di E. Gentili e F. Giusti
A cinque mesi dalla pubblicazione del suo Rapporto sulla Competitività, Mario Draghi torna alla carica dagli scranni del Parlamento Europeo di Bruxelles con un intervento alla European Parliamentary Week 2025. Preoccupato dall’atteggiamento del nuovo Presidente statunitense e, in particolar modo, dai nuovi dazi che questi intende imporre nei prossimi mesi alle esportazioni della Ue, il banchiere non ha perso l’occasione per rilanciare non solo la necessità ma, a questo punto, anche l’urgenza di adottare le misure che aveva già suggerito nel 2024: «Quando è stato scritto il Rapporto sulla Competitività il tema geopolitico principale era l'ascesa della Cina. Ora, la Ue dovrà affrontare i dazi imposti dalla nuova amministrazione statunitense nei prossimi mesi». Ed è così che Draghi subisce la sua seconda trasformazione politica: se con la pubblicazione del Rapporto realizzava la metamorfosi da guardiano dell’austerità ad alfiere dell’immissione di denari pubblici nell’ecosistema economico, ora, con l’avvento di Trump, gli tocca dismettere la divisa di sempre da convinto atlantista.
La “ricetta Draghi”: strategia di sviluppo o pasticcio di rognone?
I programmi di sviluppo comunitari[1] e l’Rrf[2] descrivono inequivocabilmente il ruolo di subordinazione della Ue agli Usa in tutte le principali filiere produttive e ancor di più, negli anni a venire, nella programmazione economica.
Il Rapporto Draghi non rappresentava certo una eccezione e men che mai una rottura rispetto a questa tradizionale subalternità. La differenza è che si tratta di un progetto decisamente più ambizioso di quelli del passato, dato che propone misure incredibilmente drastiche e antipopolari. Potremmo addirittura definirlo non solo come un programma di sviluppo economico ma anche come una base per il rilancio economico e politico della Ue (almeno nelle speranze di Draghi e di quanti hanno lavorato con lui).
Ebbene, ciò che ha fatto Draghi col suo ultimo intervento è stato semplicemente aggiustare il tiro davanti all’arrivo dei Repubblicani alla presidenza Usa, inquadrando il rilancio dell’economia Ue, anziché in funzione smaccatamente anticinese, in un’ottica più attenta alla concorrenza statunitense; sperando che il vecchio continente possa essere sempre più competitivo tanto verso gli Usa quanto i competitors del sud est asiatico
Per un verso, infatti, i dazi statunitensi agiscono «ostacolando il nostro accesso al nostro più grande mercato di esportazione», gli Stati Uniti, e quindi è chiaro che i capitalisti nostrani vogliano difendersi; d’altro canto «le tariffe statunitensi più elevate sulla Cina reindirizzeranno la sovraccapacità cinese in Europa, colpendo ulteriormente le aziende europee». Ciò perché andranno a far loro concorrenza al ribasso. «In effetti, le grandi aziende dell'Ue sono più preoccupate per questo effetto che per la perdita di accesso al mercato statunitense».
Una manovra a tenaglia nei confronti dei capitalisti del vecchio continente che lascia pochi margini d’azione. Specie se si considera che costoro potrebbero anche dover affrontare «politiche ideate per attrarre le aziende europee a produrre di più negli Stati Uniti, basate su tasse più basse, energia più economica e deregolamentazione».
Questi sono tutti aspetti abbondantemente – e ridondantemente – affrontati nell’ormai famoso Rapporto, all’interno del quale si discuteva esplicitamente di come limitare l’accesso al mercato interno Ue dei prodotti esteri (specie di quelli cinesi) e di come evitare che le aziende europee si trasferiscano negli Usa. La lettura strategica iniziale del Rapporto, pertanto, era adeguata alla fase e proprio per questo viene confermata appieno. Semmai ora il banchiere ha un’argomentazione in più contro le cordate avverse, interne agli organismi dirigenti dell’Unione, per suonare l’allarme e insistere sulla predominanza dell’interesse economico e politico comunitario contro gli interessi degli Stati nazionali della vecchia Europa franco-tedesca.
