di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Sta dunque per vedere la luce il nuovo piano USA per una soluzione del conflitto in Ucraina che, tra l'altro, quantunque al momento ne siano stati resi noti solo i tratti quadro, prevede il riconoscimento di Crimea e Donbass russi. A dir poco curioso il fatto secondo cui, dopo l'annuncio del piano, i deputati alla Rada starebbero già discutendo delle dimissioni di Andrej Ermak, di una nuova coalizione alla Rada e della formazione di un governo di transizione che dovrebbe firmare l'accordo con la Russia e organizzare le elezioni, sottintendendo quindi l'uscita di scena di Vladimir Zelenskij.
I punti chiave del piano, secondo quanto riportato da Axios e Financial Times, prevedono lo status di lingua di Stato per il russo e il riconoscimento dello status ufficiale in Ucraina alla Chiesa ortodossa ucraina; riduzione degli aiuti militari USA a Kiev, che rinuncerà all'intero Donbass, mentre le sue Forze armate saranno ridotte della metà. Previsto il trasferimento alla Russia dei territori del Donbass controllati da Kiev, in cambio di garanzie di sicurezza da parte degli Stati Uniti; verranno congelate le linee di contatto nelle regioni di Zaporož'e e Kherson; i territori del Donbass ceduti da Kiev saranno considerati zona demilitarizzata, mentre non è previsto alcun dispiegamento di truppe straniere, né tantomeno l'adesione di Kiev alla NATO; a Kiev non verranno più fornite armi occidentali in grado di colpire in profondità il territorio russo. Stando alla Reuters, Washington avrebbe imposto a Zelenskij di accettare il piano di pace, premendo su di lui perché arrivi a un accordo quadro con la Russia.
Mentre la CBS riferisce dell'arrivo a Kiev del Segretario dell'Esercito USA, Daniel Driscoll, per discutere l'accordo, Axios riporta che Steven Witkoff e Kirill Dmitriev stanno tenendo "consultazioni segrete" sul nuovo piano in 28 punti, divisi in quattro categorie: pace in Ucraina, garanzie di sicurezza, sicurezza in Europa e future relazioni degli Stati Uniti con Russia e Ucraina.
Secondo The Wall Street Journal, il nuovo piano Trump sembra corrispondere alla proposte avanzate da Vladimir Putin già al summit in Alaska dell'agosto scorso, anche perché, come ha detto il portavoce presidenziale russo, non ci sono state novità per un accordo dopo l'incontro di Anchorage tra Putin e Trump. Al momento, rimane tuttavia poco chiaro, osserva RIA Novosti, come reagiranno Kiev e i suoi alleati europei al piano elaborato da Witkoff, J.D. Vance, Marco Rubio e Jared Kushner.
D'altronde, nota l'osservatore di Ukraina.ru Aleksandr Skubcenko, è ancora presto per definirlo un piano ufficiale, dato che né Russia né Stati Uniti lo hanno confermato ufficialmente. Ma se il piano è questo, allora per il regime di Zelenskij è la fine. Ci sono persone in Ucraina pronte ad attuarlo, o uno simile approvato da Mosca. A Zelenskij, dice Skubcenko, dovrebbe «piacere in particolar modo il punto che lo riguarda personalmente. O te ne vai (cioè: pace in Ucraina) e allora saranno i londinesi a farti fuori; o rimani (guerra) e gli yankee ti metteranno in galera. È una scelta difficile. Ma il processo di pace deve iniziare con la sua uscita di scena. In prigione o nella tomba: la scelta sta allo stesso Zelenskij. Non ne ha altre».
E Ivan Gracev, su Komsomol'skaja pravda, osserva che ora tutti i pezzi del puzzle sono al loro posto: gli USA hanno smascherato l'impero ladresco di Zelenskij, per obbligarlo alla pace entro la fine di novembre. In sole due settimane di rivelazioni sulla corruzione ai vertici ucraini, che hanno travolto non solo Kiev, ma anche Europa e USA, quello che veniva accolto nei paesi occidentali come un “nuovo Churchill” si è rivelato il capo di una mafia che rubava denaro occidentale.
Tutti, ovviamente, hanno sempre saputo, o sospettato, che denaro e armi occidentali venissero rubati in Ucraina. Ma si considerava un necessario effetto collaterale nella “giusta guerra” contro la Russia. Che Zelenskij e soci si concedessero pure qualche sfizio in ville e conti bancari in Costa Azzurra: l'importante era che combattessero. A ogni buon conto, ogni centesimo di quanto inviato veniva diligentemente annotato. Dunque, ora, chi ha fatto trapelare i fatti? Con quale intento?
