di Michele Blanco
Nel nostro mondo contemporaneo quasi la metà della popolazione mondiale, pari a oltre 3,7 miliardi di persone, vive in povertà e sempre piu senza speranze. Dall'altro, i soli tremila miliardari presenti nel mondo hanno guadagnato 5,5 trilioni di euro negli ultimi dieci anni, l'equivalente del 14,6 per cento dell'intero Pil globale.
È quanto emerge da un nuovo rapporto della confederazione britannica di ong: Oxfam, sempre molto precisa evtrasparente nel divulgare dati e cifre, che sono verificati e certificati. Oxfam, nel suo rapporto, ha aggiunto che dal 2015 l'1 per cento più ricco del mondo ha aumentato la propria ricchezza di oltre 29 miliardi di euro in termini reali, quindi anche al netto dell'inflazione.
Questa cifra avrebbe potuto fare molto bene al mondo perché, secondo Oxfam, sarebbe stata sufficiente a porre fine alla povertà globale per ben 22 volte. La previsione si basa sui precisi e inconfutabili dati della Banca Mondiale del 2021, che mostrano come le persone che vivono in povertà abbiano bisogno in media di 8,30 dollari in più al giorno per potersi permettere i bisogni primari.
Inoltre secondo il rapporto, i governi delle nazioni ricche, in questi ultimissimi anni, hanno effettuato i maggiori tagli agli aiuti esteri da quando sono iniziate le registrazioni nel 1960.
SIi legge chiaramente nel rapporto Oxfam che: "I soli Paesi del G7, che rappresentano circa i tre quarti di tutti gli aiuti ufficiali, stanno tagliando gli aiuti del 28 per cento per il 2026 rispetto al 2024".
Il rapporto Oxfam ha anche rilevato che il 60 per cento dei Paesi a basso reddito, dove questi aiuti sono assolutamente necessari, sono sull'orlo di una crisi del debito. Questo soprattutto perché i Paesi poveri e a basso reddito sono spesso considerati "rischiosi" e quindi pagano molto di più i prestiti per finanziare il debito dal mercato a causa degli alti tassi di interesse, lasciando sempre di più meno fondi per la sanità o l'istruzione.
Nel suo rapporto, Oxfam ha sottolineato che il finanziamento dello sviluppo non dovrebbe basarsi sugli investimenti privati, per avere una possibilità di crescita economica e sociale è necessario invece un "approccio pubblico".
Si legge, sempre nelle condizioni fatte da Oxfam, che "i Paesi ricchi hanno messo Wall Street alla guida dello sviluppo globale. Si tratta di un'acquisizione della finanza privata globale che ha superato i metodi, sostenuti da prove, per affrontare la povertà attraverso investimenti pubblici e una tassazione equa".
Oxfam ha suggerito che i governi dovrebbero investire nello sviluppo guidato dallo Stato per garantire gli indispensabili "servizi universali di alta qualità per la sanità, l'istruzione e l'assistenza, ed esplorare i beni forniti pubblicamente in settori che vanno dall'energia ai trasporti".
Nell'attuale contesto internazionale, tutti i governi occidentali devono far fronte a un debito che spesso è pari o superiore alla loro produzione economica annuale, conseguetemente si mettendo sotto pressione i governi. Inoltre la ricchezza pubblica non cresce alla stessa velocità di quella privata.
Si registra che la ricchezza privata, di sempre pochissimi, è cresciuta di oltre 292 miliardi di euro.
Tra il 1995 e il 2023, la ricchezza privata globale è cresciuta otto volte di più di quella pubblica, che è cresciuta di soli 38 miliardi di euro. Per fare un confronto, il PIL totale mondiale annuo è di circa 85 miliardi di euro.
Oxfam, ma anche i più autorevoli economisti a livello mondiale, ha suggerito che i governi dovrebbero riconsiderare la tassazione degli ultra-ricchi, affermando che i miliardari pagano, pochissime tassa, con aliquote fiscali effettive vicine allo 0,3% della loro ricchezza.
