di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
Puntuale come la malasorte arriva anche quest'anno un'assegnazione del premio Nobel per l'Economia che ha il sapore di non voler disturbare il manovratore. «Tutto procede per il meglio e le magnifiche sorti e progressive ci attendono» sembra volerci dire la Banca Nazionale di Svezia che assegna questo ambito premio. Eppure, a voler scavare a fondo, si tratta di un premio Nobel problematico. Pieno di trappole logiche che - paradossalmente - gli danno un valore intrinseco (inteso come presa di coscienza) al di là delle intenzioni conservatrici di chi lo assegna.
Ad averlo vinto sono tre economisti a me del tutto sconosciuti: Joel Mokyr, Philippe Aghion e Peter Howitt. Ma è la motivazione che li ha elevati a principi della Scienza triste ad essere importante: «per aver spiegato la crescita economica guidata dall’innovazione» si legge. Più precisamente, sempre continuando a leggere le motivazioni, Joel Mokyr ha vinto il premio «per aver identificato i prerequisiti di una crescita economica duratura attraverso il progresso tecnologico» mentre Philippe Aghion e Peter Howitt lo hanno vinto «per la teoria della crescita sostenuta attraverso la distruzione creativa». Dunque, si tratta di un premio assegnato per gli studi su un tema – l'innovazione – ampiamente scandagliato dagli economisti fin dagli albori della nascita della disciplina.
Senza entrare troppo nei dettagli basta dire che già i classici Smith e Marx compresero l'importanza dell'innovazione tecnologica come vettore fondamentale della produzione. Fu comunque poi l'economista austriaco Joseph Alois Schumpeter a dare organicità agli studi sull'innovazione dal punto di vista economico (ma anche sociologico e politico); dunque di certo un argomento non nuovo ma di primaria importanza.
Già a leggere le motivazioni comunque il premio appare politicamente orientato. Intendo dire che in questa fase storica l'innovazione tecnologica ha assunto una importanza cruciale, non solo sotto l'aspetto economico (in quello c'è sempre) ma anche sotto l'aspetto geopolitico. Inutile sottolineare che stiamo attraversando una fase storica nella quale l'assetto del potere mondiale, fondato sull'egemonia occidentale. viene insidiato dall'emergere di una nuova potenza: la Cina Popolare. Una potenza che – non a caso – è un gigante dell'innovazione tecnologica, e che, proprio grazie a questa, sta insidiando l'egemonia occidentale dal punto di vista economico. Dunque, diciamo che, in questa fase il tema dell'innovazione tecnologica è da considerarsi come politicamente sensibile.
Infatti già nelle motivazioni c'è qualcosa che stride, in particolare in quella relativa a Joel Mokyr che – bontà sua – avrebbe individuato i prerequisiti per una crescita duratura attraverso l'innovazione tecnologica. Con tutto il rispetto per il neo nobel non posso non sottolineare che il “non economista” John von Neumann nel suo modello di Equilibrio Economico Generale (di gran lunga il più bello e profondo modello economico anche sotto l'aspetto delle verità filosofiche che fa emergere) pone il progresso tecnologico pari a zero come vettore necessario per una crescita economica costante e di lungo periodo. Joel Mokyr ha confutato quanto espresso da von Neumann con il suo modello? Francamente ne dubito.
Anche per Philippe Aghion e Peter Howitt secondo me, a leggere le motivazioni si può parlare di premio politicamente orientato. Infatti i due sono stati premiati per aver studiato la “distruzione creativa” (schumpeteriana), quale drive della crescita. Più che una verità scientifica appare come una esortazione alle masse ad accettare la sfida con le fatiche, i rischi e i disagi che questa comporta. Tanto vale a maggior ragione in una fase storica nella quale la lotta geopolitica tra potenze è soprattutto una lotta fatta con l'innovazione, dove chi vince prende tutto il banco e chi soccombe rischia di perdere tutto. Un premio dunque che sembra esortare tutti ad accettare questo modello economico, a non uscire dall'ortodossia. Non importa se lo scontro furibondo per l'egemonia tra Cina e USA potrebbe portarci ad una rovinosa guerra commerciale e forse ad una ancora più rovinosa guerra di tipo militare. Viviamo nel migliore dei mondi possibili sembrano volerci dire i parrucconi della banca centrale svedese facendo il verso a von Leibniz. L'unico mondo accettabile e possibile – secondo loro – sembra essere quello dove nazioni, imprese e persone combattono in maniera furibonda, e senza esclusione di colpi, per avere l'egemonia tecnologica che diventa egemonia economica e politica e dunque, in definitiva, dominio sugli sconfitti. Un mondo che vede dunque nella sopraffazione l'unico orizzonte possibile. L'unico “senso” accettabile.
In definitiva questo Nobel per l'economia appare come un Nobel per il Nichilismo perchè riduce il mondo a procedura, calcolo e tecnica fine a se stessa o ancora peggio, che ha come unica finalità quella della sopraffazione e del dominio sugli sconfitti, sui perdenti. In definitiva dunque un mondo dominato da quella Techné che filosofi come Emanuele Severino hanno indicato come l'espressione più profonda e compiuta del nichilismo contemporaneo.
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