E Draghi ha insistito! In particolare su:
Ce n’è per tutte le salse, insomma! Quel che a noi lascia basiti è il grado di pervasività della proposta, che tradisce la volontà di rivedere gli equilibri e i rapporti di forza tra le varie cordate nazionali interne all’Ue. La situazione di grave crisi economica e politica dei paesi europei più forti e rappresentativi ha messo grande fretta a Draghi e ai suoi sostenitori anche a costo di distruggere gli equilibri fino ad oggi esistenti. Un agire apparentemente illogico e disorganico, a conferma che dopo i dazi e l’esclusione della Ue dalle trattative di pace per l’Ucraina i fattori di crisi potrebbero portare a scenari nuovi e non senza contraddizioni. Una sorta di pasticcio, insomma, ma sicuramente meno gustoso di quello di rognone.
Conclusioni
Tant’è, ma la speranza è l’ultima a morire: «Possiamo riacquistare la capacità di difendere i nostri interessi. E possiamo dare speranza alla nostra gente. I governi nazionali e i Parlamenti del nostro continente, la Commissione europea e il Parlamento sono chiamati a essere i custodi di questa speranza in un momento di svolta nella storia dell'Europa. Se uniti, saremo all'altezza della sfida e avremo successo». Si tratta, però, della speranza di un capitalista per i capitalisti, non certo della speranza per i popoli lavoratori dell’Ue e del mondo, come Draghi vorrebbe darci a bere. Su questo, del resto, il banchiere è laconico: «il mondo confortevole è finito». Da un leader – quale egli sente di essere –, allora, ci si aspetterebbe un’iniezione di sicurezza, uno sprone ad avere fede nelle istituzioni attuali e nella loro linea politico-economica. E osserviamole la sicurezza, la fede, la forza di Mario Draghi: «non si può dire no a tutto, altrimenti bisogna ammettere che non siamo in grado di mantenere i valori fondamentali dell'Ue. Quindi quando mi chiedete cosa è meglio fare ora dico “boh”, ma fate qualcosa!». Siamo davanti a uno sfogo infantile o piuttosto a una repentina evoluzione della realtà che sta portando alla rottura di equilibri consolidati da tempo all’interno dell’Ue Ue? Ciò di cui siamo sicuri è che questa sia la postura politica di una classe dominante che ha ormai irrimediabilmente perduto l’iniziativa strategica. Ci attendono tempi cupi: che arrivino dallo sforzo di uscire dalla competizione imperialistica, anziché da quello fatto per rimanervi ancorati.
[1] Essenzialmente gli Ipcei (Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo) e gli accordi transfrontalieri.
[2] I vari Pnrr nazionali.
[3] M. Draghi, The future of European competitiveness, Part B: In-depth analysis and recommendations, Settembre 2024, p. 310. «Gli Stati membri potrebbero considerare di aumentare le risorse a disposizione della Commissione rinviando il rimborso dei SIEG».
[4] M. Draghi, op. cit., p. 301. «Le terribili conseguenze dell'assenza di standard a livello europeo si sono fatte sentire sul campo in Ucraina».
[5] M. Draghi, The future of European competitiveness, Part A: A competitiveness strategy for Europe, Settembre 2024, p. 54.
[6] Le industrie ad alta intensità energetica «Comprendono industrie come i prodotti chimici, i metalli di base, i minerali non metallici (ceramica, vetro e cemento), le materie plastiche, i prodotti cartacei, il legno e i prodotti in legno e gli alimenti» (M. Draghi, op. cit., Part B, p. 92).
[7] Dati 2021 (M. Draghi, op. cit., Part B, p. 93).
[8] Generazione di trasformazioni chimiche tramite l’apporto di energia elettrica.
[9] E. Gentili, F. Giusti, “Artificial Intelligence Act”, approvato il 13 Marzo 2024, https://cub.it/artificial-intelligence-act-approvato-il-13-marzo-2024/.
[10] Consiste nel voto favorevole della maggioranza dei membri del Consiglio dell’Unione Europea, la sede in cui si riuniscono i ministri dei governi nazionali. Se la proposta oggetto di votazione non proviene dalla Commissione, la maggioranza qualificata prevede l’approvazione con un minimo di 2/3 di voti a favore.
[11] M. Draghi, op. cit., Part A, p. 59 e Part B, p. 299.
[12] M. Draghi, ivi, Part A, p. 59.
[13] M. Draghi, ivi, Part B, p. 308.
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