Mentre la stragrande maggioranza dei cittadini italiani e europei, solitamente dipendenti, paga tasse enormemente superiori dal 30 al 43 per cento. Nei Paesi scandinavi anche percentuali maggiori, tutte le sue multiformi (pericolose) vesti.
Tra i favorevoli alla maggior tassazione per i super ricchi troviamo l'economista francese Thomas Piketty il quale sostiene che il rapporto patrimonio-reddito sta tornando dappertutto ai livelli di disuguaglianza che aveva nella belle époque, a cavallo tra ottocento e novecento. Questo processo si accompagna ad un aumento della diseguaglianza nella distribuzione del reddito, dovuto in buona misura al fatto che il rendimento del patrimonio, nel suo complesso, si mantiene nettamente superiore al tasso di crescita del reddito. Negli anni compresi tra le due guerre mondiali i patrimoni hanno subito una caduta molto accentuata; nei trenta gloriosi successivi la distanza tra il tasso di rendimento del patrimonio e quello del reddito si è ridotto, e in qualche caso anche invertito, ma ora le forze di fondo che regolano la dinamica del rapporto stanno di nuovo riemergendo e portano ad un tendenziale aumento, in particolare dovuto alla diminuzione del tasso di crescita del reddito.
All’autore questo tendenza spontanea non piace, non la trova giusta e preferirebbe tornare ai primi decenni del secondo dopoguerra. Lo strumento principale che Piketty suggerisce di utilizzare è un’imposta progressiva sul patrimonio. Questa imposta dovrebbe essere introdotta non a livello nazionale ma su scala mondiale; tuttavia, la dimensione europea o quella di un paese come gli Stati Uniti potrebbero già essere sufficienti.
L’imposta cui pensa Piketty è sostanzialmente molto simile a l’impôt de solidarité sur la fortune da tempo adottata in Francia. Si tratta di un’imposta ordinaria, cioè periodica (su base annuale), non straordinaria, cioè una tantum. L’imposta quindi deve essere tale da poter essere pagata, in condizioni normali, con il rendimento del patrimonio, con l’ovvia eccezione della parte d’imposta che grava sulla casa d’abitazione, dove il proprietario riceve un reddito in natura. Inoltre, essa deve essere progressiva, con una struttura a scaglioni simile a quella dell’imposta sul reddito: fino ad un certo livello il patrimonio è esente, quindi viene colpito con un’aliquota prima contenuta e poi via via crescente.
A titolo d’esempio Piketty propone tre aliquote: zero (cioè una fascia esente) fino ad un milione di euro; 1% da un milione a cinque milioni; 2% dai cinque milioni in su. In questo modo si ottiene un prelievo che in rapporto al patrimonio risulta crescente.
Come si vede l’incidenza, cioè il rapporto imposta/patrimonio, dopo il milione cresce, prima velocemente poi sempre più lentamente, tendendo verso il 2%, ma senza mai raggiungerlo.
Un’imposta mondiale così congegnata, afferma Piketty, raccoglierebbe mediamente due punti di PIL (in Italia arriverebbe a una trentina di miliardi). Infatti coloro che sono soggetti all’imposta, pur essendo solo il 2,5% dei contribuenti, possiedono il 40% del patrimonio totale (i patrimoni sono molto più concentrati dei redditi). Si tratta quindi di una massa pari a due volte il PIL, e l’applicazione delle aliquote dell’1% e del 2% sugli scaglioni del patrimonio superiori a 1 o a 5 milioni fornisce approssimativamente un gettito pari ai due punti di PIL.
Ma di tutto questo i nostri "giornali liberali" e le nostre televisioni fanno di tutto per disinformare e non farci sapere nulla. Anzi pensano a propagandare le inutili spese militari che arricchiranno gli stessi proprietari dei "grandi giornali" di disinformazione di massa.