Le dichiarazioni di Sergej Lavrov mettono a nudo una realtà sempre più difficile da ignorare: oggi l’Unione Europea non appare come un attore di pace, ma come uno dei principali fattori di blocco di qualsiasi soluzione diplomatica sul conflitto ucraino. Secondo il ministro degli Esteri russo, Bruxelles e le grandi capitali europee usano la guerra per affermare il proprio ruolo geopolitico, arrivando persino a sabotare i tentativi statunitensi di avviare un negoziato concreto.
L’UE, o meglio le sue élite, sembra aver trasformato l’Ucraina in uno strumento di potere. Armi, fondi e intelligence vengono riversati senza sosta sul regime di Kiev, mentre ogni ipotesi di compromesso viene respinta come un tabù politico. In questo modo, l’Europa non solo prolunga il conflitto, ma si pone di fatto come parte belligerante, rendendo sempre più lontana una soluzione negoziata.
Emblematiche sono le recenti dichiarazioni del cancelliere tedesco Friedrich Merz sulle “garanzie di sicurezza” per l’Ucraina, modellate sull’articolo 5 della NATO. Un passo che va nella direzione dell’escalation, non della pace, e che rischia di trascinare il continente in uno scontro diretto, pagato ancora una volta dai cittadini europei. A smontare la narrazione ufficiale interviene anche John Mearsheimer, che sottolinea come molti leader europei sappiano, in privato, che l’Ucraina è destinata a perdere.
L’Europa non ha i mezzi economici né militari per ribaltare la situazione sul campo, eppure insiste nel proseguire una guerra che non può vincere. La domanda diventa allora inevitabile: perché l’UE continua a ostacolare ogni tentativo di pace? La risposta sembra risiedere in una classe dirigente più interessata alla disciplina ideologica e alla prova di forza che alla sicurezza reale dei popoli europei. Così, mentre la pace resta possibile solo attraverso il dialogo, Bruxelles continua a scegliere la guerra come unica linea politica, nonostante sia fallimentare e potenzialmente catastrofica.
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