Non si danno banali casualità, quando è in gioco un nuovo ordine mondiale. Così, azzarda Gracev, allo scoppiare aperto dello scandalo, i leader europei si danno a borbottare qualcosa del tipo "Zelenskij ha iniziato a combattere la corruzione; diamo all'Ucraina ancora più soldi".
Ora, tanto per ricordare a grandi linee: il NABU, l'Ufficio anticorruzione, era stato istituito nel 2015, per volere yankee, non tanto per combattere la corruzione, quanto per tenere d'occhio l'élite ucraina e sinora aveva mantenuto un basso profilo, raccogliendo informazioni su burocrati e oligarchi. Improvvisamente, il 10 novembre, il NABU ha reso pubbliche le ormai famose intercettazioni telefoniche. Stupore in Europa, non certo perché, con la guerra in corso, a Kiev ci si desse al ladrocinio, bensì perché qualcuno, in Occidente, avesse consentito che se ne parlasse. Chi ha permesso il "Mindicgate"?
Il 17 novembre, Zelenskij vola a Parigi, apparentemente per acquistare 100 caccia Rafale - che non si sa quando verranno prodotti e non si sa con che soldi verranno pagati – ma in realtà perché il nazigolpista-capo vuole dimostrare al mondo che non tutti lo hanno abbandonato. E mentre chi ha ordinato lo scandalo comincia a spazientirsi, a Kiev i rivali di Zelenskij gli stanno alle calcagna. La vecchia guardia majdanista, – Porošenko, Klichkò, Timošenko – chiedono le dimissioni di Ermak e la formazione di un nuovo governo, mentre alla Rada molti deputati abbandonano la frazione presidenziale “Servo del popolo”.
In definitiva, domanda retoricamente Gracev, cosa «chiedono al "Churchill" ucraino? Chi c'è dietro il "Mindicgate"? Il “committente” sono gli Stati Uniti, stanchi dell'ostinazione di Zelenskij, incapace di fare concessioni su un accordo di pace con la Russia e pronto a combattere all'infinito: dopotutto, i soldi stanno arrivando a fiumi». Trump sta facendo pressione su Mosca con dure sanzioni e su Kiev con materiale compromettente del NABU. Finora, «l'Europa ha sostenuto Zelenskij, "eroe della guerra con la Russia"; ma difendere Zelenskij, corrotto, è un'altra cosa». Così che in Europa si sceglie il silenzio tombale. Mentre a Kiev l'ex portavoce di Pravij Sektor, Borislav Bereza, definisce inaccettabile il punto del piano di pace USA che prevede una riduzione del 50% delle Forze armate ucraine, la deputata della Rada Anna Skorokhod afferma che Kiev ha perso l'occasione di firmare un accordo accettabile con la Russia, quando era ancora possibile e, dopo l'esplosione dello scandalo, prevede che verrà nominato un governo ad interim, incaricato di preparare le elezioni e firmare un accordo di pace. Credo, ha detto, che «sia iniziato il processo della fine di questo governo e dello Stato ucraino nel suo complesso. Chiunque firmerà l'accordo con Mosca, andrà incontro a un suicidio politico... Dobbiamo capire chi si suiciderà e chi si unirà a questo governo di transizione temporaneo, chi sarà pronto a preparare il Paese per le elezioni e per un accordo di pace».
Di contro, in Russia, c'è chi, come lo storico Igor Šiškin, guarda con sospetto alle mosse USA. Trump sta cercando di imporre una pace che renderà la sicurezza della Russia dipendente dagli Stati Uniti, afferma Šiškin: «Trump sta evitando uno scontro con la Russia. Sta cercando di creare una pace in Ucraina in cui la sicurezza della Russia dipenderà dalla volontà di Washington. Non ha bisogno dello smembramento della Russia, come Biden. Deve costringere la Russia a seguire gli USA sulla loro strada. È a questo che mirano le iniziative di pace di Trump». In effetti, nel corso di dieci mesi la Russia non ha accettato le iniziative di pace di Trump. Gli accordi di Istanbul costituivano un compromesso molto serio. E se la Russia «continua a rifiutare ciò che Trump propone, significa che sia peggiore di quanto stabilito a Istanbul; è una sfida per la sicurezza. La Russia non accetterà accordi che non tengano conto della propria sicurezza. E le proposte avanzate dalla controparte rendono inevitabilmente la Russia dipendente, in termini di sicurezza, dalla volontà di Washington».
