile disegno di pace.

C'è stata la lettera della Russia agli Stati Uniti alla fine del 2021; c'è stata la lettera aperta di Geopragma ai leader europei, americani e russi nel dicembre 2021, che illustrava con largo anticipo le condizioni di un possibile accordo che avrebbe potuto evitare questo conflitto; c'è stato il vertice del 7 febbraio 2022 tra i presidenti Macron e Putin, e l'elusione da parte dell’allora presidente dell'Unione Europea Macron; e infine, repetita juvant tanto cinicamente quanto tragicamente, ci sono stati gli accordi di Istanbul, censurati soprattutto da inglesi e americani.

Ogni volta le condizioni negoziali erano le stesse: la sicurezza in generale e quella energetica in particolare, i territori culturali russi, i confini della NATO, il futuro dell'Ucraina, la ridefinizione dei partenariati o alleanze.

Da allora le cose sono cambiate, soprattutto dopo il possibile accordo di Istanbul nella primavera del 2022.

L'Ucraina e l'Europa hanno bisogno di garanzie di sicurezza. L'Ucraina deve poter pianificare la propria ricostruzione. Anche la Russia ha bisogno di garanzie significative per la sua sicurezza. Poiché le sanzioni hanno fallito il loro scopo distruttivo - nonostante siano state elogiate dal ministro delle Finanze francese Bruno Lemaire - la Russia non cerca garanzie per la sua ricostruzione, ma semplicemente un nuovo equilibrio globale che rispetti le differenze e che richieda una visione multipolare del nostro pianeta, prospettiva che trova un costituente privilegiato nell'affermazione dei BRICS+, come confermerà il prossimo vertice di Kazan nell'ottobre 2024.

Il prezzo del tradimento degli accordi di Minsk (vedi Merkel/Hollande) è quindi il riconoscimento dei territori attualmente sotto controllo russo come parte integrante della Russia. La questione di Odessa rimane aperta per motivi culturali e di sicurezza nel Mar Nero, così come il futuro della Transnistria, dell'Ossezia del Nord e il riconoscimento dell'Abkhazia.

Anche le forniture energetiche dovrebbero essere riconsiderate e riprese per garantire un risparmio significativo per i cittadini europei: non dimentichiamo che è stata l'Europa a tagliare le forniture di gas russo, non il contrario. Sono stati gli americani a organizzare la distruzione di Nord Stream 2 e a trarre profitto dalle vendite del loro gas all’Europa. In crescita economica vediamo gli USA, la Cina e la Russia, mentre l’Europa se la deve vedere con una crisi sempre più profonda.

In definitiva, lo vediamo, ce n'è abbastanza per metterci attorno a un tavolo, a patto di riconciliarsi con un linguaggio diplomatico, ben lontano dalle pratiche di invettiva e minaccia che riecheggiano, ad esempio, tra Borell, Medvedev, Biden e Tolstoj.

Ora più che mai è il momento di prendere in mano la penna e disegnare la pace anziché i cimiteri!

* Emmanuel Goût è Membro del Consiglio di Orientamento strategico di Geopragma

(*) Vale forse la pena ricordare che la prima nazione a ricordare ufficialmente l'esistenza delle armi nucleari e il loro ruolo in questo conflitto è stata la Francia, per voce del suo governo, alla fine del febbraio 2022...

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