Lo scontro negli Usa tra due capitalismi finanziari (con un nemico comune)


di Alessandro Volpi*


Durante la campagna elettorale di Donald Trump contro Kamala Harris è emerso con chiarezza lo scontro tra due capitalismi finanziari. Il primo è quello che ha dominato e sta dominando gran parte del pianeta, incentrato sul monopolio della raccolta del risparmio e sul controllo delle principali società mondiali, a cominciare dalle big tech, ad opera di pochissimi grandi fondi che hanno acquisito un peso decisivo anche nella gestione degli intermediari bancari.

Tali fondi erano chiaramente schierati dalla parte dei democratici, traendo vantaggio dalla normativa di favore sulle partecipazioni incrociate, dagli stimoli ai salvataggi bancari e dai tassi alti praticati dalla Fed di Powell, destinati a mettere fuori gioco i loro concorrenti. Contro questo capitalismo delle Big Three, decisamente monopolistico, si è schierata la componente finanziaria che ha scommesso su Trump. In questa componente erano e sono presenti grandi e piccoli fondi hedge, in cui sono impegnati gli attuali ministri di Trump come Bessent e Lutnick, i sostenitori del private equity e i fautori delle criptovalute, a cominciare da Peter Thiel e Paul Atkins, ora presidente della Sec.

Per un simile gruppo, le "regole" delle Big Three non funzionavano: i tassi alti rendevano e rendono difficile l'approvvigionamento per fare le speculazioni e le acquisizioni a leva, le norme stringenti sulle criptovalute ne paralizzavano il "mercato", l'eccessivo peso assegnato alle grandi banche, legate alle Big Three, indeboliva la disintermediazione tanto cara agli scommettitori d'assalto. Peraltro la "finanza" di Trump immaginava una dollarizzazione meno onerosa, in termini di tassi, e più legata al ricorso alle stable coin, convertibili in dollari. C'era e c'è, poi, Elon Musk, smanioso di liberarsi delle Big Three, ma che in Tesla ha solo il 13% a fronte del 25% di BlackRock, Vanguard e State Street, rappresentando quindii un anello di congiunzione. Trump ha vinto e, come accennato, ha scelto una squadra che rappresenta il suo capitalismo finanziario, peraltro caratterizzato da connotazioni politiche di estrema destra.

Cosa succederà ora in questo scontro? Intanto occorre dire che ci sono settori, nelle mani delle Big Three, che per Trump sono vitali, a cominciare dal gas naturale e dal petrolio, dagli armamenti, dall'automotive e, ovviamente, della innovazione tecnologica. Per Trump è vitale anche che la gigantesca bolla finanziaria in essere negli Stati Uniti non scoppi perché travolgerebbe l'intero sistema-paese. Dunque, la guerra ai monopoli delle Big Three ha dei limiti intrinseci e non può certamente degenerare. Potrà esplicitarsi però in alcuni ambiti "strategici".

Il primo è quello dei tassi di interesse che devono scendere per dare sollievo ai milioni di americani indebitati e per favorire tutta la filiera della finanza trumpiana.

Il secondo è quello dell'Intelligenza artificiale, dove l'idea di Trump è quella di creare una propria cordata, con Larry Ellison di Oracle e, magari, con Sam Altman, dove poi inserire Musk, Thiel e compagni, indebolendo il monopolio di Nvidia, Microsoft ed Apple. In entrambi i casi, sia per i tassi, sia per l'Intelligenza Artificiale, Trump dovrà fare i conti con la Cina, vero elemento rilevante anche della partita tra i due "capitalismi Usa". Certo pare che non debba temere troppo le risposte europee che si mostrano già articolate su vari fronti, dettati da inutili protagonismi e da velleità marcatamente nazionalistiche, a partire dalla volontà di costruire piccoli colossi finanziari dopo un defatigante e costoso risiko bancario e assicurativo.

Alla luce di ciò, Big Three e finanza di Trump potranno trovare invece alcuni punti in comune nell'assalto all'Europa, costituiti dalla guerra commerciale, condotta anche nel pur già favorevole per gli americani settore dei servizi, dall'opera di prosecuzione del drenaggio del risparmio gestito europeo e dall'acquisto di partecipazioni europee.



*Post Facebook del 17 febbraio 2025

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