La sconfitta dell’uguaglianza, bisogna reagire

di Michele Blanco

La cooperazione fattiva tra le persone deve sempre essere alla base di una società sana, essendo questo un dato di fatto non negabile o confutabile viene dato per scontato, ma spesso non le si dà il giusto peso.
Lo sosteneva Aristotele che gli uomini sono ‘animali sociali’, intendendo il nostro impulso di unirci in comunità per appagare il nostro bisogno di sicurezza. Uno dei filosofi che ha meglio, e molto più recentemente, sintetizzato la complessa necessità della convivenza sociale è stato John Rawls. Il filosofo politico statunitense, infatti, ha più volte fortemente rimarcato quanto uno Stato giusto si debba fondare su un accordo cooperativo ed equo tra i cittadini. Le istituzioni devono quindi collaborare per garantire questa giustizia anche a livello economico, sociale, rispettando sempre i principi di libertà e soprattutto di uguaglianza.
Ma oggi viviamo la storia di una sconfitta epocale politica, sociale e morale dell'idea di cooperazione per favorire la giustizia, la libertà e l'uguaglianza tra tutte le persone nella nostra società.
L’idea di uguaglianza politica si è affermata a partire dalla Rivoluzione francese. Essa dice che ogni cittadino indistintamente gode di diritti inalienabili, indipendenti dal suo censo, reddito o posizione sociale, e ogni governo democratico ha il dovere assoluto di adoperarsi per fare in modo che questi basilari diritti di eguaglianza siano realmente esigibili da ciascuno.
La marcia di tale idea è stata, per oltre due secoli, certamente faticosa e incerta, ma nell’insieme ha avuto esiti straordinari, inimmaginabili.
La facoltà di eleggere i propri rappresentanti in Parlamento; la formazione di sindacati liberi e indipendenti dal potere politico e economico; la graduale estensione del voto sino a includere tutti i cittadini; la tassazione progressiva; l’ingresso del rispetto diritto nei luoghi di lavoro; l'istruzione libera e gratuita per tutti sino all’università; la realizzazione dello stato sociale con cure gratuite garantite a tutti; i limiti posti alle attività speculative della finanza: è una lunga e bellissima storia, quella che vede il principio di uguaglianza diventare normalmente accettato nelle società democratiche per tutta la popolazione e anche in via di principio per tutte le persone.
Ma a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, la ristretta quota di popolazione, composta dalle persone più ricche e privilegiate, che per generazioni aveva “subito”, secondo loro, l’affermazione dell’idea e delle politiche di uguaglianza decise che ne aveva abbastanza.
Si tratta ovviamente della classe ristretta, composta da una piccolissima minoranza, di personaggi super-potenti e super-ricchi che controllano completamente la finanza, la politica, i media, che si stima di meno dell’1 per cento della popolazione dei Paesi democratici, questo dato che le statistiche sulla distribuzione della ricchezza confermano pienamente.
Questi potenti “ricconi” iniziarono un feroce, e molto organizzato e sistematico, attacco a qualsiasi idea che avesse attinenza con l’uguaglianza.
In particolare i governi Reagan e Thatcher attaccarono e smantellarono il potere contrattuale dei sindacati; in moltissime nazioni occidentali si liberalizzarono senza limiti i movimenti di capitale e le attività speculative delle banche. Si limitarono i salari, i sussidi di disoccupazione, e le condizioni di lavoro nelle fabbriche peggiorarono, cominciarono assolutamente ingiustificati tagli a sanità, servizi pubblici e pensioni.
In Italia, ad esempio, le leggi Treu del 1997, Maroni-Sacconi del 2003, Fornero del 2012, Renzi del 2014-15 hanno moltiplicato il precariato, estendendolo a quasi tutti i neoassunti, e hanno portato nuovamente i lavoratori dipendenti verso condizioni che oggi li riportano ad una vera e propria condizione di servitù. Nello stesso periodo vennero effettuati, e questo avviene anche oggi, tagli continui e micidiali all’istruzione, all’università, alle pensioni, alla sanità, in base all’assunto, assolutamente falso, che eravamo tutti vissuti al di sopra delle nostre possibilità, questa è stata la scusa per ridurre la progressività delle tasse ai super ricchi.
La sconfitta dell’ idea di uguaglianza è stata, dagli anni Ottanta in poi, accentuata dalla doppia crisi, del capitalismo e del sistema ecologico.
La crisi del capitalismo ha molte facce, tra cui l’incapacità di vendere tutto quello che produce; la riduzione drastica dei produttori di beni e servizi che abbiano un reale valore d’uso; il parallelo sviluppo del sistema finanziario al di là di ogni limite, da utile ausiliare dell'economia produttiva a sfrontato padrone di ogni aspetto della vita economica e sociale.
