Farà rumore l’intervista a Giuliano Amato sull’abbattimento a Ustica del DC-9 Itavia pubblicata oggi su Repubblica, nella quale il dottor sottile dice quel che tutti sapevano ma non si poteva dire, cioè che la NATO voleva abbattere il Mig sul quale avrebbe dovuto volare Gheddafi e, per errore, ha colpito l’aereo civile, sulla scia del quale si era posizionato il velivolo libico nell’idea che la NATO non sarebbe stata così folle da rischiare di tirar giù un volo di linea, follia invece avvenuta.
Gheddafi non era sul Mig, dice Amato, perché, avvertito da Craxi che volevano eliminarlo, si sarebbe sottratto all’attentato. Non essendo a conoscenza del cambio di programma, i jet francesi avrebbero intercettato il mig libico sul quale avrebbe dovuto volare, che poi è precipitato sulla Sila perché, per eludere i missili nemici, avrebbe esaurito il carburante.
Ci sono altre versioni del fatto più o meno credibili, cioè che il velivolo trasportasse invece effettivamente Gheddafi e che i missili NATO abbiano colpito sia il DC-9 Itavia che un Mig di scorta e ciò spiegherebbe forse meglio il precipitare del Mig libico sulla Sila piuttosto che il mero esaurimento del carburante (il pilota, nel caso, si sarebbe paracadutato fuori).
L’atro particolare non evidenziato è che sarebbe stato Andreotti a far pressioni su Craxi per evitare l’omicidio del leader libico, così come fu Andreotti, come ormai provato, a dettare la linea a Craxi su Sigonella (vedi Piccolenote), da cui i successivi guai giudiziari del divo Giulio (come lo chiamava Pecorelli).
Ma si tratta di particolari che hanno importanza per la storia, quel che conta oggi sono le rivelazioni di Amato, non certo un kamikaze anti-atlantista, che oltre a parlare del crimine di Ustica ha accennato alle coperture postume dello stesso da parte dei circoli Nato.
Amato non dettaglia, ma sotto la voce coperture prima o poi si dovrebbero incasellare (e non avverrà) tutte le morti a oggi definite solo come “sospette” che hanno costellato l’inchiesta del giudice Rosario Priore. Dodici le vittime in questione, a iniziare dai due piloti delle Frecce tricolore uccisi nell’incidente aereo di Ramstein del 1988 (che fece anche 70 morti e oltre 400 feriti fra gli spettatori della manifestazione aerea), i cui velivoli, secondo il Tageszeitung e Der Spiegel (e altri), sarebbero stati sabotati.
Lo ricorda Wikipedia, che riporta un passaggio della requisitoria di Priore, nel quale si spiegava che “i due ufficiali piloti, del gruppo intercettori, in servizio presso l’aeroporto di Grosseto, la sera del 27 giugno 1980 fossero in volo su F104, fino a 10 minuti circa prima della scomparsa del DC9 Itavia – il loro atterraggio all’aeroporto di Grosseto è registrato alle 20:45 e 20:50 locali; che questo velivolo, insieme ad altro con ogni probabilità quello dell’allievo, avesse volato per lunga tratta di conserva al velivolo civile; che durante questo percorso e al momento dell’atterraggio avesse sbloccato i codici di emergenza”.
Altri sono morti in circostanze misteriose (impiccati, pugnalati ect) prima di poter rivelare quanto avevano visto sui cieli di Ustica. Tutte cose note, per chi voglia approfondire rimandiamo al libro di Rosario Priore e Giovanni Fasanella “Intrigo internazionale, dalla strategia della tensione al caso Ustica“, uno dei pochi che racconta in modo realistico come l’Italia sia stata vittima di una guerra ibrida da parte dei circoli atlantisti perché troppo autonoma (guerra che alla lunga hanno vinto, come si evince dalla cronaca politica attuale).
Per inciso, nel volume si annota anche il collegamento tra la strage di Ustica, avvenuta il 27 giugno ’80, e la bomba scoppiata un mese dopo, il 2 agosto, alla stazione ferroviaria di Bologna, per ritorsione verso l’Italia per aver avuto l’impudenza di sfidare i circoli atlantisti salvando la vita al leader libico (Francesco Cossiga ebbe a dire che Bologna è stata “bombardata”).
Insomma, sollevare il coperchio sulla strage di Ustica rischia di spalancare un pozzo senza fondo che non potrà mai essere aperto. Chiedere al giovane Macron di scusarsi per l’accaduto, come da prima pagina di Repubblica, è così limitativo da suscitare ironia. I jet francesi erano solo il braccio armato, nulla più. I responsabili veri sono i mandanti, che sono ben altri.
Non si comprende perché Giuliano Amato, uomo di fiducia dei circoli atlantisti per l’Italia, si sia deciso a tali rivelazioni. Si sa che sta scalpitando per ottenere quelle cariche che la sua prossimità a tali circoli avrebbe dovuto consegnargli da tempo senza successo, essendo stato primo ministro solo per meno di un anno e non essendo mai asceso al Quirinale. Un mistero che si chiarirà, forse.
A meno che il dottor sottile non abbia voluto dar voce a quella parte di mondo che non ne può più della guerra ucraina a trazione NATO, ma appare davvero improbabile. Fu lui, solo per fare un esempio, che, in qualità di presidente della Corte Costituzionale, ebbe a legittimare l’invio di armi italiane in Ucraina, interpretando in modo surreale l’articolo della Costituzione che rigetta la guerra come modalità di risoluzione dei conflitti internazionali.
Forse un tentativo di porre nuove criticità alla Francia, già scossa dal tramonto della Françafrique? O qualcosa di ancor più sottile, che ha a che vedere con i più sacri obiettivi dei suoi usuali procuratori?
Al di là degli scopi, personali e non, la rivelazione di Amato giunge benvenuta e peraltro aiuta a comprendere come il tiro al bersaglio su Gheddafi sui cieli di Ustica dica tanto sull’intervento umanitario in Libia del 2011. Di umanitario in quell’intervento non c’era nulla, come dimostra la “disumanità” della NATO, e qui citiamo Amato, evidenziata dall’eccidio di Ustica.
Da ultimo, si può rilevare che tale disumanità non sia limitata al passato, come palesa la guerra per procura lanciata, tramite NATO, alla Russia, che vede il popolo ucraino mandato al macello a maggior gloria della NATO stessa e dei circoli internazionali che la governano. Si potrebbe continuare, ci fermiamo qui per non annoiare i lettori.
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