La morte per fame della piccola Nour Abu Sala’a, 10 anni, simbolo tragico della crisi umanitaria in Gaza, ha riportato l’attenzione sulla catastrofe in corso sotto l’embargo israeliano che da mesi impedisce l’accesso a cibo, acqua e medicinali per oltre 2 milioni di persone. Secondo l’IPC, organismo internazionale per la sicurezza alimentare, "lo scenario peggiore di carestia si sta già realizzando".
I dati mostrano che Gaza ha superato le soglie di carestia per consumo alimentare e malnutrizione infantile. Ospedali come Al-Awda denunciano la totale assenza di aiuti medici e alimentari per i bambini: latte in polvere introvabile o venduto a prezzi proibitivi, supplementi nutrizionali bloccati, scorte esaurite. Nonostante alcuni annunci di “pause umanitarie”, i corridoi aperti risultano inadeguati: a giugno sono entrate meno di 40.000 tonnellate di cibo, contro le 62.000 necessarie al mese.
“Non possiamo aspettare la dichiarazione formale di carestia: sarebbe troppo tardi”, avverte il Comitato di revisione dell’IPC. La comunità internazionale continua a tergiversare, mentre i bambini muoiono di fame e l’intera popolazione è sottoposta a un lento sterminio.
Quella in atto non è una crisi umanitaria qualunque: è un genocidio per fame, deliberato, cinico, perpetrato con la complicità del silenzio globale.
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