Alla sua crisi il capitalismo ha reagito accrescendo lo sfruttamento irresponsabile dei sistemi che sostengono la vita, il «sistema ecologico», nonché ostacolando in tutti i modi gli interventi necessari da adottare prima che sia troppo tardi. Il tutto con il ferreo sostegno di una ideologia diventata dominante, che tutto ha corrotto, il neoliberalesimo, che riducendo tutto e tutti, le persone, a mere macchine contabili contribuisce a una povertà del pensiero e dell’azione politica che non si era mai vista prima nella storia dell'umanità.
In questo contesto entra in crisi ogni minima possibilità di pensiero critico, mi riferisco a una corrente di pensiero da sempre necessaria per limitare il potere, qualsiasi potere, che oltre al soggiacente ordine sociale mette in discussione le rappresentazioni della società diffuse dal sistema politico, dai principali attori economici, dalla cultura dominante nelle sue varie espressioni, come, ad esempio, dai mass media all’accademia.
Oggi non essendoci nessuna opposizione critica alle rappresentazioni della società predominanti la realtà viene distorta al fine di legittimare l’ordine esistente a favore delle élite o classi che formano tra l’1 e il 10 per cento della popolazione. Questa tesi che ha una lunga e autorevole storia. E stata formulata tra i primi da Machiavelli; ha toccato un vertice di spessore e complessità con Marx e poi con la teoria critica della società, elaborata dalla Scuola di Francoforte tra gli anni Venti e Cinquanta del secolo scorso; in Italia con Gramsci e in Francia con Bourdieu e Foucault.
Questa tesi trova una clamorosa e chiarissima conferma nelle società contemporanee.
La rappresentazione che ci danno i giornali, i telegiornali, la Tv in generale, i discorsi dei politici, le scienze economiche, la stessa scuola, l'università, sono diventate soltanto delle vere e proprie contraffazioni della realtà, elaborate a uso e consumo delle classi dominanti. E la funzione che svolgono da quasi 50 anni, quotidianamente le dottrine neoliberali.
Il fatto reale sono le gravi distorsioni che l’enorme aumento della disuguaglianza ha prodotto in campo economico, sociale, politico, morale, civile, intellettuale viene confutato, dall’ideologia neoliberale dominante, con la distorta idea, sempre ripetuta all’infinito, che “l'arricchimento dei ricchi solleva tutte le barche”.
Ma la realtà è ben diversa l’evidenza empirica mostra che si è avuto «Un peggioramento devastante. L’1% della popolazione mondiale si è accaparrato il 41% della nuova ricchezza creata fra il 2000 e il 2024, mentre il 50% meno ricco si è dovuto accontentare dell’1%. Pro capite, un individuo appartenente all’1% ha accresciuto i suoi guadagni di 1,3 milioni di dollari, mentre uno del 50% dei meno ricchi si è fermato a 585 dollari. Ancora più inquietante: uno su quattro cittadini del pianeta, ovvero 2,3 miliardi di persone, fronteggiano un’incertezza alimentare e sono spesso costrette a saltare almeno un pasto. Sono 335 milioni in più del 2019», questo sostiene Joseph Stiglitz, statunitense premio Nobel per l’economia.
Ma nelle società non esiste più alcun punto di riferimento di qualche peso e visibilità sociale, che a partire dalle affermazioni di Stiglitz e altri autorevolissimi e preparatissimi studiosi, dal quale un pensiero critico si diffonda anche tra la maggioranza dei cittadini per confutare e contrastare ad alta voce le fittizie rappresentazioni della nostra società, non esiste un partito, non un organo di rilievo dei mass media, non una fondazione non un movimento diffuso e partecipato o una scuola di pensiero.
Al posto del pensiero critico ci ritroviamo, come si è detto, con la totale egemonia dell’ideologia neoliberale. E una vera è propria ideologia strettamente connessa all’irresistibile ascesa delle attuali classi dirigenti al potere, impreparate e colluse o corrotte dal potere economico.
Queste teorie neoliberiste che prima hanno quasi portato al tracollo l’economia mondiale, con la crisi dei mutui subprime è una crisi finanziaria scoppiata alla fine del 2008 negli Stati Uniti che ha avuto gravi conseguenze sull'economia mondiale, in particolar modo nei paesi sviluppati del mondo occidentale, innescando la grande recessione poi hanno imposto alla Ue politiche di grande austerità devastanti per rimediare a una crisi che aveva tutt’altre cause, in primis la stagnazione inarrestabile dell’economia capitalistica, il tentativo di porvi rimedio mediante un accrescimento patologico della finanza, la volontà di riconquista del potere da parte delle classi dominanti. Oltre alla crisi ecologica, che potrebbe essere giunta a un punto di non ritorno.
