Le recenti dichiarazioni di Donald Trump segnano un’ulteriore escalation nella lunga offensiva statunitense contro il Venezuela. Alla domanda se Washington possa aprire un vero e proprio fronte di guerra, il presidente USA non ha escluso l’opzione militare. Un’affermazione che arriva dopo attacchi letali contro imbarcazioni, definiti da organismi internazionali come possibili esecuzioni extragiudiziali, e dopo l’annuncio di un blocco totale delle petroliere dirette da e verso il Paese. La giustificazione ufficiale resta la “guerra al narcotraffico”, ma Caracas la bolla a ragion veduta come pretesto.
Nicolás Maduro parla apertamente di una strategia già vista: impossibilitati a evocare armi di distruzione di massa, gli Stati Uniti costruiscono un nuovo Afghanistan o una nuova Libia usando la narrazione fallace del narcotraffico. Al centro, ancora una volta, c’è il petrolio. La storia venezuelana dimostra che non si tratta di una novità. Sin dalla fine dell’Ottocento, con l’asfalto del lago Guanoco utilizzato per pavimentare Washington e New York, le risorse del Paese sono state sistematicamente integrate nello sviluppo statunitense. Le grandi compagnie nordamericane ed europee hanno operato per decenni come “Stato nello Stato”, influenzando governi, finanziando colpi di mano politici e imponendo regimi concessori estremamente favorevoli. Quando il Venezuela ha provato a spezzare questa dipendenza - dalla riforma del 50/50 del 1943 alla fondazione dell’OPEC nel 1960, fino alla nazionalizzazione del 1976 e alla rinazionalizzazione bolivariana del XXI secolo - la risposta è stata univoca: pressione economica, destabilizzazione politica, sanzioni.
L’attuale “assedio strutturale” a PDVSA, culminato con il sequestro di CITGO e il blocco navale di fatto delle esportazioni, rappresenta una forma moderna di nuova colonizzazione energetica. Le parole di Trump sul “petrolio che ci hanno rubato” rivelano senza filtri la logica sottostante: la sovranità venezuelana viene messa in discussione non per presunte e mai avvenute violazioni del diritto internazionale, ma perché Caracas rivendica il controllo delle più grandi riserve petrolifere del pianeta. In questo senso, la minaccia militare non è un’anomalia, ma la prosecuzione coerente di oltre un secolo di interventismo.
Il Venezuela continua a esportare, a resistere e a cercare appoggi internazionali, come dimostra il sostegno di Russia e Cina. Ma il quadro è chiaro: la crisi attuale non riguarda solo Maduro o Trump, bensì il conflitto strutturale tra sovranità nazionale e capitalismo energetico globale. Una lezione storica che, ancora una volta, viene scritta con il petrolio e con il sangue.
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