Le parole di Draghi sulla fine dell'UE e l'insegnamento di Gunther Anders


di Pierluigi Fagan*


Nel post dell’altro giorno, a seguito degli avvenimenti elettorali recenti che però sono solo l’epifenomeno visibile e concreto di un sottostante più complesso, riprendendo analoga domanda formulata qualche mese fa, ci domandavamo: “Siete sicuri che da qui all’anno prossimo avremo ancora l’euro e l’UE come la conosciamo?”.

Ieri Mario Draghi ha anticipato le risultati del suo Rapporto sulla competitività europea al Parlamento europeo, anticipando il giudizio finale con cui accompagnerà la presentazione ufficiale la prossima settimana: “Per chiudere vorrei dirvi una cosa: se non si fanno queste riforme, se non si interviene seguendo questa direzione, l’Europa è finita. Lo ripeto: è finita.”



I contenuti del Rapporto che si presenterebbe come ultima grande e profonda possibilità di riformare l’UE, sarebbero: il ritardo nella capacità di innovazione, l’aumento dei prezzi dell’energia, la mancanza di manodopera specializzata, la necessità di accelerare rapidamente il processo di digitalizzazione e di rafforzare urgentemente le capacità di difesa comune dell’Europa. Riforme che poi arriverebbero a toccare anche la forma istituzionale stessa dell’UE, tipo il rapporto decisionale tra Commissione e Parlamento. Riforme, a detta dello stesso Draghi: rapide e senza precedenti.

In genere, ma conoscendo il punto di vista specifico di Draghi rispetto queste questioni, le riforme costano ovvero a parte le difficoltà insite nei contenuti e nelle forme del progetto riformista “ampio, rapido e profondo”, c’è da considerare che tutto ciò arriverà a proporre anche nuove, necessarie, forme di debito comune, altrimenti nulla di tutto ciò potrà esser fatto.

Stante le analisi fatte sulla situazione politica, economica e sociale soprattutto in Germania ma anche in Francia, ma ce ne è anche una più ampia e non meno preoccupante che riguarda l’estensione massima del subcontinente (asse Nord-Sud ed Est-Ovest) dei 27, la forza e lo spessore di leader come Scholz e Macron, questo implicito “più Europa” che va decisamente contro sia le aspettative del FN in Francia e di AfD in Germania ed al netto sia di perturbazioni esterne (Trump) che di senso realista (quanto tempo è necessario per avere questo tipo di riforme coordinate e costose che diano concreti risultati?), le chance concrete del progetto Draghi sono semplicemente nulle.

Naturalmente sarà una fine più o meno rallentata, negata, ostinatamente post-posta e quanto più s’allungherà il brodo tanto peggio sarà per tutti noi.

Poiché il nostro stupido non è e tutto ciò lo sa meglio di me che scrivo e voi che leggete, quale altro progetto di UE 2.0 o qualcosa di simile, si sta pensando per il dopo? Con chi? In che termini?

Sono tempi complessi e penso che politicamente, chi ha l’intelligenza per farlo, dovrebbe riflettere in profondo su come affrontare il futuro. Qualcuno gioirà all’idea di un collasso dell’attuale UE, qualcun altro sta già pensando al dopo probabilmente ad un UE 2.0 (senza l’euro, ad esempio), i più non sanno nulla di cosa sta succedendo o potrà succedere, siamo tutti -in genere- troppo schiacciati sull’attualità e carenti di visione complessiva.

Saranno tempi difficili e l’evidente sotto-dotazione culturale che c’è in Europa, a vari livelli ed a cominciare ad esempio dagli intellettuali, non dà grandi speranze. Quindi, consiglio anche chi potrà trarre qualche soddisfazione da questa inclinazione pessimista sul futuro dell’attuale Unione europea a riflettere meglio. Se sarà “si chiude una porta e si apre un portone” o un “dalla padella alla brace”, dipenderà da molti fattori, alcuni di caratura internazionale (USA, Cina, Russia, BRICS etc.). Tuttavia riflettere con maggiore serietà e competenza sul tipo di futuro non solo auspicabile, ma praticabile, dovrebbe essere priorità di tutti noi.

Per evitare, come diceva Gunther Anders, che il mondo continui a cambiare ma senza di noi.
* Post Facebook del 6 settembre 2024

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