di Fabio Ashtar Telarico
Prima di tutto, c’è il blocco dei commerci. Se un Paese è soggetto a sanzioni, le aziende dei Paesi “sanzionatori” non possono più esportare o importare certi prodotti da quello Stato. Questo può riguardare materie prime essenziali, componenti tecnologici o altri beni fondamentali. Un altro aspetto importante sono le restrizioni finanziarie: se una nazione viene esclusa dai circuiti bancari internazionali, come il sistema SWIFT, diventa molto più difficile effettuare pagamenti o trasferimenti di denaro. L’obiettivo è fare pressione sui governi considerati “colpevoli” di azioni gravi, come aggressioni militari o violazioni dei diritti umani.
Dal 2014, in seguito all’ingresso della Crimea nella Federazione Russa, gli USA e l’Unione Europa hanno approvato diversi “pacchetti” di sanzioni. L’idea era di strangolare l’economia russa tagliandone l’accesso ai mercati internazionali. Sulla base di studi economici antiquati o tutt’altro che obiettivi, il sistema economico russo sarebbe dovuto collassare piuttosto velocemente.
Degli effetti ci sono stati, non da ultima la perdita di valore del rublo, la moneta russa. Inoltre, più di 2’000 aziende occidentali hanno chiuso battenti nel paese. Eppure, secondo le stime, tra 1’800 a 10’000 aziende occidentali operano ancora in Russia. Inoltre, le sanzioni hanno spinto Mosca a “dirottare” i flussi di prodotti industriali ed energetici verso paesi “neutrali” come Cina e India. I nuovi partner commerciali della Russia sono riusciti ad attenuare l’impatto delle restrizioni occidentali e persino ad aggirarle. Questo fallimento mette in dubbio la tesi mai contraddetta che l’Occidente abbia un controllo pervasivo sul commercio globale.
Gli economisti ritengono che il caso Russia non sia isolato. Dunque, potrebbe essere il preludio alla formazione di più “blocchi economici”. Ciò significa che l’instabilità dei prezzi dell’energia, dei fertilizzanti, o dei prodotti agroalimentari diventerà permanente. Si pensi solo al prezzo del gas, che nel gennaio 2021 si vendeva attorno ai €20 al MWh in Europa. Dopo essere schizzato a €342/MWh nel gennaio 2022, a gennaio di quest’anno il prezzo era ancora molto al di sopra dei livelli d’anteguerra: oltre i €50/MWh.
Inoltre l’utilizzo più ampio delle valute non occidentali potrebbe rendere meno conveniente il cambio dell’euro e del dollaro all’estero. In pratica, il nostro modo di comprare, lavorare, e viaggiare potrebbe subire variazioni significative, a detrimento anche di coloro che non si ritengono direttamente esposti all’economia internazionale.
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