Ricordiamo come le teorie economiche neoliberali non hanno previsto la crisi del 2008; non hanno avanzato una sola spiegazione accettabile delle sue cause; i loro modelli econometrici, basato su fredde formule matematiche, sono lontani anni luce dalla realtà dell'economia; hanno fatto passare l’assurdo principio che prima di tutto bisogna salvare le banche, ma se i normali cittadini hanno perso i risparmi non importa a nessuno; ma soprattutto, hanno avallato l’idea che una crescita senza limiti dell’economia capitalistica sia possibile e desiderabile.
Inoltre le politiche di austerità hanno provocato disastri d’ogni genere, dovunque siano state attuate, lo ha riconosciuto persino il Fondo monetario internazionale. Ma malgrado l’evidenza la maggioranza dei governanti occidentali insistono nell’affermare che le politiche di austerità sono la cura migliore per tornare alla crescita, aumentare l’occupazione, rilanciare la competitività e il Pil.
In Italia nell’autunno 2014 i disoccupati erano oltre tre milioni. I giovani senza lavoro sfiorano il 45 per cento. La base produttiva aveva perso un quarto del suo potenziale.
Il Pil era sceso di 10-11 punti rispetto all’ultimo anno prima della crisi. In questo contesto il governo di Matteo Renzi introduce nella legislazione sul lavoro nuove norme che facilitano il licenziamento, facendo pagare il prezzo della crisi ai soli lavoratori. Ma purtroppo lo stesso è accaduto in tutta la Ue. Le istituzioni di Bruxelles e dintorni, sotto la sferza tedesca, hanno combattuto con ogni mezzo, in primis introducendo misure di austerità e tagli alle spese sociali, il deficit di bilancio e il debito pubblico che ne è diretta conseguenza.
In Italia da anni sentiamo ripetere sui giornali o in televisione, da deputati e deputate di tutti maggiori partiti, affermazioni di totale infondatezza e insensatezza e propaganda neoliberista, quali: «La Costituzione deve essere cambiata perché non è al passo con i tempi e con il mondo che è cambiato, visto che risale al lontano 1948». Oppure che: «L'articolo 18 va soppresso perché è stato introdotto nel 1970, quando ancora esistevano i padroni e i lavoratori dipendenti», come se oggi la situazione dei lavoratori italiani fosse idilliaca mentre secondo l'Istat i salari, in Italia, oggi, 2025, sono l'8,8% più bassi rispetto al 2021.
Cosa bisogna fare oggi, per prima dobbiamo tornare a ragionare e a studiare anche il pensiero a cominciare dalla distinzione tra ragione soggettiva o strumentale e ragione oggettiva.
La ragione strumentale vede nell’essere umano principalmente una macchina da calcolo, che solo pondera senza tregua il rapporto tra mezzi e fini, indubbiamente questa è l’idea fondamentale che è alla base dell’ideologia neoliberale.
La ragione oggettiva, questa in realtà è la vera ragione da perseguire, che come ha scritto Max Horkheimer, essa esiste «nei rapporti fra gli esseri umani e fra le classi sociali, nelle istituzioni sociali, nella natura e nelle sue manifestazioni». In questa concezione della ragione quel che più conta sono i fini, non i mezzi. Essa non guarda mai alla massimizzazione dell’utile, bensî al problema del destino umano, «al modo di realizzare i fini ultimi». La ragione oggettiva vede tra «i fini ultimi» l’ideale dell’uguaglianza. Essa inoltre vuole provvedere il prima possibile a cercare di riparare i gravissimi guasti apportati dalla ragione strumentale al sistema ecologico.
Oggi se l’umanità si ispirerà «al modo di realizzare i fini ultimi» come la ricerca dell’uguaglianza tra le persone piuttosto che dai precetti della finanza neoliberista, sarà naturale pensare a una società in cui tutti noi vorremmo vivere, libera e uguale, inclusiva dove tutti contribuiscono con le loro capacità. Questa è la società dove i cittadini tornano a votare e si impegnano a realizzare condizioni di vita decenti per tutti.
Questo modo di pensare è stato il patrimonio della cultura e dei partiti di sinistra, veramente progressisti nell’Europa e anche in Italia, che avevano contribuito a creare Lo Stato sociale, la sanità universale e gratuita, il diritto allo studio gratuito per tutti e l’assistenza garantita ai più bisognosi.

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