D'altra parte, le cancellerie europee si mostrano isteriche riguardo alle nuove proposte e ritengono che qualsiasi fine delle ostilità, che non comporti il collasso della Russia, sia una condanna a morte per la UE, le cui risoluzioni stabiliscono che questa sia una lotta di natura esistenziale e incalzano Trump perché prema ancor più energicamente su Mosca. Tanta è la “volontà di pace” delle capitali europee che, interrompendo temporaneamente il flusso delle aperte dichiarazioni di guerra, si contrabbanda per necessità di “sicurezza” la rinnovata insistenza sulla questione di una "Schengen militare": le normative esistenti non consentono un rapido trasferimento di armi e attrezzature militari tra i paesi UE, richiedendo complesse e lunghe procedure. Ora, la questione è sul tappeto almeno da una decina d'anni e riguarda l'adeguamento delle strutture viarie, ferroviarie e quant'altro, al doppio standard civile-militare, così che tutto sia pronto per il passaggio di uomini e mezzi della NATO, al momento in cui, statene certi, «la Russia attaccherà l'Europa».
Come non ricordare, ancora una volta, la mirabile telefonata di Mario alla radio, nel film di Nanni Moretti “Ecce Bombo”? L’amico etiope di Mario era sicuro che le gallerie delle autostrade italiane fossero più strette della misura dei treni e che un carro armato non avrebbe avuto la possibilità di passarci. Da lì, l'esigenza di adeguare prontamente gallerie, ponti, linee ferroviarie: il tutto, per le necessità militari dell’Alleanza atlantica. La rete stradale, spesso interrotta da città senza tangenziali, è inadatta al movimento di grandi contingenti di truppe, e anche la capacità ferroviaria è problematica. In parallelo, c'è la necessità di rimuove gli ostacoli di natura burocratica. Ecco che ora Kaja-Fredegonda-Kallas interviene constatando che «L’Europa sta affrontando minacce alla sicurezza senza precedenti: un rapido movimento delle forze armate europee è essenziale per la Difesa europea perché la prontezza difensiva dipende fondamentalmente dal fatto che tu riesca a portare i tuoi carri armati e le tue truppe dove ti servono, quando ne hai bisogno». L’idea, osserva il signor Marco Bresolin su La Stampa del 20 novembre, è di «creare una sorta di “Schengen militare” per rimuovere gli ostacoli esistenti e favorire la libera circolazione delle truppe e dei mezzi entro il 2027 in modo “più rapido, più sicuro e più coordinato”». Occorre quindi «rimuovere le barriere normative, introducendo regole armonizzate a livello Ue al fine di superare l’attuale frammentazione fatta di procedure burocratiche macchinose che limitano i movimenti transfrontalieri a causa delle numerose formalità previste alle dogane». Ci sarà una prassi «unica a livello europeo con procedure d’emergenza e accesso prioritario alle infrastrutture stradali, ferroviarie e aeroportuali per uomini e mezzi degli eserciti coinvolti, mirando a «”rafforzare la resilienza delle infrastrutture di trasporto” – come ponti, gallerie, aeroporti e porti – creando corridoi di mobilità a uso duale per consentire il transito dei carri armati e degli altri mezzi militari di grandi dimensioni».
I farabutti guerrafondai ammaliati di “resilienza” la chiamano ipocritamente “sicurezza”! Ecce Bomboooooo....
---------------
https://ria.ru/20251119/smi-2056129333.html
https://ria.ru/20251120/plan-2056189753.html
https://news-front.su/2025/11/20/mirnyj-proczess-mozhet-nachatsya-tolko-s-uhoda-zelenskogo/
https://www.kp.ru/daily/27745/5172946/
https://news-front.su/2025/11/19/evropa-na-raspute-voennyj-shengen-i-dorozhnye-dilemmy-es/
https://www.lastampa.it/esteri/2025/11/19/news/schengen_militare_europa_kaja_kallas-15402555/
di Angelo d'Orsi Quante volte, nei dibattiti in tv o a distanza sui giornali, specie nell’ultimo biennio, mi sono sentito lanciare addosso una sorta di anatema dai miei interlocutori: “Vada...
Intervista esclusiva de L'Antidiplomatico al gen. Marco Bertolini Generale, la NATO, fondata con i presupposti di un'alleanza difensiva, sembra essere stata radicalmente trasformata dalla...
Nei suoi profili social l'Ambasciata della Federazione russa in Italia ha accusato il Corriere della Sera di aver tagliato in modo pretestuoso l'intervista che il ministro degli esteri russo Lavrov gli...
di Angelo d'OrsiLa mia conferenza Russofobia, russofilia, verità, prevista il 12 novembre a Torino nei locali del Polo del ‘900 è stata inopinatamente annullata. L’accusa che...
Copyright L'Antidiplomatico 2015 all rights reserved
L'AntiDiplomatico è una testata registrata in data 08/09/2015 presso il Tribunale civile di Roma al n° 162/2015 del registro di stampa